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domenica 13 aprile 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE SETTIMA terza.

 


Or ecco che i compagni dispersi si ravvedono e, riflettendo meglio sui consigli di Bruno, cominciarono a dubitare  della sensatezza della propria risoluzione. Riprendono contatto dapprima tra loro e poi tutti insieme con Bruno, o che questi abbia atteso nelle vicinanze della Certosa che Ugo di Grenoble facesse ritorno dell'abbazia  di La Chaise-Dieu, o che lo abbia accompagnato fino a detta abbazia da Seguino. Bruno e i suoi figli riconsiderano quindi lo stato di cose. Egli non ha cambiato idea: consiglia ai compagni di rimanere in Certosa, di continuare il loro comune esperimento spirituale; da Roma resterà ad essi fedele, li aiuterà con i propri consigli e la sua amicizia; e, dopo tutto, chi sa, può darsi che un giorno le mutevoli circostanze gli consentiranno di far ritorno!...  

Lo stato di cose si capovolge. Il consiglio di Bruno viene accettato, la comunità si ricompone, egli le da un nuovo Priore nella persona di Laudino. Si presenta allora il problema assai grave: il gruppo di solitari non è più proprietario dell'eremo di Certosa. Ora, detto diritto di proprietà, che assicura il sostentamento e l'indipendenza degli eremiti, è indispensabile perché essi possano riprender il loro genere di vita. Bruno fa quindi premura a Seguino per la retrocessione delle terre. Passo che per lui non andava esente da un po' di umiliazione: se la sua fermezza nei propositi era indiscussa ed incontestata, codesto tornare indietro poteva significare, per chi mal conosceva la vita intima del gruppo, una certa incostanza negli eremiti e soprattutto una totale incertezza riguardo all'avvenire della fondazione. Secondo l'ordine degli avvenimenti da noi adottato per ipotesi, Bruno partì per Roma nel febbraio 1090 e di certo viaggiò in compagnia dell'amico Guglielmo abate del monastero di Saint-Chaffre, che anch'egli si recava a Roma per affari della sua abbazia. 

In detto viaggio l'anima di Bruno era dominata da non poche e gravi apprensioni. Il gruppo, ricostituitosi per suo desiderio e col suo incoraggiamento, avrebbe perseverato? Laudino sarebbe stato pari all'ufficio di priore? Quale accoglienza avrebbe fatto l'abbazia di La Chaise-Dieu alla richiesta di retrocessione? E, quanto  a se stesso, l'incertezza della propria sorte non era meno dolorosa: certo, era ben risoluto a sollecitare Urbano II il permesso di far ritorno appena fosse possibile all'eremo di Certosa od almeno alla solitudine. Ben risoluto altresì, qualunque fosse il proprio destino, a ricostruirsi nella sua nuova esistenza una solitudine ed a vivere da eremita a misura del possibile fin nella Corte Pontificia. Ma nel caso che il Vicario di Cristo gli avesse imposto, come aveva imposto ad altri, un vescovato od anche lo avesse elevato al cardinalato, nella difficoltà in cui versava allora la Chiesa avrebbe egli avuto il diritto di esimersi? In una parola, egli lasciava dietro di sé qualcosa di prezioso, ma fragile; e dinanzi a sé l'orizzonte era del tutto coperto. 

Tali incertezze, dopo sei anni di pace, di silenzio, d'amicizia in Certosa dovevano gravare pesantemente sul cuore di Bruno... Senza dubbio egli giunse a Roma nel marzo del 1090. La cosa è anzi certa se si ammette che viaggiò con Guglielmo, abate del monastero di Saint-Chaffre, poiché il privilegio che questi veniva a sollecitare gli fu concesso in data 1° aprile 1090; e - sorprendente coincidenza - un ampio privilegio confermante tutti i diritti e privilegi della Chiesa di Grenoble reca quella stessa data: Bruno e Guglielmo non sarebbero forse stati per tale pratica i messi di Ugo di Grenoble? Ecco, dunque, verso la primavera del 1090 Bruno nella corte papale. Prima di seguirlo in questi nuovi avvenimenti diciamo qualcosa dell'accoglimento della richiesta di retrocessione delle terre di Certosa da lui fatta a Seguino. Sembra che le cose si svolgessero con minor sveltezza di quanto Bruno no sperasse: Seguino e può darsi anche Ugo di Grenoble volevano forse prendere tempo per porre un nuovo atto giuridico di trapasso della proprietà di Certosa? Certo è che Bruno giudicò prudente far intervenire Urbano II in detta pratica. 

In data che sfortunatamente ignoriamo, ma va posta tra il marzo e l'agosto del 1090, Sua Santità scrisse a Seguino la lettera seguente: << Urbano Vescovo, Servo dei servi di Dio, al carissimo figlio Seguino, abate del monastero di La Chaise-Dieu, ed a tutta la sua comunità salute ed Apostolica Benedizione. << Coloro che per obbedienza alla Chiesa Romana si sobbarcano a fatiche conviene che vengano altresì risollevati con l'aiuto della Chiesa Romana. Avendo noi chiamato al servizio della Sede Apostolica Bruno, nostro carissimo figlio, non possiamo permettere, perché non lo dobbiamo, che per essere egli venuto da noi il suo eremo soffra qualche danno. Pertanto vi preghiamo, carissimo, e pregandovi vi comandiamo di rimettere detto eremo nella sua primiera immunità. Vogliate altresì per amor nostro restituire l'atto di cessione dell'eremo che il predetto nostro figlio Bruno ha redatto di propria mano in vostro favore al momento della dispersione dei suoi confratelli, affinché il memorato eremo sia ristabilito in libertà di prima. Al presente i fratelli, che si erano dispersi, obbedendo alla Divina ispirazione sono infatti ritornati ed altro non desiderano che di perseverare nella loro vocazione nel medesimo luogo. Pertanto, dopo il recapito della presente non differite oltre trenta giorni la restituzione dell'atto summenzionato per il rispetto dovuto ai nostri ordini >>. 

La lettera di Urbano II superava in importanza il semplice trasferimento di un diritto di proprietà: essa costituiva la prima approvazione Pontificia dei Certosini e ribadiva un punto che sempre era sembrato a Bruno essenziale al suo disegno: la totale indipendenza dei suoi eremiti da qualsiasi patronato, vescovo, abbazia o principe. 

Continua.....

André Ravier 


                                                                             LAUS  DEO

                                                                           Pax  et  Bonum

                                                             Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                       Terziario Francescano


domenica 6 aprile 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO- PARTE SETTIMA seconda.


Dopo le feste natalizie , Rinaldo ripartì per la sua diocesi. Non sarebbe forse stato lui incaricato di trasmettere a Bruno l'ordine di recarsi a Roma? Di Bruno non aveva potuto non parlare con Urbano II. Nei colloqui tra codesti due uomini che discutevano dello stato della Chiesa di Francia, delle riforme da introdurre e soprattutto di persone sante e coraggiose da trovare e porre a disposizione del Papa legittimo, potevano non esser ricordati il nome di Bruno, la fondazione di Certosa, il compito di spirituale elevazione che quell'eremo ogni giorno maggiormente assolveva? Tanto più che l'uno e l'altro erano stati discepoli di Bruno e serbavano un vivissimo ricordo degli avvenimenti di Reims... D'altro canto il Papa e il vescovo ben ponderavano la gravità della risoluzione: sottrare Bruno a quell'esperimento spirituale non era forse troncare per sempre l'iniziativa sorta da poco e sì ricca di promesse?

 Finalmente Sua Santità si era risolto di correre detto rischio... Ma si può suppore che, invece di trasmettere l'ordine mediante un messo anonimo, per deferenza verso il suo maestro d'un tempo abbia preferito farglielo giungere per il tramite di un comune amico che inoltre assumeva nel Regno - ed il Papa ve lo aveva confermato col memorato privilegio del 25 dicembre - una delle più alte cariche ecclesiastiche... Se tale ipotesi fosse accettata, l'ordine degli avvenimenti verrebbe stabilito in modo abbastanza probabile: dopo le feste natalizie, Rinaldo lascia Roma, latore dell'ordine, ancora segreto, di Urbano II a Bruno. Tale viaggio invernale, attraverso regioni di cui talune infestate dai partigiani dell'antipapa Guiberto, doveva richiedere circa quattro settimane. 

Verso la fine di Gennaio del 1090 egli sarebbe giunto a Grenoble ed avrebbe trasmesso a Bruno l'ordine per partire per l'Urbe. E' questa una semplice ipotesi, resa, per altro, almeno verosimile dalla sua connessione con gli avvenimenti. Stando alle scarne frasi della Cronaca Magister, potrebbesi  supporre che la partenza di Bruno sia avvenuta in modo più semplice. Ma, se da parte di lui l'obbedienza fu completa ed incondizionata una volta venuto a conoscenza dell'ordine di Urbano II, di fatto la nuova provocò nel gruppo degli eremiti che vivevano con lui un grandissimo sgomento. Come concepire il deserto di Certosa senza la presenza di colui che ne era l'anima? Essi quindi risolsero di porre termine al loro esperimento e di separarsi abbandonando l'eremo. Alla fin fine, in un tempo in cui la vocazione eremitica era in auge, non mancavano esempi di eremiti che mettevano termine alla loro vita solitaria col ritornare ciascun allo loro stato anteriore ovvero con l'associarsi del gruppo a qualche vicina abbazia. 

Indarno Bruno si sforzò d'impedire questo gesto di scoraggiamento; la risoluzione venne presa: gli eremiti si sarebbero separati. Di tale dispersione abbiamo una prova incontestabile nella lettera di Urbano II e nell'atto giuridico di Seguino di cui fra poco parleremo; e siamo non meno certi che giunse fino all'abbandono dell'eremo. Il tempo stringeva. Dato che i suoi confratelli erano risoluti a non continuare senza di lui l'esperimento di Certosa, a Bruno rimaneva da regolar prima della partenza le questione di proprietà. Col consenso di Ugo, vescovo di Grenoble, che aveva giurisdizione sulle terre di Certosa, si risolse di rimettere la proprietà all'abbazia  di La Chaise-Dieu nella persona del suo abate Seguino. Il nome di questi non si trova tra quelli dei donatori sulla carta del 1086, e non era forse lui il solo donatore << ecclesiastico >>? Era naturale che quelle terre monastiche facessero ritorno al monastero. 

Inoltre alle porte del Massiccio di Certosa il priorato del Monte Cornillon dipendeva dall'abbazia di La Chaise-Dieu: ovviamente detto priorato si sarebbe annesso le terre dell'eremo. Bruno stese dunque l'atto di cessione. Lasciando Grenoble, Rinaldo, di cui si è detto, doveva recarsi all'abbazia di La Chaise-Dieu, sita a una trentina di chilometri a nord di Le Puy, per chiedere al celebre e fervente monastero che cedesse alcuni religiosi all'abbazia di San Nicasio di Reims, molto bisognosa di riforma. Ugo di Grenoble accompagnò Rinaldo, al fine di presiedere di persona alla commissione che avrebbe ratificato il dono che Bruno faceva della Certosa a Seguino... Non è escluso d'altronde che Bruno abbia partecipato al viaggio e, forse, anche Guglielmo, abate del monastero di Saint-Chaffre. Codesto momento della vita di Bruno è forse quello in cui maggiormente rifulge la sua spirituale grandezza. 

Poiché di che cosa alla fine si tratta per lui se non di sacrificare ciò che aveva tutto sacrificato e di ritrovare tutto ciò  a cui aveva rinunziato? Quella solitudine di Certosa, ottenuta a costo di tanta tenacia, di pazienza, di consapevoli rinunzie, e nella quale aveva finalmente trovato ciò che costituiva la più profonda aspirazione della sua anima: il casto amor di Dio; quello spirituale esperimento che sembrava  in ogni maniera favorito da Dio e dar mirabili frutti di santità, ecco che da un ordine del Papa repentinamente veniva ridotto a nulla. E bisognava ch'egli movesse verso quella Croce Romana ove avrebbe ritrovato - ed ancora più gravosi - tutte quelle preoccupazioni, tutti quei pericoli, tutto quell'insieme d'intrighi che aveva fuggito con l'allontanarsi da Reims. Avessero almeno i suoi amici, i suoi confratelli accondisceso a continuare l'esperimento, o se non altro a tentar di continuarlo! 

E invece, lui partito, essi volevano abbandonar l'eremo: nel momento supremo del suo proprio sacrificio la brusca evidenza che il piccolo gruppo, anche nel suo ammirevole sforzo di distacco dal mondo, aveva serbato una punta di viva adesione ad esso fu certamente per Bruno un'occasione di umiliarsi piuttosto che una consolazione. In tal modo egli veniva a trovarsi di fronte al totale sacrificio del suo disegno iniziale, per il quale aveva tanto lottato. Ormai egli aveva superato la sessantina... L'eremo di Certosa - questo << frutto >> del suo amor per Dio, questa realtà da lui concepita, formata, costituita, organizzata per offrirla al Signore in sacrificio di lode - per ordine della Chiesa, per ordine per uno dei suoi discepoli d'un tempo divenuto Papa, era annientato! 

Nella vita di non pochi santi che hanno istituito qualcosa per la Gloria di Dio, sovente scocca l'ora in cui Dio stesso chiede ad essi un atto di obbedienza o di fede - in fondo non è forse la medesima cosa, il medesimo profondo moto del cuore? - di sacrificare la propria opera. Ora patetica e dolorosa; ora nondimeno suprema, in cui l'anima, se consente, si trova come costretta ad accedere al più alto vertice della fede, della speranza della carità: per essa più non vi è che Dio solo, raggiunto nella sua trascendenza, nella sua assoluta indipendenza, amato puramente perché è Dio. Di fronte a simili immolazioni si è soliti ricordare Abramo nell'atto di sacrificare con le proprie mani Isacco, figlio della promessa. Nessun dubbio che nell'atto di obbedire Bruno abbia avuto ad un tempo coscienza sia di aver fatto qualcosa di grande per Iddio, d'aver istituito un genere di vita ricco di promesse per la riforma della Chiesa, sia dell'annientamento della sua opera a causa della propria partenza dell'eremo di Certosa.

Continua....

André  Ravier


                                                                           LAUS  DEO 

                                                           Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                    Terziario Francescano