Visualizzazioni totali

giovedì 27 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE SESTA terza


 

Così tutto manifesta che tra il progetto di Bruno e la costruzione della prima Certosa vi fu, se non una perfetta corrispondenza nei particolari, almeno una felice coincidenza, una grandissima conformità. Almeno in due punti delle Consuetudines Guigo farà allusione all'arditezza dell'erezione del primo eremo. E chiederà che << nessuno critichi ( l'organizzazione esterna dei Certosini ) prima di aver egli stesso vissuto in cella per un tempo abbastanza lungo, tra nevi sì abbondanti e con rigidi freddi >>. Pertanto, ai suoi occhi, unicamente l'esperienza della vita contemplativa poteva spiegare e giustificare l'ardimentosa fondazione di Bruno e dei primi Certosini. Per comprendere e gustare l'eremo tal quale lo ha concepito ed attuato Bruno occorre la grazia d'una vocazione... 

La lettera a Rodolfo Le Verd ci farà comprendere qualcosa dei motivi che hanno indotto Bruno a stabilirsi in Certosa. Ma non anticipiamo. Consideriamo Bruno ed i suoi compagni nell'atto di costruire ed organizzare la loro prima dimora. Una tradizione locale riferisce che nei primi giorni della loro presenza in Certosa gli eremiti trovarono ospitalità dagli abitanti di Saint-Pierre de Chartreuse. Bruno stesso venne accolto dalla famiglia Brun, che volle altresì fornire il legname necessario per la costruzione della sua cella. Non era codesto un atto isolato di generosità. Dopo novecento anni si ricordano ancor i nomi di due abitanti di La Ruchère, Molard e Savignon, che si presero l'incarico di cuocere il pane dei primi Certosini e - ciò non era servizio dappoco - di portarglielo. 

Checché ne sia, i lavori cominciarono fin dall'arrivo degli eremiti e proseguirono speditamente; era necessario che la parte essenziale della costruzione fosse terminata avanti le prime nevicate ed il freddo: si aveva tre mesi di tempo utile. Mentre si dissodava qualche tratto di terra venivano costruite attorno alla sorgente le celle per gli eremiti; di certo esse somigliavano alle capanne di boscaioli o pastori, dalla forma di piccole baite, come ancor oggi se ne vedono nei luoghi di pascolo alpestre: costruzioni rustiche ma consistenti, fatte di tondelli accostati, e coperte da tavole spesse, fornite altresì del necessario per resistere, possibilmente da un anno all'altro, al peso della neve. Da principio, per risparmio di tempo e, forse, anche di denaro, dette abitazioni ospitarono due religiosi; in seguito ogni eremita ebbe la sua propria cella. In ogni cella l'acqua della sorgente giungeva attraverso incanalature che all'inizio consistevano in tronchi o rami di alberi incavati a canale. 

Solo la chiesa venne costruita di pietra; essa fu consacrata da Ugo, vescovo di Grenoble, il 2 settembre 1085 e dedicata alla Santa Vergine ed a San Giovanni Battista. Alcuni affermano che codesto insieme di costruzioni si trovava nei pressi dell'odierna cappella di San Bruno. Le celle davano in un corridoio coperto, lungo circa 35 metri, che << giungeva quasi a piè della rupe >> e consentiva di accedere riparati alla sala capitolare, al refettorio e soprattutto alla Chiesa. In Chiesa gli eremiti celebravano la messa conventuale ed i giorni ordinari recitavano in comune il Mattutino e Vespri; la domenica ed i giorni festivi, l'intero Ufficio. In cella i giorni ordinari recitavano il resto dell'Ufficio, si dedicavano all'orazione, alla lettura ed al lavoro manuale che in quel tempo consisteva soprattutto nel collazionare o trascrivere manoscritti, specialmente la Bibbia e dei Padri della Chiesa. Ogni eremita faceva i pasti da solo; unicamente la domenica ed i giorni di grandi feste si recava al refettorio ove, mentre la comunità si rifocillava, uno degli eremiti leggeva qualche brano della Bibbia o dei Padri. 

I conversi dimoravano parimenti entro i limiti del deserto, ma le loro abitazioni si trovavano più in basso dei romitaggi. Spettavano ad essi i lavori esterni, soprattutto quelli rustici, necessari al sostentamento della comunità. Attendevano inoltre alla coltivazione dei campi, alla pastorizia, al taglio della legna, all'esecuzione degli svariati lavoretti artigiani che la difficile conservazione degli edifici esigeva. In una parola, progettavano la preghiera e la solitudine degli eremiti, pur conducendo anch'essi, a misura del possibile, vita contemplativa. Mirabile solidarietà spirituale d'un gruppo d'uomini, ugualmente accesi di amor di Dio ed organizzatisi tra loro affinché dalle loro vite associate derivasse la pura contemplazione. Sulla vita dei primi Certosini ci sono giunte due preziosissimi attestati: uno proveniente da Guiberto di Nogent; l'altro, da Pietro il Venerabile, abate di Cluny. Guiberto di Nocent non ha mai visitato la Gran Certosa, ma ha appreso le notizie che trasmette da testimoni diretti, e il suo attestato è veridico. 

La Certosa che egli descrive è quella del 1114; essa ha trent'anni di vita. Pietro il Venerabile invece scrive verso il 1150, ma conosce la Certosa dal 1120: egli era allora Priore del priorato benedettino Doméne, non lungi da Grenoble. In seguito è rimasto in relazione epistolare molto amichevole coi Priori di Certosa; anche dopo la sua partenza da Doméne visitò più volte i suoi amici del deserto, dei quali ammirava la vita. La sua testimonianza quindi è di poco posteriore a quella di Guiberto di Nogent, ma è diretta e più personale. Ascoltiamo codesti testimoni, uno dopo l'altro. Guiberto di Nogent descrive anzitutto il luogo scelto da Bruno per suo romitaggio come << un'ardua ed oltremodo orrida prominenza ( promontorium ), alla quale dava accesso una strada difficilissima e ben diversa  dalle altre >>. Quindi prosegue: << La Chiesa dell'eremo trovasi non lungi dalle falde del monte; essa si promulga in un insieme di costruzioni con pendìo leggermente sinuoso, in cui vivono tredici monaci, i quali hanno un chiostro abbastanza confacente agli esercizi della vita cenobitica, ma non coabitano in chiostro come gli altri monaci.

Lungo il circuito del chiostro ognuno ha una propria cella in cui lavora, dorme e fa i pasti. La domenica riceve dall'economo il pane ed i legumi necessari per la settimana... Ricevono l'acqua potabile e quella necessaria per gli altri usi dalla fonte mediante una conduttura che fa il giro delle celle e per determinate aperture si riversa in ciascuna. Le domeniche e i giorni di festa solenne fanno uso di formaggio e di pesce; di quest'ultimo quando ne ricevono in dono da buone persone, dato che essi non ne comprano... Quando bevono del vino lo tagliano con acqua di guisa che non dà loro alcun forza... a mala pena è migliore dell'acqua... I loro abiti sono molto poveri... Si radunano nella Chiesa a determinate ore, e non alle solite come facciamo noi...  >>. 

Contiuna....

Andrè Ravier 

                                                                         LAUS  DEO


                                                         Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                  Terziario Francescano