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giovedì 19 gennaio 2017

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA *1747 +1770 - PARTE DICIASSETTESIMA.




Teresa Margherita Redi 
del Sacro Cuore di Gesù 
Monaca Carmelitana Scalza 
(Teresiana) 
Santa 
*1747 +1770 

Dopo il fatto accennato, l’obbligazione più sacra di Suor Teresa Margherita, la sua occupazione più dolce, era di contemplare, di studiare e conoscere a fondo le disposizioni intime del Cuore di Gesù, per conformarvisi. 
La voce soave di Cristo le risuonava spesso alla mente: << Impara da me che sono mite ed umile di cuore >>; ed ella faceva dell’umiltà il suo studio intimo, della mortificazione il suo pane quotidiano. Al Divin Cuore confidava le sue risoluzioni, e, per meglio ricordarsene, soleva scriverle col proprio sangue. << Gesù mio - dice uno di questi scritti - voglio esser vostra a costo di qualsivoglia ripugnanza >>. << L’intelletto, la memoria ed i sensi esterni - dice un altro - bisogna talmente mortificare che diventino quasi spirituali, talmente che allora, ancor essi, insieme con l’anima, in Dio solo si pascolino, e possiam dire: “ Il mio cuore e la mia carne hanno esultato nel Dio vivente! ” >>. 
Avendo ben compreso il mistero della croce e delle spine da lei contemplato nel Cuore Divino, stabilì di appropriarsi gli oltraggi e le pene rappresentate misticamente in quegli strumenti di martirio. Come avrebbe potuto vivere senza la croce? E la croce che ella bramava era una croce pesante, simile a quella di Gesù; una croce ignominiosa, senza consolazione, senza conforto umano. Che gli altri avessero pure le più grandi consolazioni anche spirituali! A lei bastava solo salire al Calvario col suo Sposo Crocifisso, null’altro desiderando che partecipare ai suoi dolori, ai chiodi, alle spine, ai flagelli, senz’altra consolazione che quella di non averne affatto. << ogni mia consolazione - lasciò scritto - da Dio la desidero, in terra no, ma nel Cielo; poco mi curo di viver lieta, purchè io vivo religiosa. Di buona voglia io consegno il mio cuore in preda alle afflizioni, alle mestizie, ai travagli. Godo di non godere, perché a quella Mensa dell’Eternità, che mi aspetta, deve precedere in questa vita il digiuno. Non tolgo, ma differisco al mio cuore le gioie, perché allora senza tema di perderle riusciranno più gradite. Fuora di questa mura lasciai, insieme con le mie spoglie, ogni appetito che non fosse spirituale; tutti i miei desideri tengo al presente calcati e depressi, senza speranza che più si sollevino al mio petto. Niuna cosa maggiormente desidero, che la grazia di persistere a non desiderare cosa alcuna; e alle consolazioni terrene per me sta chiusa la porta del mondo e del cuore >>. Quali sentimenti degni veramente di cuore che si protestava di divenire una copia perfetta di Gesù Crocifisso! Qual sorte dunque non sarebbe stata per quest’anima ardente poter soffrire sempre in silenzio e finalmente morire sulla croce, oppressa da ogni sorta di miserie del corpo e dello spirito! Ella sarebbe rimasta volentieri quaggiù sino alla fine del mondo, per saziare questa fame e per estinguere questa sete. 
E come si espresse al suo Confessore, << non le sarebbe importato d’essere per tutta l’eternità condannata all’inferno, purchè il Signore le avesse concessa la grazia anche lì di amarlo sempre più, quanto avesse saputo desiderare >>. Il Confessore ne era stupito e, domandandole che cosa sarebbe di noi, oltre tutti gli altri indicibili tormenti di senso, in quella pena incomprensibile di non veder mai in eterno il nostro buon Dio, ella, risolutamente e senza esitare rispose: << Credo, Padre, che l’amore ce li renderebbe tollerabili, e forse anche dolci, perché il solo amore fa superare tutto, come in parte è seguito nei santi martiri >>. 
Per ispirazione divina si obbligò << a non lasciar mai occasione, che le si presentasse, di patire e di patire quel più che poteva, sempre in silenzio fra sé e Dio >>. Mantenne scrupolosamente questa promessa fino alla morte. L’amante del Divin Cuore volle fino all’ultimo respiro della vita usare mille industrie per poter sempre soffrire in silenzio e morire sulla croce insieme con lo Sposo Crocifisso. 
Il solo adempimento esatto della Regola carmelitana secondo le riforme di Santa Teresa è atto eroico di penitenza; ma al desiderio insaziabile di Suor Teresa Margherita questa austerità era insufficiente; ed il suo amore seppe trovare i modi i più ingegnosi per continuare a mortificarsi. Abbiamo già veduto come da bambina, così nell’educando di S. Apollonia come nella casa paterna, aveva incominciato ad affliggere la sua carne innocente con lasciare le cose più delicate, col passare molte ore della notte in orazione, e con l’usare anche qualche strumento di penitenza. Ma dopo che fu religiosa, non vi fu genere di mortificazione che ella non abbracciasse. La necessità di cibarsi e di dormire era per lei una vera croce. Non partiva mai senza della mensa; e, per quanto fosse affaticata e negli ardori dell’estate sentisse il bisogno di bere, pure, eccetto qualche volta che le fu imposto dall’obbedienza, fuori del tempo della comune refezione non entrò mai nella sua bocca una stilla di acqua. Molte volte nella mensa s’interdiceva il pesce o le uova o il vino; e si legge nelle deposizioni che << ne domandava licenza alla Superiora con tal grazia, disinvoltura ed efficacia, che era come impossibile il negarglielo >>. Pure quel poco che doveva prendere per mantenersi in vita, lo rendeva amaro e disgustoso spargendovi della cenere e dell’assenzio polverizzato. 
L’abito delle religiose è abbastanza tormentoso a cagione della sua rozzezza, per cui nell’inverno non si adatta troppo bene alla persona in modo da difenderla dal freddo, e nell’estate, per essere tutto di lana, compresa anche la tonaca interna, riesce veramente di pena continua. Anche i sandali non sono tanto comodi, perchè, essendo formate di tante trecce di rozza canapa cucite insieme, formano un suolo tutto disuguale e come solcato. Tutte ci soffrono, specialmente nel principio; ma Suor Teresa Margherita non fu contenta di questo: un altro modo trovò per tormentarsi i piedi, ed era il mettersi sotto le piante alcuni noccioli di ciliegia o alcuni piccoli sassi, che le accrescessero la pena nel camminare. Era solita di usare spesso questa penitenza, ma specialmente in quei giorni di comune ricreazione in cui sapeva di dover andare con le altre a passeggio nell’orto. 
Nell’estate sudava così abbondantemente, che era sempre immersa in quella traspirazione noiosa che ella usava tergersi col fazzoletto di lana anziché con quello di lino. Nell’inverno andava molta soggetta ai geloni, per cui le si enfiavano le mani fino a scoppiare. Invece di curarli, li inaspriva stropicciandoli col fazzoletto di lana, lavandoli con acqua fredda, e perfino colandoci sopra la cera ardente per ricoprirne le crepature, perché non se ne accorgessero tanto facilmente le religiose, e così non la sollevassero da quella pena. Ma ciò che fa orrore è che quasi ogni sera recitava alcune preci ponendo quelle mani così scoppiate sotto le ginocchia. Ne usciva vivo sangue, e ancora se ne vedono le macchie su qualche foglio del suo breviario. Usava poi ogni diligenza perché nell’estate la propria cella fosse caldissima, e freddissima nell’inverno. Ma tutto questo era un nulla in confronto ai tormenti che usava con la più austera severità contro la sua carne verginale. Niente l’aver conservato inviolato il candore battesimale; niente l’aver fin da piccola cercato di essere tutta di Gesù fuggendo anche l’ombra della più piccola imperfezione; niente l’aver sempre mortificato con digiuni e penitenze il suo corpo; tutti i patimenti, tutte le mortificazioni, anche i più grandi sacrifici, erano stati un nulla per lei. Una croce lunga quasi un palmo, seminata da acute punte in fil di ferro, divenne lo strumento prediletto che le avrebbe scolpito nel cuore la memoria dei dolori del Signore. 
La nuda terra il luogo del suo breve riposo; finchè toltale dal Confessore tale licenza, ottenne di potersi adagiare sulle nude tavole appoggiando il capo sopra una pietra che le serviva di guanciale. Il Confessore rimaneva molte volte perplesso nell’approvarle tali penitenze, dicendo: << O, Padre! Che io non ho da fare mai nulla per il Paradiso? >>. Il Confessore allora le faceva conoscere che quelle penitenze non erano proporzionate alle sue forze; ed ella, protestandosi di essere sempre pronta all’obbedienza, subito riprendeva: << Ma con Gesù tutto si può! >>. E diceva tali parole con tanta umiltà e con tale espressione che il Confessore finiva quasi sempre col cedere e l’appagare i suoi ardenti desideri. 
Si era espressa più volte con le religiose di provar soddisfazione nel godere dell’aria aperta; pure, nell’ultimo anno di sua vita, volle privarsi perfino di andare a passeggio nell’orto. In un foglio scritto di sua mano, e che dopo la sua morte fu trovato fra gli altri manoscritti, sono segnate alcune mortificazioni delle quali aveva ottenuto licenza dalla Superiora. << Ogni sabato la disciplina, , di tenere la catenella, trentatre genuflessioni ogni giorno, cinque croci con la lingua in terra, dire cinque Pater e Ave con le mani in croce, di lasciare la frutta tre volte a settimana, e di tutte le sorta la prima volta >>. E in altro foglio chiede alla Superiora di portare la catenella tutti i giorni, almeno in quelli della Santa Comunione, e la disciplina, oltre i giorni in cui vien fatta dalla comunità e il sabato, una volta di più. In questo foglio si leggono, in tutti, quindici atti di mortificazione. Se qualche volta la Superiora le mostrava qualche difficoltà nel concederle di esercitare queste sue penitenze, ella, per indurla ad appagare il suo desiderio, era solito ripetere quel bel sentimento di San Bernardo e di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, e cioè che sotto un capo coronato di spine, flagellato e crocifisso, non sta ben un capo delicato e coronato di rose. 
<< E ciò diceva - scrive Mons. Albergotti - perché per quanto facesse, nulla le pareva di fare per Gesù, onde in supplemento gli offriva umilmente i suoi desideri e rinnovava spesso quel suo proposito di non lasciare mai occasione, né grande né piccola, di patire che le si fosse presentata e che voleva sempre accettata come offertale da lui >>. In Gesù Crocifisso meditava altresì spesso la gravezza degli altrui peccati e la durezza mostruosa dei peccatori; ed era inconsolabile per la pietà e per la compassione che ne provava. << Aveva gran pensiero - così la Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova - della conversione dei peccatori e per essi orava specialmente nel tempo del carnevale. Nel sentire gli strepiti che in detti giorni si facevano per le maschere dal popolo presso il Monastero, si rifugiava in Coro a raccomandarli al Signore Dio, e lo so perché in essermi trovata seco lei allorchè s’udivano tali strepiti, ella mi avvertiva di ricordarmi di pregare per essi, affinchè non avessero offeso Dio. 
Faceva straordinarie discipline e digiuni per impetrar loro la grazia di non incorrere nell’offese di sua Divina Maestà quando era novizia, e dalla Madre Priora dopo che ebbe compito il noviziato, né so se anche dai Confessori, e posso accertatamente deporne, perché essendomi noto il suo sistema fino da che era nel noviziato, talvolta l’interrogavo nei giorni nei quali non correva la disciplina per la Comunità se avesse avuto il permesso di farla per l’accennate anime, e dandomi in risposta un sorriso, comprendevo che aveva tal licenza, onde l’invitavo a fare assieme a me detto penale esercizio, ed ella ci si adattava, con premura operò che non si fosse risaputo da veruna, additandomi le maniere più sicure per le quali fosse restato occulto, onde io ne rimanevo sorpresa >>. 
La Madre Teresa Maria della Santissima Concezione, sua con novizia, fece quest’altra deposizione: << Grande fu lo zelo e la premura che si prendeva per l’aumento della santa fede, bramando ardentemente che tutti ( se fosse stato possibile ) fossero risorti dalle tenebre dell’ignoranza, aiutando colle orazioni tutti quelli che si affaticano per condurre l’anime a Dio. “ Ricordiamoci - spesso mi diceva - che la Nostra Santa Madre a questo fine principalmente fondò i nostri monasteri; se in questo saremo trascurate, noi degenereremo totalmente dal suo spirito, né ci riguarderà come sue figlie ” >>. E nella Settimana Santa, quando la Chiesa ci rammenta la passione e la morte del Signore, Suor Teresa Margherita non si saziava di piangere la cagione di tanti patimenti del Figlio di Dio, e presentava all’Eterno Padre le pene ed il Sangue preziosissimo di Gesù per la conversione e salvezza di tanti e traviati fratelli. A tale scopo chiedeva di aumentare in quei giorni le sue penitenze, che poi fu solita esercitare col medesimo rigore ciascun venerdì dell’anno. Sappiamo infatti che negli ultimi tre giorni della Settimana Santa ella, oltre le tre discipline che si sogliono fare ogni sera durante da tutto l’Ordine, si disciplinava in privato per lo spazio di un quarto d’ora. Ed una volta che la sopraddetta Madre Teresa Maria la consigliò a moderarsi, umilmente rispose: << Se giornalmente mi vedete commettere tanti mancamenti, non è un debito che qualche volta ne sentiate fare la penitenza? >>. << Quasi ogni giorno - dice il Padre Ildefonso - si disciplinava aspramente con flagelli di funicella rinforzata e ritorta, quando era per un quarto d’ora incirca, e quando per un’intera mezz’ora o più, ed in alcuni giorni replicava la stessa flagellazione due o tre volte, trovando luogo e tempo opportuno da ciò eseguire con tutta la segretezza: cingeva strettamente per più ore, talvolta per mezza giornata intera, una catena di acute punte di ferro, o ai fianchi o altra parte del corpo, fino a fenderne talora la carne e farne scaturire vivo sangue >>. Questo amore al patire aveva fatto nascere in lei come una santa invidia perfino di quelle indisposizioni e malattie con cui le altre consorelle erano visitate da Dio; onde spesso soleva dire: << Si vede che Gesù le tratte da vere Sue Spose, dando loro parte della sua Croce; ma a me che gli sono tanta ingrata, non dà mai niente da patire, godendo perfetta salute >>. 
Stanca per le fatiche della giornata e per le lunghe veglie della notte, durante il Mattutino che le Carmelitane Scalze recitano alle ore nove della sera, si sentiva presa da grande sonnolenza, e le era impossibile recitarlo col fervore bramato. Ciò era un martirio al suo cuore. Che fa allora la fervente giovane? Essendo capitato fra le mani, non sappiamo come, due tenagline a molla fortissima, dentate tanto sottilmente da penetrare con la massima facilità nella carne, ne chiede licenza al Confessore, e se le applica alle orecchie, nascoste dal soggolo. << Era così acuta la loro pena - lasciò scritto il Padre Ildefonso - che erano capaci dopo breve spazio di tempo di fendere la carne, e davano certo un tormento tanto sensibile e penetrante, che ne potevano cagionare anche il deliquio; come io, dopo la sua morte, avendone avuta una nelle mani, la sperimentai per brevissimo intervallo sopra di me, affine di concepire la forza di tal pena >>. 
Lo studio precipuo dunque di quest’Angelo non fu che di seguire, le tracce di Gesù più da vicino che fosse possibile. Ma l’unica sua contentezza era di soffrire in silenzio, di essere umile e rimanere nascosta anche alle consorelle; poiché aveva provato che nell’oscurità possiamo trovare più facilmente Gesù. Sapeva bene che per aderire a Dio è necessario modellare la propria vita su quella di Cristo, cioè dare il massimo valore alla vita interna, sentirsi sempre più saldi nell’umiltà, nello spirito di sacrificio, nell’amore di Dio e del prossimo. E tale fu davvero la vita del Salvatore. Una vita assorta nella conversazione del Padre, plasmata sulla Sua volontà, una vita piena di umiliazioni, di sacrifici: nell’umiltà del presepio, nell’oscurità di Nazaret, sul Calvario, nel silenzio del Sepolcro, nel mistero del Suo Amore. 
Gesù è veramente una radice d’umiltà, e i fiori che vivono dal suo succo sbocciano nell’ombra. Suor Teresa Margherita, emulando l’esempio del Salvatore, dette prove di questa vita interna nascosta a Dio e della più eroica penitenza. Sono sue le memorabili parole:  << Patire e tacere per Gesù >>. 


FONTE: 
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934. 



LAUS  DEO

Pax et Bonum 


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano