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mercoledì 20 luglio 2016

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA *1747 +1770 - PARTE DECIMA.







Teresa Margherita Redi 
 del Sacro Cuore di Gesù 
Monaca Carmelitana Scalza 
(Teresiana) 
Santa 
*1747 +1770 

La prova dei patimenti è il suggello delle opere di Dio: questo divino contrassegno non doveva mancare al postulante ( Così è chiamato quel tempo che corre dall’ingresso in Monastero alla vestizione religiosa ) della pia fanciulla. Ma i suoi patimenti d’allora non furono quelle prove tormentose dello spirito che ardono e consumano l’anima con angoscia inesprimibile; bensì prove puramente corporali che, sopportate pazientemente ed offerte a Dio, arrecano quella pace sovrumana per cui ogni dolore si dimentica e si trasforma in soave godimento. 
O fossero le prolungate orazioni genuflesse sul suolo, o la delicatezza del suo temperamento, verso la fine del 1764 le si formò sopra il ginocchio un grosso tumore che ella occultò per alcuni giorni; ma una febbre ardentissima l’obbligò a manifestare il suo male e dovè porsi in letto. Fu necessario l’intervento del medico, il quale dichiarò indispensabile un’operazione chirurgica. Anna Maria vi si sottopose col coraggio dei martiri, solo sollecita della riservatezza verginale. << Mi assoggetto di buon grado - aveva detto alle religiose - per confortarmi al patire di Nostro Signore Gesù Cristo >>. 
Ed infatti si comportò come aveva promesso. E perché, sotto l’azione del ferro, le sfuggì un lamento, ne restò confusa e ne domandò perdono come di una colpa. Il giacer sempre sul medesimo fianco, la febbre che non lasciava mai, le cagionarono per tutto quel tempo un continuo dolore. 
La Madre Sotto-maestra, nel vederla così sofferente, usava ogni studio per tenerla sollevata, e le era prodiga di tutte le cure e i delicati riguardi che le dettava il suo bel cuore. Un giorno questa buona Madre ebbe la premura di prepararle una piccola pietanza assai gustosa e, tutta contenta, la portò ad Anna Maria. Questa, gustata che l’ebbe, dimostrò di non volerne più. Interrogata del motivo di tale ripugnanza, col suo solito fare tanto piacevole rispose: << Mi ci ha messo tante cose buone che non mi paiono adatte alla vita delle carmelitane scalze, e non combinabili con la mortificazione >> ( Deposizione della Madre Anna Maria di Sant'Antonio da Padova ). Eppure non si trattava che di due uova affogate nel brodo e cosparse di pochi aromi. Edificata di tanto amore alla mortificazione, la Madre le soggiunse che mangiasse pure con sicurezza tutta la pietanza, perché in tempo d’infermità anche l’uso delle stesse carni è, secondo le leggi della Nostra Santa Madre Teresa, un atto di osservazione; e perciò avrebbe ella così acquistato il doppio merito dell’osservanza e dell’obbedienza. Non ci volle altro perché la pia giovane obbedisse subito e mangiasse quelle uova senza replicare; onde la Madre Sotto-maestra si persuase che il vero e solo motivo che gliele aveva fatte ricusare era stato l’amore alla mortificazione. 
Ma mentre pativa per le medicature e gli ardori della febbre, altra sofferenza sopportava volontariamente in silenzio. Aveva letto la vita dei Santi e udite le loro azioni eroiche per mortificare il loro corpo: li volle imitare. Il suo cuore era grande, ma non sapeva l’ingenua fanciulla che i Santi agivano sempre curvati sotto il giogo dell’obbedienza, senza la quale sarebbe inutile ogni più grande sacrificio. La Sotto-maestra che l’assisteva si accorse di qualche particolare contrazione nel viso di lei e, dopo attenta osservazione, scoprì che le forcine di ferro che ne trattenevano la lunga e folta capigliatura, sotto gli ardori di cocentissima febbre gli cagionavano alcuni spasimi nel capo. Gliele tolse tutte, e fin d’allora tanto più vegliò nel custodirla quanto più conosceva che le mire di lei erano intente a mortificarsi e a patire. 
Ben altra pena più intensa teneva però nel cuore Anna Maria: il timore cioè che la sua infermità le impedisse o facesse ritardare la vestizione dell’abito religioso. Ma il Signore, con la grazia della completa guarigione, le concesse altresì quella di vedere appagati i suoi voti. Le fu dunque annunziato che bisognava uscisse dal Monastero perché, durante la sua assenza, le religiose potessero liberamente decidere. Se non che, prima di ciò, secondo la pia costumanza, ella stessa doveva chiedere alla Comunità di essere accettata ed ammessa alla vestizione. Con angelica compostezza si presentò la fervente fanciulla davanti alle religiose radunate in Capitolo e, con accese parole, con ragioni sì commoventi da intenerire i cuori più duri, pur confessando di esserne indegna, le pregò a non volerla rigettare dalla loro compagnia. Promise che si sarebbe emendata dei tanti suoi difetti, ciò che sperava ottenere con l’aiuto delle loro preghiere. 
Quell’aria angelica, quelle dolci parole, non poterono a meno di commuovere le religiose, le quali piansero di tenerezza. Quindi le dissero che, se ciò fosse volontà del Signore, stesse sicura che l’avrebbero contentata. Non poteva accadere diversamente; quelle religiose ringraziarono Dio del dono che loro faceva, e rammentavano l’una all’altra i presagi fatti sulla fanciulla al primo suo entrare in Monastero: << Che essa cioè acquistavano una figlia della Santa Madre Teresa, già formata, e che ne sarebbe uno dei più vivi ritratti >>. 
Col cuore pieno di gioia, Anna Maria scrisse subito una lettera allo zio Padre Diego Redi della Compagnia di Gesù, annunziandogli il grande avvenimento; e lo pregava a ringraziare il Signore della grande bontà e misericordia che usava verso di lei, col riceverla per sua sposa. Nella risposta, lo zio la esortava a corrispondere a tanta grazia, e, con la pratica delle sante virtù, a divenire una figlia degnissima di Santa Teresa. << Affezionatevi - le diceva - a ciò che ella particolarmente inculca, cioè umiltà vera, orazione umile, obbedienza cieca. Secondate il fine che Ella ebbe nel fondare la sua religione che fu appunto perché vi fossero persone da bene, le quali continuamente pregassero per la salute delle anime… Gesù, mia cara nipote, vi vuole non solo buona, ma santa >>. Queste ultime parole colpirono la giovinetta, si ricordò dei propositi tante volte fatti nella casa paterna, e li rinnovò formalmente. E con pari gioia scrisse al babbo una lettera in versi. 
Il 4 Gennaio 1765 uscì dal Monastero e sulla fine dello stesso mese nuovamente fu condotta dal padre a far visita alle sorellina e alle maestre in Santa Apollonia, quindi a Prato per rivedere e dire addio ai fratelli Gregorio e Francesco Saverio, in educazione nel Collegio Cicognini di quella città. Albergò col padre e coi fratelli nella foresteria di San Nicolò, e quei quattro giorni che vi trattenne furono impiegati nella visita delle Chiese e dei Monasteri. 
Essendo col padre e con altre ragguardevoli persone nell’atrio del Monastero di San Michele, veduti affacciarsi alla porta esteriore alcuni poverelli, si staccò subito con bel modo da quella comitiva e andò loro incontro. Cavatosi quindi di tasca quel poco di denaro che aveva, lo distribuì loro garbatamente, accompagnando quell’atto con parole dolci e compassionevoli, fra l’ammirazione e l’edificazioni dei presenti. 
Sappiamo dalle deposizioni che fecero i fratelli, che in quel tempo i desideri di Anna Maria, le sue aspirazioni, erano così veementi, che non poteva a meno di parlar loro di Dio, della grazia grande della vocazione, dell’obbligo che abbiamo di corrispondere a tanto amore. 
Una mattina mentre aspettavamo l’ora del pranzo, si era ritirata frettolosamente in camera, e il fratello Francesco Saverio, sapendo che vi era andata a far orazione, per non disturbarla, l’aspettò in fondo alle scale. Passati pochi minuti la vide uscire col volto tutto infiammato, e correndo verso di lui, gettarglisi al collo e dirgli con grande enfasi: << Cecchino, vuoi bene a Dio? >>. << Alla meglio che posso, da peccatore >> - rispose il fratello. Allora, accendendosi ancora più nel volto e stingendolo con slancio serafico, con gli occhi rivolti al cielo, soggiunse: << Amalo davvero Gesù; se sapessi quanto è bello, quanto è caro e quanto è amabile!… >>. E il fratello meravigliato, stava riguardandola, mentre il volto di lei sempre più s’avvivava, splendeva e quasi si trasformava. Che cosa era mai accaduto?… Nel silenzio della sua cameretta, abbandonata col pensiero alla dolce contemplazione dell’amore infinito di Dio, il suo cuore si era acceso di quella vampa misteriosa che tutta la consumava: onde, con gli occhi fissi al cielo, fremeva quasi sotto l’angoscia indefinita di non poter pienamente raggiungere Colui che aveva ferito il suo cuore. Non potendo più resistere, si era alzata e, trovato il fratello, aveva dato libero sfogo a quella piena di affetti ( Questo fatto avvenne nella foresteria di San Nicolò di Prato ). 
Dio la volle arricchire fino d’allora del dono di quella profonda e sublime contemplazione che Egli comunica solamente alle anime pure e innocenti. Possiamo dire che Anna Maria, anche in quel tempo che stette fuori dal Monastero, visse sempre come isolata, sola con Dio e con le sublimi elevazioni. Spogliata di tutto, non cercando che Lui solo, era da Dio investita al primo presentarglisi che faceva. E l’investirla ero lo stesso che averla tutta infiammata e compresa del suo fuoco purissimo. Che meraviglia dunque se ella era amante dell’orazione, e se questa era senza limitazione di tempo? Ogni luogo era per lei atto alla preghiera; dappertutto fuggiva improvvisamente a se stessa e si nascondeva in Dio. 
Dopo essersi fatta promettere dai fratelli che sarebbero sempre buoni e amanti di Dio, si licenziò da essi e partì col padre a Firenze, soffermandosi, al ritorno, a visitare le Signore della Quiete e la fabbrica delle porcellane del Marchese Ginori, e << per tutto fe’ ammirare la sua angelica modestia e compostezza, il suo innocente candore, la fervida sua devozione e pietà, e generalmente la soavità meravigliosa dei suoi costumi e del suo tratto >>. Stette fuori dal Monastero due mesi, cioè dal 4 Gennaio 1765 fino alla sera del 10 Marzo, e in questo tempo fu affidata alla Nobil Signora Isabella Mozzi nata Contessa Barbolani di Montauto. E’ incredibile quanto questa nobil donna rimanesse edificata ed insieme innamorata di quella giovinetta che aveva bellezze e profumi di cielo, e che dovunque lasciava una traccia luminosa di quella sublime carità che ardeva nel suo cuore generoso. << Trattava con le diverse persone - ci lasciò scritto questa nobil donna - con grande circospezione del suo operare e minuto pensiero non solamente dei doveri, ma ancora delle convenienze nobili e cristiane >>. 
Grata verso chiunque le avesse usato un favore, volendo mostrare la sua riconoscenza a tutte quelle persone di servizio di casa Mozzi, appena fatto il suo ingresso in Monastero scrisse alla Contessa ringraziandola e pregandola di dar loro, a titolo di mancia, alcuni involti di danaro e di altri oggetti di devozione. 
Mentre era ancora fuori del Monastero, quando seppe che nello scrutinio del 4 Marzo era stata dalle religiose approvata pienamente e che avrebbe ricevuto l’abito il giorno 11, come volesse dire addio per sempre alla pompa ed al lusso mondano indossò una veste più bella ed un paio di guanti di pelle rossa ( oggi si conservano quali preziose reliquie ), i quali secondo il costume di quei tempi, le arrivavano fino al gomito. Un religioso Carmelitano Scalzo di San Paolino - la tradizione porta che questo fatto sia accaduto nella sagrestia di quella Chiesa -, ignorando il fine di quel cambiamento, le fece notare che non conveniva ad una sposa di Gesù quell’elegante acconciatura, ed ella sorpresa di tale osservazione, con seria semplicità rispose: << Un giorno sarò santa! >>. 
Una risposta così risoluta sulle labbra di quest’angelo che fino era appagato tanto umile, potrebbe recare qualche meraviglia, se i fatti che veniamo gradatamente esponendo in questa breve storia non ci facessero credere che la risposta data alla Serva di Dio, come narra di altri santi ( Si legge, che San Vincenzo Ferreri molte volte proclamò la sua canonizzazione; e si racconta che, fanciullo di circa dieci anni, avendo veduti i contadini intenti ad abbattere un cipresso che era presso la casa paterna, li pregò di non reciderlo, dicendo loro che quel cipresso doveva ancora crescere ed ingrossarsi, perchè in seguito dal suo tronco se ne sarebbe formata una statua di un santo; quindi soggiunse: << E questo santo sarò io >>. ), fosse effetto di una soprannaturale illustrazione. 
Un altro fatto che ha tutte le apparenze di profezie, e che avvenne più tardi, quando ella era già monaca, è il seguente. Mentre un giorno, in tempo di ricreazione, la Santa stava ricamando alcuni << abitini >> - che le religiose sogliono poi regalare ai benefattori del monastero - una sorella che osservava il suo impegno, ma anche la poco riuscita del lavoro, le disse scherzando: << Ah, Suor Teresa Margherita! Questi abitini sono davvero poco belli!… >> e la Santa, sorridendo: << Si, è vero che i miei abitini non sono belli; ma se ne serviranno un giorno per farne dono ai Cardinali >>. Parole che oggi, a più di un secolo e mezzo di distanza, si sono pienamente avverate: i suoi abitini, rispettati per sì lungo tempo dal tarlo e dalla tignola, furono offerti in dono, in occasione della Beatificazione, uno all’Em.mo Card. Verde Ponente della Causa, e l’altro all’Em.mo Card. Rossi ( Sua Eminenza il Card. Raffaello Carlo Rossi, alunno della Provincia Toscana, che fin dall'inizio della sua vita di Carmelitano Scalzo apprezzò e gustò il soave profumo del Piccolo Giglio di Firenze nel Santo Noviziato di Arcetri ove la salma incorotta della Santa aveva dimorato per molti anni. ). Fuori del suo caro Monastero, lontana da << quella casa di angeli >>, era però vicina alla sue buone Madri con l’anima, col cuore. Abbandonata al pensiero di un momento felice, in cui potrebbe dar compimento al suo olocausto d’amore, aspettava che venisse quel giorno in cui, vestita da Gesù delle insegne di Sua Sposa, l’anima sua resterebbe dolcemente assopita nelle ebbrezze della carità. 

FONTE: 
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

mercoledì 13 luglio 2016

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA *1747 +1770 - PARTE NONA .







Teresa Margherita Redi 
 del Sacro Cuore di Gesù 
Monaca Carmelitana Scalza 
(Teresiana) 
 Santa 
 *1747 +1770 

Accesa dal desiderio di emulare i serafici ardori del Patriarca d’Assisi, e attinte alla Verna nuove forze per compiere i suoi santi propositi, la giovinetta si accinse coraggiosamente al supremo distacco. 
Inginocchiata pressi il letto della madre inferma, ne implorò affettuosamente la benedizione; e la signora Redi, unendo le sue lacrime a quelle del consorte, benedì la diletta figliuola, da cui si divideva per sempre. 
Anna Maria durante il viaggio apparve calma e serena. 
 << Senza mostrare i osservarla - narra il Cav. Ignazio - la vidi composta, immobile, sostenuta per lo spazio di un’ora; quindi ripresa la sua gioconda maniera, mi si voltò ed introdusse sereni e saggi ragionamenti, e proseguì quel viaggio con la più squisita tranquillità >>. 
Povera fanciulla! In quel giorno aveva provate le più dure battaglie. Quanto costò al suo cuore tenero ed affettuoso il distacco dalla madre! Dopo Dio e la Vergine, tutto riconosceva dall’amore di lei, che le aveva istillato la pietà soda e il disprezzo del mondo. 
Grata alla mamma per naturale bontà di cuore e sentimento religioso, benchè fosse riuscita sì bene a dissimularlo. Non aveva potuto staccarsene senza una forte commozione. E quanto alla madre, come era stata grande la pena nel vedersi strappare per sempre quella cara figlia che tanto amava e per la quale aveva fatto tanti sacrifici! Quante preghiere, quante lacrime le era costata Anna Maria, perché venisse su buona, pia, virtuosa! 
E la grazia l’aveva ottenuta: a diciassette anni la figlia sua serbava il candore dell’innocenza battesimale. Ma ora che formava la sua consolazione, ora che poteva godere in pace il frutto di tante fatiche e di tante preghiere, la sua Anna Maria partiva ed ella restava senza speranza di riaverla con sé. Che dolore per una madre! 
Ma la virtù cristiana aveva trionfato di ogni tenerezza: la madre aveva chinato la fronte alla volontà di Dio che chiamava la figlia a servirlo al Carmelo; e la figlia aveva lasciato la casa, benedetta mille volte con effusione di cuore, affidata tra le lacrime al Signore stesso e alla Vergine Santissima. 
Giunta a Firenze alloggiò per qualche giorno presso il Generale Pandolfini e, visitate le religiose di Santa Apollonia e le due sorelle Cecilia ed Eleonora quivi in educazione, s’avviò col padre e con la Signora Virginia Pandolfini nei Della Gherardesca al Monastero di Santa Teresa. Qui bisognò separarsi dal padre; e, per quanto cercasse dissimularlo, fece abbastanza conoscere quale tempesta angosciosa turbasse il suo cuore. 
Oh! I santi non sono insensibili agli affetti domestici, e ben a ragione Santa Teresa del Bambino Gesù esclamava: << Io non comprendo i santi che non hanno amata la loro famiglia! >>. 
Ed anche Anna Maria, come più tardi la sua giovane sorella del Carmelo di Lisieux, volenterosa sacrificò a Dio il padre che teneramente amava. 
L’abbracciò, domandò la benedizione come aveva fatto ai piedi della mamma, ed entrò in << quella casa di angeli >>, come la chiamò sempre, per dar principio alle prove della religione. Era il 1° Settembre 1764. Il Monastero di Santa Teresa ( oggi carceri penali di Santa Teresa ), come la sua Chiesina tanto graziosa nella purezza delle sue artistiche linee, sorge poco distante dalla Chiesa di Sant’Ambrogio, e risponde a mezzogiorno sulla strada che conduce a Porta alla Croce, e a settentrione sulla via detta della Mattonaia. La sua fondazione per opera della Nobil Donna Francesca Guardi negli Ugolini risale al 1629; cioè a qualche anno dopo che il Ven. Padre Domenico di Gesù e Maria, pressato dalle istanze di Cosimo II, Granduca di Toscana, ebbe accettata la fondazione del Convento San Paolino. Quella nobil Signora, essendo molto devota della Nostra Santa Madre Teresa, aveva istantemente chiesto di fondare in onore della Santa una Chiesa e un Monastero di religiose, donando a tale scopo gran parte delle sue sostanze. Il Padre Generale dell’Ordine, che era quel tempo il Ven. Padre Ferdinando di Santa Maria, accettò questa offerta e scrisse subito alla Ven. Madre Girolama di Santa Maria ( Centurioni ), fondatrice del secondo Convento di Genova, perché si eleggesse due compagne per la fondazione del nuovo Monastero di Firenze. Le due religiose elette a quest’opera furono la Ven. Suor Maria Agnese di Gesù ( Lomellini ). 
Il Monastero fu aperto gli ultimi di Aprile del 1630, e le fondatrici vi furono portate come in trionfo della cittadinanza. La figura della Chiesa è esagono, con la sua cupoletta ben proporzionata, che si eleva, agile nella sua struttura, al disopra dell’abside. In ciascuno angolo dell’esagono si apre una finestra; è la luce vi penetra sì temperata e dà alla Chiesa tal grazia e tal vaghezza da renderla suggestivamente devota. L’altare maggiore è tutto di pietra lavorata, e sui piedistalli delle sue colonne si osservano due armi; a destra quella dei soli Guardi, a sinistra quella dei Guardi legata con quella degli Ugolini. Gli altari laterali sono quattro, poco dissimili dall’altare maggiore. Nel pavimento del presbiterio dell’altare maggiore si vede una apertura rotonda con inferriata di bronzo massiccio a rabeschi, che vanno a legare in mezzo l’arme della fondatrice. Questa apertura serve per dare luce ad una cappella sotterranea, fatta costruire contemporaneamente alla Chiesa dalla fondatrice sua tomba, con un piccolo altare dedicato alla Vergine Addolorata, dove ogni anno il Venerdì di Passione si celebrava la Santa Messa. Il corpo della fondatrice riposa dalla parte dell’epistola di questo piccolo altare, e di fronte è un’altra tomba, dove , con l’abito delle carmelitane scalze, fu sepolta la Duchessa Eleonora Strozzi. Fra gli altri monumenti degni di memoria è quello della Principessa Violante Beatrice di Baviera, il cui corpo riposa in una nicchia dalla parte del Vangelo. 
Tali il Monastero e la Chiesa di Santa Teresa, dove Anna Maria era entrata per cominciarvi le prove della religione. 
E Iddio che - come osserva Mons. Boutade ( Storia di Santa Margherita Maria Ala coque ) - non ha sollevato una montagna, non ha profondato una valle, non ha disegnata una riva, senza sapere per qual popolo o per quale anima Egli operava, facendo sorgere questo Monastero aveva certo pensato anche alla nostra giovinetta. I suoi primi passi nella casa di Dio furono tali da destare ammirazione in quelle ferventi religiose. 
Le venerava come tanti angeli e si dichiarava indegna di essere in loro compagnia; si studiava di imitarne gli esempi, si dava impegno di osservare con la più puntuale osservanza le regole e gli usi particolari del Monastero. La sua vita incominciava ora una nuova fase; il suo cuore era come un inno al Cuore di Gesù, e si elevava di continuo, unendosi a Lui sempre più strettamente e offrendosi quale perpetuo olocausto d’amore. 
In quei giorni provò sommo contento nel ricevere la << Disciplina Claustrale >> del Ven. Padre Giovanni di Gesù e Maria, libretto dove è tracciata la maniera più facile di dirigere alla gloria e all’amore di Dio tutte le azioni monastiche, anche le più indifferenti, e di farle con la maggiore perfezione per piacere unicamente a Lui. E ciò perché, come asserisce il Padre Idelfonso suo Confessore, non solo aveva trovato in quel libretto quanto aveva praticato senza determinata forma fin da piccola, ma perché, oltre le opportunissime istruzioni che in esso si trovano, le sembrava che dopo la Regola e le Costituzioni, tanto in quello come nell’Istruzione dei Novizi, vi fosse tutto ciò che deve fare di più perfetto una Carmelitana Scalza per piacere a Dio. 
Quindi fu sollecita d’imparare in poco tempo a memoria tutte le formule di direzione che vi si trovano e di applicare con esattezza, sia mentalmente che vocalmente, per assuefarvisi con maggiore facilità. E nonostante negli ultimi tempi di sua vita tutti gli autori ascetici la lasciassero in aridità, nella Disciplina Claustrale trovava tanta soddisfazione che non ne trascurò mai la lettura. L’obbedienza, la mortificazione, l’annegazione di se stessa, la preghiera, la custodia del silenzio o del ritiro, la carità nei rapporti scambievoli, furono i fiori soavi fatti sbocciare dal suo amore per Gesù; e queste doti singolari dell’animo suo traevano maggiormente a sé l’ammirazione e l’affetto di quelle religiose, che vedevano in lei una monaca già avanzata nelle vie delle perfezione, anzi, << un angelo di costumi ed un vaso si singolarissima elezione >> ( Mons. ALBERGOTTI, manoscritto ). 
Quell’idea che fin dal suo ingresso concepì sulla santità del luogo e delle religiose, le faceva così profondamente sentire un basso concetto di se stessa, che non vi eran sofferenza ed umili esercizi, dei quali essa non volesse ad ogni costo privare le altre per esercitarli ella stessa. Inabissata in un sentimento di profonda umiltà non vedeva in sé che demeriti, mentre le religiose eran per lei tante sante, << degne - son sue parole - di essere canonizzate >>, e si reputava immeritovole di vivere in quella << casa di angeli >>. E’ costume generale di tutti i Carmeli, quando le fanciulle sono ammesse le prove della religione, di accordar loro, per i primi otto giorni, un più lungo e agiato riposo e la dispensa del partecipare ad alcuni atti comuni, specialmente ai più laboriosi, come il digiuno, le mortificazioni e le penitenze regolari. Questa cosa dispiacque alla più giovinetta, che desiderava intraprendere la vita carmelitana in tutto il suo rigore. Pregò tanto la Madre Priora e seppe far così bene, che questa, quantunque non volesse variare il costume della moderata discretezza voluta dalla Santa Madre Teresa, pure dopo poco tempo appagò i desideri di Anna Maria, che intraprese le pratiche con tale fervore, facilità, prontezza e gioia, da sembrare una monaca delle più abituale a quel genere di vita. Le era rimasto però in cella il materasso di lana, che la superiora le aveva rilasciato per non sottoporla in un sol punto di austerità tanto gravi; ma elle cercò il modo di privarsene, e l’occasione non le mancò. 
In quei giorni si trovava leggermente indisposta una novizia: la Serva di Dio, avendo osservato che non aveva sul letto il materasso di lana che si suol concedere alle malate, si presentò alla Madre Maestra, e la pregò tanto e con sì bel modo, che ottenne finalmente la licenza di privarsi del suo e di porlo sul letto dell’ammalata. Questo fatto restò così impresso nella mente di quelle religiose che, anche dopo la morte della Santa, lo ricordavano spesso, ed invalse poi l’uso che le giovinette ammesse alle prove della religione facessero a gara nel domadare di imitarla in questo atto di mortificazione. Intanto in quei giorni di prova, Anna Maria fece tale progressi nell’orazione mentale, da recare stupore anche ai più provetti maestri di spirito. Racconta la Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova ( Piccolomini ), allora Sottomaestra, che una sera al Mattutino, essendole vicina, osservò in essa un particolare raccoglimento; il suo volto era come infiammato, gli occhi le scintillavano di una dignitosa letizia che non riusciva a nascondere; onde questa buona Madre comprese che, per la vivezza della sua gran fede e degli atti interni di amore di Dio, le fosse accaduto qualche cosa di straordinario. Interrogata di ciò, l’umile giovinetta non rispose che con parole evasive, dicendo: << che la recita del Mattutino richiede tutta l’attenzione, e che l’omissione di qualche parola poteva dar motivo al demonio di addebitarla di difetto presso Dio >>. L’avveduta religiosa però tenne per certo che essa le avesse detto così poco solo per compiacerla, ma che invece avesse ottenuta una qualche interna illustrazione sul Mistero Eucaristico Sacramento; oppure, sollevandosi essa con la mente a cercare Dio e dire a Lui tutta la dolcezza e tutta la gioia che allora provava, il Signore l’avesse rapita alla visione di quella bellezza eterna, che tanta luce di soavità apporta alle anime amanti. 

FONTE: 
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

domenica 3 luglio 2016

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA * 1747 + 1770 - PARTE OTTAVA .




Teresa Margherita Redi 
del Sacro Cuore di Gesù 
 Monaca Carmelitana Scalza 
 (Teresiana) 
 Santa 
*1747 +1770 

Una mattina dopo la metà di Agosto del 1764, una carrozza tutta bianca di polvere proveniente da Bibbiena, dopo alquanti chilometri di viaggio fra alternative di salita ripidissime e precipitose scese, giungeva ad un piccolo borgo di povere case detto la Beccia, dove allora si fermavano tutti i veicoli, tutti i mezzi di trasporto, che conducevano i visitatori alla Verna. 
Due persone di nostra conoscenza, il Cav. Ignazio Redi e sua figlia Anna Maria, scesi dalla carrozza e scambiate alcune parole col vetturino, intraprendevano la salita che conduce alla sommità di quel sacro monte, dove Francesco - come canta l’Alighieri - 
nel crudo sasso… 
da Cristo prese l’ultimo sigillo 
che le sua membra due anni portano. 
( Paradiso , Canto IX ). 
Quelle rupi inaccessibili, quei grandi macigni tutti d’un pezzo quelle folte selve di faggi e di abeti, e più quel silenzio non interrotto se non da lieve stormir delle foglie e dal canto degli augelli, fa gustare al visitatore un saggio di quella divina poesia, onde la vergine natura parlò sempre agli uomini parole soavi e rivelatrici. 
Anna Maria fissava quei massi, quelle incavature profonde, quegli annosi abeti, e ne provava un sentimento nuovo di gioia, perché tutto quivi portava scolpita l’orma di Dio; e quel silenzio e quella bellezza della solitaria natura le ricordava le ascose dolcezze del Carmelo. 
Salivano i due pellegrini per quella strada che si fa sempre più rapida di mano in mano che si avvicina al termine, ed il Cav. Ignazio da sì bello spettacolo non era meno rapito della figlia. Quand’ecco a destra una cappellina, che ricorda il luogo dove San Francesco, prima di salire il sacro monte, si fermò per riposarsi alquanto del lungo viaggio. Anna Maria ricordava con piacere al padre il fatto, quivi avvenuto, degli augelletti i quali, cantando e svolazzando, si posavano sul capo, sulle spalle e sulle braccia del Santo, e lo salutavano e festeggiavano ripetendo. << Ave, ave, ave! >>. Anche per lei quei trilli e quei gorgheggi di cui risuonava la folta selva, avevano voci vere e proprie, onde la sua anima rispondeva a quei cantici sì melodiosi; e dalla contemplazione delle vereconde bellezze della natura si levava su fino al Sole d’ogni bellezza e bontà. Per lei quel sacro monte era tutto una poesia che imbalsamava l’anima d’una spirituale fragranza e dolcezza. 
Eccoli alla porta del Santuario, sulla quale, scolpite in pietra, si leggono queste parole: 
<< Non est in toto sanctior orbe mons >> 
( Non v’è al mondo monte più santo di questo ). 
Infatti chi non ricorda il miracolo di carità che quivi trasformò il Serafino d’Assisi nella somiglianza del Crocifisso? E impossibile salire su quei macigni, su quelle rupi altissime, e non richiamare alla memoria quel giorno, quando 
Sul monte, con gli albori matutini 
D’Assisi orava il glorioso Santo; 
E acceso dell’ardor de’ Serafini, 
Eran sola preghiera estasi e pianto. 
Ed ecco a lui, pe’ cieli adamantini 
Segando lunga lista d’amaranto, 
Un Crocifisso scende e i suoi divini 
Segni gl’imprime lacrimati tanto. 
D’amor Francesco e di dolor languia 
Sotto il mistero, e da’ pie’ , da le mani 
E dal costato amore e sangue uscia. 
Il duro sasso in letto di viole 
Parea converso, mentre degli arcani 
Sacri nasceva testimonio il sole. 
( P. Manni. Le Stimate ). 
E tale certamente dovette essere il ricordo che allora s’affacciò alla mente della nostra fanciulla. Col cuore pieno di santo entusiasmo, entrò col padre in quel sacro recinto dove tutta parla di Dio e del Poverello d’Assisi. 
Davanti a loro era la Chiesina di Santa Maria degli Angeli; a sinistra il gran piazzale con la croce piantata nel mezzo; il pozzo dove i pellegrini attingono l’acqua; il sacro portico del tempio. L’anima di Anna Maria nuotava nell’estasi. Quanti ricordi, quali sentimenti per quel cuore così pieno di tenerezza! Entrati nel tempio, s’avvicinarono presso l’Altare Maggiore, e li stettero lungo tempo in fervorosa preghiera. Ascoltarono la Santa Messa e Anna Maria - così il Cavaliere suo padre - << si confessò e comunicò devotamente >>. 
Ciò che passasse in quel momento nell’anima della giovinetta, Dio solo lo sa. Quando sarà in Monastero, le religiose potranno rilevare dai suoi discorsi che in quel Santuario le era accaduto qualche cosa di particolare per ciò che riguarda lo spirito; << Cosa che da essa non poterono mai sapere - dicono le memorie del Monastero -, ma che forse era ben nota al Cavaliere suo padre, a cui si dimostrava sempre grata per averla condotta in quel Santuario >>. 
Le celestiali delizie di cui era inondata allora la sua anima, si dipinsero, per così dire, sul suo volto, sì da farlo assomigliare a quello di un Serafino. Genuflessa sulla nuda terra, si abbandonò nel Divin Cuore di Gesù, e durò immobile in quella posizione circa un’ora; ne si sarebbe levata da quei rapimenti, se il padre non l’avesse chiamata. 
Usciti che furono di Chiesa, un religioso li guidò alla foresteria e, dopo la loro colazione, si offrì di condurli alla visita di quei luoghi santi. Per un sentiero sull’orlo della rupe, dal quale si presenta allo sguardo, in tutta la sua bellezza, il panorama incantevole del Casentino, giunsero in breve alla cappella del Beato Giovanni della Verna. In quel luogo questo Servo Dio aveva vissuto per lo spazio di trent’anni fra le più aspre penitenze, ricreato dal Signore di tante celesti visioni ed estasi divine. 
Quindi ripresero la via e, sempre dietro al religioso che faceva loro da guida, giunsero alla << Prima cella di San Francesco >>, detta comunemente cappella della Maddalena, dove al Santo che stava in orazione presero una gran pietra che gli serviva da tavola per la refezione, era apparso il Signore. 
Visitata la prima cella di San Francesco, scesero a vedere il meraviglioso << sasso spicco >>, il luogo dove il Serafico Padre sentiva più viva la parola divina. In quella solitudine, fra quei macigni, fra quei sassi sporgenti, il suo orecchio interiore era meglio disposto ad avvertire i suoni che echeggiavano nella sua grande anima, perché chi vive di vita di spirito trova nella solitudine la sua atmosfera. 
Scesi giù in fondo, in mezzo ai macigni, i nostri pellegrini poterono scorgere quel gran lastrone che sporge molto in fuori e che è veramente la meraviglia del luogo. Infatti questo gran masso lungo tredici metri, largo quattro e alto circa undici, è staccato dal monte, e solo da una parte si vede internarsi appena, appena, nella terra. Poco distante dal sasso spicco è il precipizio, donde il demonio, comparendo a Francesco mentre faceva orazione, tentò di gettarlo dall’altezza di sessanta metri. Cadde il Santo e precipitò un bel pezzo; ma, invocato il Nome Santissimo di Dio, potè aggrapparsi a qualche ramoscello sporgente e si appoggiò alla rupe che cedè come cera. I nostri pellegrini ascesero per una scaletta artificiale, e poterono vedere l’impronta del corpo di San Francesco e baciare quella sacra rupe. 
Di qui salirono ad un’altra piccola cappella che ricorda il luogo da dove Fra Leone, compagno del Santo, vide le estasi e il mistero dell’impressione delle sacre Stimmate. Poi, dopo un breve giro, entrarono nella cappelleta della << Croce >>, la vera e propria cella di San Francesco. A sinistra di questa cappella è una porticina che, per una scaletta conduce nell’Oratorio di San Bonaventura, dove il Santo Dottore nel 1260 scrisse il suo << Itinerarium mentis in Deum >> cantico di sublime dottrina e d’ineffabile affetto, che addita agli uomini gli uomini la via diritta del cielo. 
Ed ecco finalmente i nostri pellegrini nella cappella delle sacre Stimmate. Qui la nostra giovinetta, come inondata di un’interna rugiada di soavissima devozione, si accostò a quel sasso su cui si operò lo stupendo miracolo e l’inaudito martirio della carità. Avendo vivo dinanzi agli occhi quel Mistico Serafino che stimmatizzò Francesco, baciò devotamente quella pietra; e, rievocando il gran mistero quivi compiuto, vagheggiò con ineffabile dolcezza il Poverello d’Assisi, quando, << sollevato e rapito da Dio per gli ardori dei suoi desideri, fu trasformato per la veemenza della compassione di Colui, che un eccesso di carità aveva condotto a sostenere i più crudeli supplizi >> 
( San Bonaventura: in legenda S. Francisci, cap. VIII ). 
Forse anche ai suoi occhi si presentò quella scena, nella quale << il Mistico Serafino, con sei ali risplendenti di luce e di fuoco, discendeva dall’alto dei cieli e sotto le sue ali appariva l’immagine di un Uomo Crocifisso, con le mani e con i piedi stesi e confitti in croce >>. 
( San Bonaventura: in legenda S. Francisci, cap. VIII ). 
Come Francesco, << conobbe allora il lume ascoso di quel mistero e comprese come l’amico di Cristo deve tutto intero trasformarsi nella somiglianza di Gesù Crocifisso, non già per il martirio della carne, ma per un fuoco tutto spirituale >>. 
( San Bonaventura: in legenda S. Francisci, cap. VIII ). 
Questo contemplò, questo intese nella sacra cappella Anna Maria. La scena dell’impressione delle Stimmate che ella si era rappresentata alla mente, la fece prorompere in lacrime; onde stabilì di abbracciare anch’essa, come Francesco, la croce del Salvatore; di non volere vivere senza di essa, quand’anche fosse la più pesante, la più ignominiosa; di volerla sempre portare, anche senza alcuna consolazione e senza alcun lamento. 
E chi sa quanto avrebbe durato in questi pensieri, se il religioso non l’avrebbe invitata a passare nella vicina grotta dov’è il letto di San Francesco, che consiste in una grossa lastra di pietra orizzontale misurante più della lunghezza di una persona. Fu l’ultimo luogo che visitarono: dopo pranzo, scesero nuovamente il monte, dove li attendeva la carrozza che doveva condurli a Bibbiena. 
Pur tra salite faticose e scese a precipizio, la carrozza correva: Anna Maria sembrava assorta col pensiero nelle paradisiache bellezze che aveva ammirato. Ogni tanto si voltava indietro, e lungi scorgeva la Verna con la massa cupa dei faggi e degli abeti, con i grandi macigni tutti d’un pezzo che, da lontano, sembravano l’ammasso delle rovine di un grosso fortilizio medioevale. A poco a poco tutto disparve e, dopo una lunga corsa, giunsero a Bibbiena dove erano attesi dalla famiglia di Mons. Vescovo Poltri, di cui il Cav. Ignazio era amico. Il giorno dopo, visitate le varie Chiese di quel paese, ripresero la via di Arezzo. 
Ma quanto rimase impresso quel pio pellegrinaggio nell’anima di Anna Maria! Le estasi, i rapimenti, gli amorosi colloqui che il Serafino d’Assisi ebbe su quel sacro monte, e più la dolcezza ineffabile che a lei stessa aveva fatto gustare il Signore, lasciarono un’orma incancellabile nella mente e nel cuore della pia giovinetta. Più contemplava il gran mistero d’amore compiutosi nelle membra del Beato Francesco, e più cresceva in lei il desiderio di volar presto al suo caro monastero di Firenze. 
E il giorno non era lontano: la partenza era già stabilita. 

FONTE: 
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano