Teresa Margherita Redi
del Sacro Cuore di Gesù
Monaca Carmelitana Scalza
(Teresiana)
Santa
*1747 +1770
E’ legge misteriosa, ma certa, che Dio concede il dono della castità solo agli uomini. I più grandi maestri di vita spirituale, i più grandi Santi della Chiesa, hanno sempre riconosciuta la connessione necessaria e soprannaturale che è fra queste due virtù.
Suor Teresa Margherita fu sempre umile di cuore, e per ciò fu anche singolarmente casta. Dio l’aveva arricchita del raro dono e privilegio d’ignorare affatto ciò che fosse vizio opposto a questa virtù. Abbiamo dai processi e dalle testimonianze dei suoi confessori che ella mai provò gli effetti di quella ribellione della carne contro lo spirito, che sono una conseguenza del peccato originale. Fu esente da qualunque pensiero che potesse minimamente adombrare la sua purità. Quindi era oltremodo modesta, composta e riservata in tutti i suoi atti ed in tutte le sue parole. Un solo detto che avesse accennato a ciò che non è conforme a questa bella virtù, bastava per farla cadere svenuta.
Il Padre Cioni della Compagnia di Gesù, già suo Confessore, in lettera datata da Pistoia il 28 Aprile 1770, ci lasciò questa testimonianza: << L’illibatezza della Serva di Dio fu da me e da altri riconosciuta singolare, e più minutamente osservai un grande interiore lavorio, per cui con suo non legger patimento si sforzava di comparir all’esterno come le altre. Giudicai che ella già possedesse una virtù simile a quella di San Luigi >>.
E la Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova, sua sotto-Maestra, fece questa deposizione: << Era sì semplice ed innocente che io e comunemente le altre religiose siamo nel sentimento che ella ignorasse quello che si oppone alla castità, ma altresì sapesse in pratica tutto quello che la può rendere sicura; e della di lei semplicità ed innocenza manifesto indizio fra gli altri fu che allora quando era novizia, nell’estrazione essere solita farsi nella ricorrenza della solennità dello Spirito Santo, essendole toccato in sorte il dono della continenza, non ne sapeva il significato, onde compita l’estrazione, mi domandò sotto voce quel che voleva dire ed io le risposi: l’esser continente nel mangiare. Ne restò persuasissima tanto che moderò la porzione del cibo quale soleva prendere, in forma che fu necessario obbligarla in virtù d’obbedienza ad usarlo in quella quantità che per prima era stata solita e le era necessario per la di lei sussistenza >>.
Fu più volte osservato come ella provasse grande pena nell’udire anche qualche parola troppo giocosa o ridicola, credendo che anche solo questo potesse togliere o macchiare il bel giglio della sua purità. Ascolta da una giovane addetta al servizio del Monastero una frase che alle sue orecchie non suona troppo bene, e fugge velocemente rimanendo nascosta per molto tempo a piangere, perché credeva aver offeso la santa purità.
Era giunta a tanto la sua modestia, che se qualche volta era costretta dall’obbedienza a portarsi alla grata e ad alzarsi il velo, mai rivolgeva lo sguardo verso le persone con le quali parlava; i suoi occhi non fu mai possibile mirarli: li teneva sempre socchiusi e fissi in terra. Quante astuzie non si usarono per indurla ad alzarli anche un solo istante! Il solito rossore del volto rivelava quanto penasse il suo cuore a quella prova.
Quando un’anima, così amante della castità, ha acquistato quell’attitudine così modesta, discreta e pura, quale abbiamo ammirato nella nostra giovinetta, si può dire che è giunto il tempo in cui si compie il poema della tenerezza sovrannaturale, delle espansioni angeliche, del sacrifizio instancabile, degli scambi deliziosi tra Dio che si comunica più generosamente ed essa che ama Dio più ardentemente.
E’ allora che si dà a queste anime il nome di angeli.
Sappiamo che questi spiriti celesti amano la castità e ne sono i protettori ( Cornelio a Lapide ). Essi vegliano sopra i vergini, e nessuno e privo di questi amici invisibili che non si addormentano mai al proprio posto ( Ps. CXX, 3, 4. ); che ci proteggono in tutte le nostre vie, ci portano nelle loro mani, perché il nostro piede non inciampi nella pietra della via ( Ps, XC, 12. ).
Quanti esempi noi abbiamo, nella storia, della protezione degli angeli! Quanti altri ne abbiamo di anime semplici, candide, che conversarono giornalmente con gli angeli del Signore?
Una di tali anime fu appunto Suor Teresa Margherita .
Più volte, significando al Confessore le grandi obbligazioni che essa aveva questi spiriti celesti, aveva dato indizi non dubbi di aver ricevuto grazie e dimostrazioni grandi della cura che gli angeli di lei. Un fatto solo, raccontato dal cavaliere suo padre, è bastante per provare come ella fin da piccola abbia avuto una dolce familiarità con questi spiriti celesti. Aveva ella stessa confidato con santa semplicità come, ancora bambina, avendola la cameriera una domenica lasciata sola in casa per andare alla Messa, mentre, chiusa a chiave nella sua cameretta , se ne stava in ginocchio per consuete orazioni, si vide a lato due bellissimi giovani, senza punto paventare, prese subito a favellare con essi, e sentì dire: << Continua pure Anna Maria, la tua festa, dovendo Gesù essere tuo Sposo >>. Disparvero, lasciando il suo cuore inondato di quella dolcezza ineffabile da cui sono sempre accompagnati i doni di Dio.
Il Patriarca San Giuseppe era per lei il primo Angelo, il custode di sua innocenza. Nel suo esempio trovava la stima alla verginità e l’amore a Gesù ed a Maria. Egli stesso dirigeva i suoi passi all’ombra del suo patrocinio.
Prossima a qualche solennità del Signore, era solita raccomandarsi alla Vergine SS. Perché le ottenesse dal suo Gesù qualche grazia; e, a tale scopo chiusa nella sua celletta, scriveva in ginocchio le sue preghiere e le presentava alla sua cara Madre perché le ottenesse da Gesù quanto su quei pezzi di carta aveva scritto.
Se ne conservano ancora di tali preghiere:
<< Santissima Vergine Madre di Dio e mia ancora - dice una di queste -, ecco che io piena di fede mi presento a Voi con questo memoriale per supplicarvi istantemente di una grazia in questa cara solennità. Bramo un gran fervore di spirito e un assoluto distacco da tutte quelle cose che m’impediscono il porre in esecuzione quelle mire che ha avuto il Signore nel chiamarmi alla Religione. Mi pare di esserne molto bisognosa, e sapendo che vi preme l’onore di Dio e la mia santificazione, spero che mi esaudirete. Dalla mia amata cella >>.
Non c’era omaggio esterno che la nostra Santa non prestasse a questa Madre celeste. Fino da giovinetta ebbe un culto affettuoso alle immagini della Santissima Vergine. Devote orazioni simili a quella citata di sopra, ferventi novene accompagnate da asprezze penitenze e rigorosi digiuni, erano cosa abituale in lei che ardeva del desiderio d’onorare e di vedere onorata Maria.
Quasi a perpetuare l’appagamento di tal brama, come si legge nei Processi Canonici, dopo la sua preziosa morte si diffuse in Italia sotto il titolo di << Invocazione a Maria di Suor Teresa Margherita del Sacro Cuore di Gesù >> una devota preghiera suggeritale dal Padre Ildefonso, con la quale in vita aveva preferito onorare Maria, approvata e indulgenziata da Mons. Incontri Arcivescovo di Firenze; e concepita in questi termini:
<< Io vi saluto infinite volte, o vera Madre del mio Signore Gesù Cristo. Ave Maria.
<< Vi saluto o Sovrana Regina degli Angeli, Imperatrice dell’universo. Ave Maria.
<< Vi saluto e vi riverisco, dolcissima Vergine Maria, Madre degnissima del mio Redentore. Ave Maria >>.
Dopo la devozione a Maria SS., a San Giuseppe, ai suoi santi fondatori Teresa di Gesù e Giovanni della Croce per i quali la Santa nutriva una devozione filiale, San Luigi Gonzaga, San Stanislao Kosta, soprattutto Santa Margherita Maria Alacoque, allora Venerabile soltanto, erano singolarmente venerati da lei con molteplici pratiche di pietà anche esterne; ma il suo spirito non restava menomamente imbarazzato, né perdeva la libertà del più profondo raccoglimento e della più alta contemplazione; anzi, attesta il Padre Ildefonso, << si diè a vivere di pura fede, ponendo ogni studio a purgare del tutto i suoi sentimenti e le sue potenze da ogni immagine di cosa creata e visibile per recarle tutte interamente al suo Dio. Così rilevai e ne rimasi convinto dalla Serva di Dio fino alle prime volte che io le parlai, prima come confessore straordinario nel mese di Luglio, e poi da che ella cominciò nell’anno stesso del suo noviziato a prendere colle debite licenze qualche direzione di spirito da me; poiché fin d’allora io la trovai in tale stato di purità di fede, che tutto il creato e il visibile la sollevava a Dio con una quieta e meravigliosa facilità, e tutto il suo studio era di mortificazione e purificare in modo sempre più eccellente e sollevato da ogni specie ed immagine creata le sue potenze, talmente che nella sua orazione anche i misteri della vita, passione e morte, e umanità SS. Di Gesù Cristo la portavano alla più alta contemplazione, nella quale poi contato s’immerse e si profondò soavemente, che negli ultimi due anni di sua vita le si convertì in quella pena acutissima di spirito, che sogliono sperimentare le anime più avanzate in questo divino esercizio >>.
Sembrandole non corrispondere abbastanza ai benefizi che di continuo riceveva da Dio nell’orazione, se ne confessava sempre con le lacrime agli occhi, e pregava il suo Confessore a supplire per lei nella Santa Messa.
<< In cella e nel suo diurno - si legge nei Processi - teneva scritto un ricordo che diceva “ Redde rationem ”, e chiaramente si conosceva dal suo modo religioso d’operare che rigorosamente esaminava ciascheduna delle sua azioni anche più indifferenti colle bilance di Dio e de’ suoi altissimi giudizi. Quindi è che scorgeva in sé ogni atomo d’imperfezione e spesso con gran sentimento d’umiltà ci domandava perdono di colpe che solo erano state notate da lei mercè l’occhio purgato di sua fede >>.
Molte volte, senza accorgersene, usciva in sublimi espressioni che palesavano di quali grazie e di quali doni soprannaturali di Dio continuamente l’arricchisse. Diceva che erano tanti i doni che sempre il Signore ci elargisce, che in essi << nuotiamo continuamente come tanti pesciolini nell’Oceano >>.
Quindi esclamava: << Quanto bene ci fa continuamente il nostro Dio! Che cosa dunque si può fare? Che si potrà mai dire e pensare di Lui? >>.
E a questo pensiero restava tacita, quasi fuori di sé. Non è da credersi che il suo cuore, donandosi così interamente a Dio, prendesse la tua tenerezza naturale. Tutt’altro! << Nel mondo - scrive Mons. Boutade -, si avvisa che l’amore di Dio renda sterile ogni amore umano, o che l’amore umano distrugga o metta in fuga l’amore di Dio. Ciò è falso: oggi, è vero, il cuore dell’uomo si è raffreddato. Il grande astro è estinto e tutto è ravvolto nelle tenebre; oggi più non si ama, perché si è cessato di amare Iddio. I Santi hanno insegnato che amando teneramente, profondamente, cristianamente il prossimo, si può arrivare a ciò che l’amore di Dio ha di più eroico e di più sublime >>.
Nella breve vita dell’angelica giovane ne abbiamo molte prove. Di mano in mano che il suo cuore veniva come consumato dalla fiamma del Divino Amore, la più bella, la più dolce di tutte le virtù, la carità, metteva in lei profonde radici e traluceva all’esterno. Ed ecco quanto avvenne verso la metà di Settembre di quello stesso anno 1765.
Una Novizia, Suor Maria Vittoria della SS. Trinità ( Martini ), anche prima di vestire l’abito religioso andava talmente soggetta al male dei denti, che non aveva pace né di giorno né notte. Fu questa la cagione per cui si dubitava della sua accettazione. Vestito l’abito, mentre un giorno a refettorio spasimava molto per il dolore, Suor Teresa Margherita non potè resistere a quella vista e, accesa da uno dei suoi soli impeti di carità, si alzò dal proprio posto, trasse in disparte l’addolorata sorella e, con la grazia di un angelo, le impresse un bacio sulla guancia, proprio là dove più intenso era il dolore.
Al contatto di quelle labbra verginali ogni sofferenza sparì e la Novizia felice rimase per sempre libera dall’inveterata infermità.
Si potrebbe osservare che la severa regola del Carmelo vieta il bacio; ma chi vedendo l’affetto prodigioso e, ciò che più conta, durato per sempre, non attribuirà ad aspirazione divina il bacio della carità?
<< Nessuno - lasciò scritto l’Apostolo San Giovanni - può dire veracemente di amare Dio, se non ama il proprio fratello >>.
E Suor Teresa Margherita amò infatti le sue consorelle fino a darne in ogni modo le più eroiche prove. Se alcuna era ripresa di qualche piccolo difetto, ne mostrava dispiacere, e sempre che potesse la scusava e si dichiarava ella stessa rea e meritevole di quelle riprensioni. Mai seppe pensare né concepire male di alcuno, e quante volte avesse sentito parlare di difetti che da qualche persona fossero stati commessi, o si allontanava con buon garbo o, se era obbligata a parlare, diceva: << Non avranno creduto di far male, non è possibile che sia vero >>, interpretando sempre bene tutto ciò che riguardava gli altri, scusando e difendendo per quanto era a lei possibile.
Erano questi i principi, o meglio i fiori di carità che più tardi avrebbero mandato il loro profumo tanto accetto al Cuore Divino.
Pochi giorni avanti il Santo Natale Suor Teresa Margherita fu rallegrata da una consolante notizia.
Suo fratello Francesco Saverio le scriveva: << E’ piaciuto al Signore di eleggere per sua sposa anche Suor Cecilia, ringraziatelo… e pregatelo eziandio istantemente nella elezione di me, mentre io gridando e pregando dico col cuore: quid me vis facere? >>. ( 30 Novembre 1765 ).
Dio realizzava ora il sogno della pia giovinetta: << Mio Dio - aveva spesso esclamato -, Voi conoscete ogni mio desiderio! >>.
Il segno ottenuto era dunque ben dolce al suo cuore: tenendo per certa la vocazione alla stato sacerdotale dell’amato fratello, gli scrisse al fine di eccitarsi a vicenda nell’amore santo di Dio, e non pensò più che ad essergli utile con atti costanti di preghiere, di buone opere, di mortificazioni.
Quanto è lieta al Carmelo la festa del Santo Natale! Quanti ricordi non suscita questo giorno nella mente dei figli di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce!
Queste due grandi anime erano innamorate del mistero dell’Incarnazione; le bellezze del Verbo Incarnato rapivano i loro cuori, e per il Fanciullo di Bethlemme avevano cantici e melodie celesti. Anche oggi al Carmelo i giorni del Natale sono giorni soavissimi, in cui tante anime semplici e candide si cullano per il Bambinello Gesù come in un’onda mistica di poesia, ed ogni sera gl’inni più belli risuonano intorno al Presepio.
Tale fu pure per la nostra giovinetta il primo Natale che passò al Carmelo. Insieme con le altre lavorò per preparare il Santo Presepio. E quando la sera, nelle sacre veglie, si cantavano inni al Pargolo Divino, la sua voce semplice e gentile ridiceva a Gesù tutto il suo ardore e tutto il suo amore.
Il pensiero che Dio si era tanto umiliato per nostro amore, la commuoveva; quel tenero bambino steso sulla ruvida paglia aveva attrattive potenti sul suo cuore innocente, onde spesso prorompeva in fervidi accenti di tenerezza ineffabile.
Ripensando al dolore che provarono Maria e Giuseppe nel vedersi negare alloggio dagli abitanti di Bethlemme, si rivolgeva loro e cercava consolarli nell’acerbità di quel grande dolore. E allora le tornavano alla mente le parole che Dio aveva detto per bocca del suo Profeta: << I miei fratelli mi hanno trattato come uno straniero e i figli di mia madre come uno sconosciuto >>. ( Ps. LXVIII, 9 ).
E le altre del Salvatore stesso: << Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo >>. ( LUCA IX, 58 ).
Quindi si rivolgeva a Gesù e, gemendo, aveva espressioni simili a quelle di Giovanni: << Voi, o mio Sposo, siete venuto nella vostra casa, nel vostro dominio, ed i vostri, quelli che avete generato e redento, non vi hanno ricevuto >> ( S. GIOV., I, 11 ); e, tutta raggiante di quel sacro fuoco di cui il petto ardeva, restava immobile nella più alta contemplazione di quel mistero.
Per l’infanzia di Gesù aveva mostrato sempre una devozione speciale fino dai più teneri anni. Da religiosa teneva nella sua cella una statuetta di cera che rappresentava Gesù bambino intorno a cui girava una tortuosa ed angusta strada, tutta ripiena di tante crocelline di legno e con una figurina di monaca in atto di andargli incontro. Intendeva di essere rappresentata ella stessa in quella figurina, sempre in traccia allo Sposo, anche fra le croci e i patimenti più duri.
Le sacre veglie di Natale furono dunque in quell’anno piene di un’allegrezza insolita per quelle religiose. Suor Teresa Margherita avrebbe voluto però di più per il Divino Pargoletto. Ci mancava il predicatore che esponesse a quelle buone Religiose le arcane meraviglie della grotta di Betlemme e le Divine Bellezze del Verbo Incarnato. Come fare? A chi ricorrere? A tutto aveva pensato la provvida Novizia. Chiesto il permesso alla Madre Maestra, aveva scritto al fratellino Francesco Saverio che si trovava tuttora nel collegio Cicognini di Prato. In quella lettera l’aveva pregato caldamente di comporre un discorsino sulla nascita di Gesù, dicendo che desiderava recitarlo nelle sacre vegli. Fu contentata; ed ella, in ricompensa, mandò al fratello due quadretti che aveva lavorati con le sue stesse mani.
Quale meraviglia e quale gioia non fu per le religiose, quando una sera furono avvisate che in Monastero vi era la predica! Avvolta nel suo bianco mantello, s’inginocchia la pia Novizia davanti al Presepio e, dopo breve preghiera, comincia a declamare il suo discorso. Da prima, invita le sorelle a portarsi col pensiero a quella capanna, dove << è apparsa la benignità >>, dove la stessa grandezza, il Verbo di Dio, si è tanto umiliato, a solo fine di essere amato dagli uomini. Quindi parla di Maria, della pena del suo cuore verginale nel vedere quel povero corpicino morso dal freddo, ferito dal nodo contatto della paglia.
Quale esempio - conclude la giovinetta - quale spettacolo di povertà, di sacrificio, di distacco, non ci ha dato il nostro buon Dio! Quale esempio di umiltà non ci ha dato Gesù! Ma questo pensiero agì con soverchia potenza sul tenero cuore; le lacrime che allora caddero dai suoi occhi, il volto raggiante di celeste felicità, tradirono la sua interna commozione e palesarono qual fosse l’amore che la consumava.
Così passarono le feste del Santo Natale e a gran passi si avvicinava il giorno della Professione. Ed ecco una fiera tempesta viene nuovamente a turbare il cuore della pia Novizia; i suoi demeriti non avrebbero forse persuasa la Comunità a rimandarla?…
E il Signore, quasi a rendere più sensibile la prova, la visita con un nuovo tumore al ginocchio. Dissimulando il suo male, si ricordò che portava l’abito di Maria, che ormai era sua figlia. Non avrebbe potuto questa buona Madre Celeste liberarla da questo nuovo pericolo, come già l’aveva liberata quando precipitò dalla scala? Piena di fiducia, ricorse a Lei con fervorose preghiere e, prima che le religiose si accorgessero del male, si trovò prodigiosamente guarita.
Compresa sempre dal sentimento di sua indegnità, benchè avvisata di prepararsi al giorno solenne, non osava quasi credere di essere ammessa alla Professione e chiese di pronunziare i voti in qualità di conversa. Non le venne concesso; ma ella conserverà in cuore l’umile suo desiderio, scegliendo ognora per sé nella casa di Dio gli uffici più umili e abietti.
Durante il ritiro nel quale si preparava alla Professione, scrutando il suo cuore davanti a Dio e non trovando nella sua bell’anima più nulla da emendare, la tenerezza filiale che portava al Padre le parve quasi un ostacolo alla pienezza del suo olocausto. Conoscerlo e immolarlo completamente al Signore fu un fatto. E in questo senso scrisse all’amato genitore: << Padre mio, voglio distaccarmi da lei per essere tutta da Gesù >>. E spiegava come aveva da essere questo distacco che doveva rendere più intima la loro unione nel Divin Cuore. Gli proponeva anche una sfida spirituale per gareggiare nell’amore di Dio: il perdente doveva cedere al vincitore il merito di tre Comunioni alla settimana. Le condizioni furono accettate: il distacco cagionò quindi un avvicinamento maggiore, intimo, indefettibile al Cuore di Gesù. ( Da una memoria lasciata al Cav. Ignazio Redi. La Santa scrisse pure un’amorevolissima lettera alla madre ). I propositi di quei giorni li scrisse sopra un libricino in questi termini:
<< Riflettendo al fine per il quale Voi, mio Dio, mi avete cavato dal nulla, e chiamata allo stato felice della religione, propongo e risolvo d’attendere in avvenire, con più coraggio, ad un’intera riforma di me stessa; e di spogliarmi affatto dalle mie inclinazioni, per aderire unicamente a Voi.
<< Considerando i mezzi che Voi, mio Dio, mi avete dati per la mia santificazione, risolvo, in avvenire, di riguardarli con più stima, ancorchè fossero di cose minute, e di prevalermene con tutto l’impegno, non per altro fine che per la pura Vostra Gloria, e per maggiormente amarvi e servirvi, nella forma e nella maniera che Voi, mio Gesù, per Vostra pietà m’avete obbligata; e ciò mai darò fine, poiché senza perseveranza, non vi è salute.
<< Avendo ponderato con attenzione, che non può chiamarsi vera sposa, o mio Gesù, che non raffrena le passioni più predominanti, vi propongo di vero cuore di esercitarmi a tutto costo nell’annegazione continua della mia volontà con intera obbedienza in tutto, senza dilazione; non tanto alle maggiori, quanto alle mie uguali e inferiori, dovendo imparare da Voi, mio Dio, che vi faceste obbediente in circostanze più aspre di quelle nelle quali mi trovo io.
<< Riflettendo che la sposa non può piacere allo sposo se non si studia con particolare diligenza di rendersi del tutto simile a lui; stabilisco adesso e per sempre, o mio Sposo Gesù, di procurare con tutto lo studio la Vostra imitazione, e di crocifiggermi tutta in Voi, con una più esatta mortificazione di tutte le mie potenze, passioni e sentimenti.
<< Considerando che i miei prossimi sono, o mio Dio, Vostre immagini, fatte a similitudine Vostra, prodotte dal Vostro Divino Amore e prezzo del Vostro Sangue, non sarà mai vero che io, in avvenire, non li riguardi con quell’occhio di vera carità, che Voi mi comandate: proponendovi adesso di compatirli in tutte le occasioni, di nascondere e scusare i loro difetti, di parlarne sempre con tutta stima, e finalmente, di mai mancare, avvedutamente, nella carità verso i medesimi, né in pensieri, né in parole, né in opere.
<< Riflettendo che il Vostro Divino cospetto, o mio Gesù, altro che non sono che un cumulo di miserie e di ingratitudini verso di Voi, perché piena di mille difetti, stabilisco adesso di fuggire e di aborrire ogni mia propria lode, e di mai dir cosa che potesse direttamente o indirettamente cagionarmela.
<< Dandomi Voi, o mio Dio, un lume chiarissimo: che non può un’anima essere tutta di Voi, se non si spoglia la mente e il cuore da ogni cura mondana per unicamente pensare a Voi; propongo stabilmente di non parlar mai delle cose del mondo, né di essere curiosa di saperle ancorchè fossero indifferentissime, ma d’interessarmi solo di quello che unicamente può condurmi a Voi; e però, per stabilirmi in questa determinazione, propongo ancora, mio Dio, di attendere anche in Monastero solamente a me stessa, e di mai badare a quello che fanno le mie Sorelle, e di essere sempre muta a tutto quello che faranno, sorda a tutto quello che diranno, e affatto cieca a tutto quello che accidentalmente io vedrò: volendo unicamente impiegare tutti i miei sentimenti per servire, lodare e benedire Voi, mio Dio, e mio unico Bene.
<< Sapendo, o mio Gesù, che chi ti sta sempre con Voi non può perire, e che la Vostra Divina, dolce conversazione fa disprezzare ogni cosa terrena, e produce nell’anima la vera pace e contento, propongo di vero cuore, per non separarmi mai da Voi e goder sempre le Vostre Divine Benedizioni, di attendere in avvenire, con più studio e diligenza, all’esercizio della Vostra Divina Presenza, e di affezionarmi, più di quello che non ho fatto finora, all’Orazione, non lasciandola mai senza obbedienza, e senza una gravissima necessità; e di soffrire con umiltà e rassegnazione quella aridità, angustie, timori e desolazioni, che per i Vostri Santissimi fini vi compiacerete di permettermi nell’esercizio della medesima.
<< Avendo ben capacitato che chi sente i Vostri Ministri sente Voi, o mio Gesù, e chi conferisce a loro conferisce a Voi, mossa da tal cognizione, propongo stabilmente di deporre e vincere tutta la ripugnanza che talvolta provo nell’aprire il mio interno e tutto il mio cuore a chi sta in luogo vostro, per il mio più sicuro spirituale indirizzo; promettendovi, con fermo proponimento, di secondare l’insegnamento della Nostra Santa Madre che dice: “ Al tuo confessore e superiore scoprirai tutte le tue tentazioni, imperfezioni e ripugnanze, a ciò ti diano consiglio e rimedio per vincerle ”, e di prestargli nella direzione dell’anima mia e del mio spirito, una semplice, pronta, cieca e costante obbedienza >>.
Tali propositi che fece la nostra Santa per meglio prepararsi alla Professione; propositi che osservò sempre fedelmente, e nei quali non si scorge che un unico desiderio, quello di giungere in breve ad una più alta santità.
La vigilia della Professione, in ossequi ad una pia costumanza del Monastero, si presentò in refettorio e, genuflessa, chiese perdono delle mancanze commesse, pregando le religiose ad aiutarla, nell’atto solenne che stava per compiere, con le loro orazioni, affinchè Iddio le concedesse la grazia della rinnovazione del suo spirito, per intraprendere una vita nuova e santa.
FONTE:
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934
LAUS DEO
Pax et Bonum
Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano