Visualizzazioni totali

giovedì 1 ottobre 2015

SAN PEDRO DE ALCANTARA - TRATTATO DELLA PREGHIERA E MEDITAZIONE - SETTIMA ED ULTIMA PARTE.



SAN PEDRO DE ALCÁNTARA 

 TRATTATO DELLA PREGHIERA 
E MEDITAZIONE 


Pietro d'Alcantara, (1499-1562), uno dei direttori spirituali di Santa Teresa d’Avila, 
fu Riformatore, e fondatore di alcune Province dei frati Scalzi di S. Francesco in Spagna. 
Il trattatello sull'orazione, fu tradotto quasi in tutte le lingue. 
Fu Canonizzato nel 1669 da Papa Clemente IX . 


COMPOSTO DAL PADRE FRA' PEDRO DE ALCANTARA 
FRATE MINORE DELL'ORDINE 
DEL BEATO SAN FRANCESCO, 
DIRETTO AL MAGNIFICO E DEVOTO SIGNORE 
RODRIGO DE CHAVES, 
ABITANTE DI CIUDAD RODRIGO 

 capitolo quinto 


ALCUNE AVVERTENZE NECESSARIE PER COLORO 
CHE SI DEDICANO ALLA PREGHIERA 

Una delle cose più ardue e difficili di questa vita è saper andare verso Dio e trattare con lui familiarmente. E non si può certo procedere per questa strada senza una buona guida né senza qualche avvertenza per non smarrirsi e, per questo, sarà necessario issarne qui qualcuna con la nostra consueta brevità. 


Prima avvertenza 

La prima riguarda lo scopo che con questi esercizi si deve conseguire. Bisogna rendersi conto che (essendo la comunicazione con Dio tanto dolce e gradevole, come dice il sapiente) molte persone, attratte dalla forza di questa meravigliosa dolcezza (che trascende tutto ciò che si può dire), giungono a Dio e si dedicano agli esercizi spirituali, lettura, preghiera, pratica dei sacramenti, per la gioia che ne ritraggono, così che il fine a cui tendono è il desiderio di questa meravigliosa dolcezza. Questo è un grande ed universale inganno in cui molti cadono. Il fine precipuo di tutte le nostre azioni deve essere amare Dio e cercarlo, mentre questo invece è amare e cercare se stessi, ossia la propria gioia e il proprio appagamento, che è il fine a cui i filosofi aspirano nella loro contemplazione. E questa è anche, come dice un padre della Chiesa, una specie di avidità, di lussuria, di gola spirituale, che è non meno pericolosa di quella materiale. 

Da questo stesso inganno ne consegue un altro non meno grave, cioè il giudicare se stessi e gli altri sulla base di questa gioia e sensibilità, credendo che uno abbia un grado maggiore o minore di perfezione, quanto più o meno gode di Dio, il che è un grave inganno. Contro questi due inganni è utile questa avvertenza e regola generale: capire che il fine di tutti gli esercizi e di tutta la vita spirituale è l'obbedienza ai comandamenti di Dio e il compimento della divina volontà, per cui deve morire la volontà propria perché viva e regni quella divina che è ad essa tanto contraria. 

Poiché non si può conseguire una vittoria così grande senza grandi favori e privilegi da parte di Dio, bisogna impegnarsi nella preghiera proprio per conseguire questi favori e privilegi che favoriscano l'impresa. In questo modo e per raggiungere questo fine, si possono chiedere e cercare le gioie della preghiera (come prima abbiamo detto), come le chiedeva David quando diceva: "Rendimi la gioia della tua salvezza e rinfrancami di uno spirito generoso" ( Sal 50, 14). Si comprenderà allora quale deve essere lo scopo di questi santi esercizi e come si deve considerare e commisurare il proprio vantaggio e quello degli altri non sulla base della gioia che si sarà ricevuta da Dio, bensì sulla base di quanto da Dio si potrà avere patito facendo la sua volontà e sacrificando la propria. 

Che questo debba essere il fine di tutte le nostre letture e preghiere non voglio spiegarlo con altri argomenti che con quella divina preghiera del salmo Beati immaculati in via (Sal 118) che nei suoi centosettantasette versi (è infatti il più lungo del salterio) non ne ha uno che non parli della legge di Dio e del rispetto dei suoi comandamenti, il che volle lo Spirito Santo affinché gli uomini si rendessero conto che le loro preghiere e meditazioni debbono essere ordinate tutte o in parte a un solo fine: l'obbedienza e il rispetto della legge di Dio. Tutto ciò che da esso si allontana è sottile e appariscente inganno del nemico, che vuol far credere agli uomini di essere importanti, mentre non lo sono. 

Per cui dicono molto bene i santi che la vera prova dell'uomo non è la gioia della preghiera, bensì la pazienza della tribolazione, l'abnegazione di se stessi, il compimento della divina volontà, anche se a tutto ciò sono di grande vantaggio sia la preghiera che la gioia e le consolazioni che se ne traggono. 

In base a ciò, chi volesse vedere quanto ha guadagnato nella strada verso Dio si deve domandare: Quanto cresce ogni giorno in umiltà interiore ed esteriore? Come sopporta le ingiustizie degli altri? Come riesce a tollerare le debolezze altrui? Come provvede alle necessità del suo prossimo? Come compatisce senza sdegnarsene i difetti altrui? Come ripone la speranza in Dio nel momento della prova? Come tiene a freno la sua lingua? Come sorveglia il suo cuore? Come tiene sottomessa la carne con tutti i sensi e le sue passioni? Come sa giovarsi della prospera e dell'avversa sorte? Come riesce a comportarsi con previdente gravita e discrezione in tutte le circostanze? Oltre tutto ciò, guardi se è morto in lui l'amore della gloria, della gioia, del mondo e si giudichi sulla base del vantaggio o dello svantaggio che avrà in ciò conseguito e non sulla base di ciò che sente o non sente di Dio. Per questo deve sempre avere un occhio, il più attento, alla mortificazione e l'altro alla preghiera, perché la mortificazione stessa non si può conseguire perfettamente senza l'aiuto della preghiera. 


Seconda avvertenza 

Se non dobbiamo desiderare consolazioni o diletti spirituali solo per fermarci ad essi, bensì per i vantaggi che ci procurano, tanto meno si debbono desiderare visioni, rivelazioni o rapimenti e cose simili che possono essere molto pericolose per chi non è ben radicato nell'umiltà. E non si abbia paura di essere con ciò disobbedienti a Dio, poiché quando egli vuole rivelare qualcosa, sa manifestarlo in modo tale che, per quanto si cerchi di fuggirlo, risulta tanto evidente da non poterne dubitare, anche se non lo si vuole. 


Terza avvertenza 

Bisogna inoltre stare attenti a non rivelare i favori o privilegi che nostro Signore concede, escluso, s'intende, il direttore spirituale. Per cui dice san Bernardo che l'uomo devoto deve avere scritte nella sua cella queste parole: Il mio segreto è per me, il mio segreto è per me (Serm. 23 sup. cant.). 


Quarta avvertenza 

Bisogna inoltre stare bene attenti a trattare con Dio con la più grande umiltà e il maggior rispetto possibile, in modo che l'anima, così favorita e privilegiata da Dio, non distolga gli occhi da dentro di sé per guardare la sua meschinità, raccolga le sue ali e si umili davanti a tanto grande maestà, come faceva sant'Agostino di cui si dice che avesse imparato a rallegrarsi timorosamente della presenza di Dio. 


Quinta avvertenza 

Abbiamo detto prima che il servo di Dio deve preoccuparsi di avere il tempo stabilito per occuparsi di Dio, ma che oltre a questo tempo, usuale di ogni giorno, deve ogni tanto liberarsi da ogni genere di occupazioni, per tante che siano, per dedicarsi tutto agli esercizi spirituali e dare alla sua anima un pasto abbondante con cui recuperare quello che ogni giorno si disperde a causa dei propri difetti e acquisire nuove forze per andare più avanti. Nonostante ciò si debba fare anche in altri momenti, soprattutto bisogna farlo nelle feste principali dell'anno e nei momenti di dolore e tribolazione o dopo lunghi viaggi o affari che abbiano causato distrazione e dispersione nel cuore, per tornare a raccoglierlo. 


Sesta avvertenza 

Ci sono inoltre alcuni che hanno poco tempo e misura nelle loro fatiche devote, quando si trovano bene con Dio. Per questi la prosperità stessa viene ad essere occasione di pericolo. Ci sono molti, infatti, a cui pare che questa grazia sia loro concessa a piene mani e che, trovando così dolce il contatto con il Signore, si dedicano tanto ad essa e prolungano tanto i tempi della preghiera, le veglie, i sacrifici fisici che la natura, non riuscendo a sopportare un peso così continuato, si riduce a terra. 

Da ciò deriva il fatto che molti si rovinano la testa e lo stomaco e si rendono incapaci non solo di altre fatiche fisiche, ma anche degli stessi esercizi di preghiera. Per la qual cosa, bisogna avere molta cautela in queste circostanze soprattutto all'inizio, quando il fervore e le consolazioni sono maggiori e minori l'esperienza e la misura, per non fiaccarsi le gambe e arrendersi a metà strada. 

L'altro estremo contrario è quello di coloro che se la prendono comoda e, col pretesto della discrezione, risparmiano al loro corpo le fatiche, cosa che, se è molto dannosa a tutti, lo è molto di più per coloro che cominciano, perché, come dice san Bernardo, è impossibile che perseveri molto nella vita religiosa colui che si risparmia quando è novizio (Ad frafres de Mont.); da principiante vuol essere prudente e, da ragazzo ancora novellino, comincia a risparmiarsi e a prendersela con comodo come un vecchio. 

Non è facile giudicare quale di questi due estremi sia più pericoloso, benché è certo che alla mancanza di misura (come dice molto bene Gerson), e finché il corpo è in buona salute, si può porre rimedio, quando è già rovinato dalla mancanza di misura, si può fare ben poco. 


Settima avvertenza 

C'è anche un altro pericolo su questo cammino, forse più grave degli altri ed è che molte persone, dopo aver esperimentato alcune volte la virtù inestimabile della preghiera e aver visto per esperienza come tutta l'armonia della vita spirituale da essa dipenda e che essa è il tutto e che sola basta a porci in salvo, si scordino delle altre virtù e rifuggano da tutto il resto. Da ciò deriva che come tutte le altre virtù aiutano questa, mancando il fondamento, manchi anche l'edificio e così, mentre si cerca questa virtù, meno si riesce a procedere con essa. 

Per questo dunque il servo di Dio deve porre gli occhi non in una sola virtù, per grande che sia, bensì in tutte, perché, come nella chitarra una sola corda non fa armonia se non suonano tutte, così una sola virtù non basta per fare questa spirituale consonanza, se tutte non si accordano con essa. Come un orologio se si guasta un solo ingranaggio si ferma completamente, così si blocca l'orologio della vita spirituale se manca una sola virtù. 


Ottava avvertenza 

È necessario ora tenere presente che tutti gli avvertimenti detti sin qui per promuovere la devozione devono essere presi come preparazione per accostarsi alla grazia divina, impegnandosi in essi, ma abbandonando la fiducia in essi per riporla in Dio. Dico questo perché esistono alcune persone che eseguono a puntino tutte queste regole e disposizioni, credendo che, come colui che impara un mestiere, una volta che ne abbia osservate tutte le regole, per merito di esse diventerà un buon artigiano, così chi abbia rispettato queste regole, possa ottenere, per loro merito, ciò che desidera; non tengono conto che in questo modo trasformano la grazia in tecnica e attribuiscono a regole e artifici umani ciò che è pura e spontanea misericordia del Signore. 

Per questo, bisogna prendere questi consigli non come frutto di tecnica bensì di grazia, perché in questo modo ci si renderà conto che il primo strumento che è necessario è una profonda umiltà e il riconoscimento della propria miseria con una grandissima fiducia nella misericordia divina, perché dal riconoscimento dell'uno e dell'altra derivino continue lacrime e preghiere con le quali, entrando per la porta dell'umiltà, si raggiunga ciò che si desidera e se ne ringrazi senza nessuna punta di presunzione ne’ nel proprio modo di pregare ne’ in altra cosa che non sia di Dio. 

FINE 

a cura del Rev. Padre Pasquale Valugani Milano : 
Pontificia editrice arcivescovile G. Daverio, stampa. 1953 



LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano