Or ecco che i compagni dispersi si ravvedono e, riflettendo meglio sui consigli di Bruno, cominciarono a dubitare della sensatezza della propria risoluzione. Riprendono contatto dapprima tra loro e poi tutti insieme con Bruno, o che questi abbia atteso nelle vicinanze della Certosa che Ugo di Grenoble facesse ritorno dell'abbazia di La Chaise-Dieu, o che lo abbia accompagnato fino a detta abbazia da Seguino. Bruno e i suoi figli riconsiderano quindi lo stato di cose. Egli non ha cambiato idea: consiglia ai compagni di rimanere in Certosa, di continuare il loro comune esperimento spirituale; da Roma resterà ad essi fedele, li aiuterà con i propri consigli e la sua amicizia; e, dopo tutto, chi sa, può darsi che un giorno le mutevoli circostanze gli consentiranno di far ritorno!...
Lo stato di cose si capovolge. Il consiglio di Bruno viene accettato, la comunità si ricompone, egli le da un nuovo Priore nella persona di Laudino. Si presenta allora il problema assai grave: il gruppo di solitari non è più proprietario dell'eremo di Certosa. Ora, detto diritto di proprietà, che assicura il sostentamento e l'indipendenza degli eremiti, è indispensabile perché essi possano riprender il loro genere di vita. Bruno fa quindi premura a Seguino per la retrocessione delle terre. Passo che per lui non andava esente da un po' di umiliazione: se la sua fermezza nei propositi era indiscussa ed incontestata, codesto tornare indietro poteva significare, per chi mal conosceva la vita intima del gruppo, una certa incostanza negli eremiti e soprattutto una totale incertezza riguardo all'avvenire della fondazione. Secondo l'ordine degli avvenimenti da noi adottato per ipotesi, Bruno partì per Roma nel febbraio 1090 e di certo viaggiò in compagnia dell'amico Guglielmo abate del monastero di Saint-Chaffre, che anch'egli si recava a Roma per affari della sua abbazia.
In detto viaggio l'anima di Bruno era dominata da non poche e gravi apprensioni. Il gruppo, ricostituitosi per suo desiderio e col suo incoraggiamento, avrebbe perseverato? Laudino sarebbe stato pari all'ufficio di priore? Quale accoglienza avrebbe fatto l'abbazia di La Chaise-Dieu alla richiesta di retrocessione? E, quanto a se stesso, l'incertezza della propria sorte non era meno dolorosa: certo, era ben risoluto a sollecitare Urbano II il permesso di far ritorno appena fosse possibile all'eremo di Certosa od almeno alla solitudine. Ben risoluto altresì, qualunque fosse il proprio destino, a ricostruirsi nella sua nuova esistenza una solitudine ed a vivere da eremita a misura del possibile fin nella Corte Pontificia. Ma nel caso che il Vicario di Cristo gli avesse imposto, come aveva imposto ad altri, un vescovato od anche lo avesse elevato al cardinalato, nella difficoltà in cui versava allora la Chiesa avrebbe egli avuto il diritto di esimersi? In una parola, egli lasciava dietro di sé qualcosa di prezioso, ma fragile; e dinanzi a sé l'orizzonte era del tutto coperto.
Tali incertezze, dopo sei anni di pace, di silenzio, d'amicizia in Certosa dovevano gravare pesantemente sul cuore di Bruno... Senza dubbio egli giunse a Roma nel marzo del 1090. La cosa è anzi certa se si ammette che viaggiò con Guglielmo, abate del monastero di Saint-Chaffre, poiché il privilegio che questi veniva a sollecitare gli fu concesso in data 1° aprile 1090; e - sorprendente coincidenza - un ampio privilegio confermante tutti i diritti e privilegi della Chiesa di Grenoble reca quella stessa data: Bruno e Guglielmo non sarebbero forse stati per tale pratica i messi di Ugo di Grenoble? Ecco, dunque, verso la primavera del 1090 Bruno nella corte papale. Prima di seguirlo in questi nuovi avvenimenti diciamo qualcosa dell'accoglimento della richiesta di retrocessione delle terre di Certosa da lui fatta a Seguino. Sembra che le cose si svolgessero con minor sveltezza di quanto Bruno no sperasse: Seguino e può darsi anche Ugo di Grenoble volevano forse prendere tempo per porre un nuovo atto giuridico di trapasso della proprietà di Certosa? Certo è che Bruno giudicò prudente far intervenire Urbano II in detta pratica.
In data che sfortunatamente ignoriamo, ma va posta tra il marzo e l'agosto del 1090, Sua Santità scrisse a Seguino la lettera seguente: << Urbano Vescovo, Servo dei servi di Dio, al carissimo figlio Seguino, abate del monastero di La Chaise-Dieu, ed a tutta la sua comunità salute ed Apostolica Benedizione. << Coloro che per obbedienza alla Chiesa Romana si sobbarcano a fatiche conviene che vengano altresì risollevati con l'aiuto della Chiesa Romana. Avendo noi chiamato al servizio della Sede Apostolica Bruno, nostro carissimo figlio, non possiamo permettere, perché non lo dobbiamo, che per essere egli venuto da noi il suo eremo soffra qualche danno. Pertanto vi preghiamo, carissimo, e pregandovi vi comandiamo di rimettere detto eremo nella sua primiera immunità. Vogliate altresì per amor nostro restituire l'atto di cessione dell'eremo che il predetto nostro figlio Bruno ha redatto di propria mano in vostro favore al momento della dispersione dei suoi confratelli, affinché il memorato eremo sia ristabilito in libertà di prima. Al presente i fratelli, che si erano dispersi, obbedendo alla Divina ispirazione sono infatti ritornati ed altro non desiderano che di perseverare nella loro vocazione nel medesimo luogo. Pertanto, dopo il recapito della presente non differite oltre trenta giorni la restituzione dell'atto summenzionato per il rispetto dovuto ai nostri ordini >>.
La lettera di Urbano II superava in importanza il semplice trasferimento di un diritto di proprietà: essa costituiva la prima approvazione Pontificia dei Certosini e ribadiva un punto che sempre era sembrato a Bruno essenziale al suo disegno: la totale indipendenza dei suoi eremiti da qualsiasi patronato, vescovo, abbazia o principe.
Continua.....
André Ravier
LAUS DEO
Pax et Bonum
Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano