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venerdì 23 dicembre 2016

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA *1747 +1770 - PARTE QUINDICESIMA.




Teresa Margherita Redi 
del Sacro Cuore di Gesù
 Monaca Carmelitana Scalza 
(Teresiana) 
Santa 
*1747 +1770 

L’amore del prossimo non è che un effetto dell’amore di Dio: << Chi non ama - ha detto l’Apostolo San Giovanni - non ha conosciuto Dio, perché Dio è carità >>. Quest’amore Suor Teresa Margherita l’attingeva soprattutto dalla Santissima Eucaristia di cui era teneramente devota. 
L’Altare, dove Gesù vive e palpita d’amore, aveva per lei una potente attrattiva; nella Comunione accostava le labbra al Costato di Cristo, e da quel Divino Cuore attingeva carità. E’ questo il segreto per cui il suo amore rimaneva sempre inalterabile. Pensando a quanto ha fatto e sofferto Gesù per amor nostro, cercava contraccambiare tanto amore con l’andare incontro a qualunque mortificazione, sempre pronta ad abbracciare la propria croce e ripetere: << Dio ha patito tanto per me, e ben dovere che io patisca alcun poco per Lui >>. 
E quando le sembrava che la sua umanità fosse un po’ debole e che piegasse sotto il peso dell’umiliazione e della penitenza, tutta confusa, rimproverando questa sua debolezza, diceva: << Il mio Gesù non ha fatto così per me >>. 
Davanti a Gesù in Sacramento passava intere ore in profonda adorazione, con le mani giunte, senza alcun movimento, con un rispetto interno ed esterno, e con una sì grande modestia, che accendeva nella fede del Santissimo Sacramento le sue consorelle che ne erano felici testimoni. E lì, davanti al Santo Tabernacolo, dalla contemplazione saliva a poco a poco all’estasi e, dall’estasi qualche volta al rapimento di tutto l’essere. Le religiose, che non la perdevano di vista, la trovavano spesso immobile, con le mani composte sotto lo scapolare, col volto acceso. 
<< M’imbattei un giorno a vederla - così la Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova - entrando in Coro mentre vi avevamo il Santissimo esposto; e la vidi genuflessa davanti all’altare, così composta e raccolta, che sembrava inabissata nel velato Signore, e in così rimirarla compresi la grande cognizione che ella aveva del grande Iddio >>. << L’angelica sua compostezza - afferma un’altra - bastava a far rientrare in sé chiunque la mirava. Ho visto di suo carattere un sentimento che teneva nel diurno: “ Veramente Dio è in questo luogo. Occhi in terra, e cuore a Dio ” >>. 
Non finiva poi di predicare alle altre religiose la grande umiltà di Nostro Signore Gesù Cristo in soffrire le irriverenze che continuamente riceve dagli uomini nella sua stessa casa. Pensando poi che Nostro Signore per la maggior parte del giorno viene lasciato solo nelle Chiese, piangeva; non potendo comprendere come gli uomini fossero tanto ingrati verso questo Augustissimo Sacramento. E, fra non interrotti singhiozzi, misurava tutta la profondità di questa ferita al Divin Cuore; rimirava Gesù, e immaginandosi che anche lei ripetesse quelle dolenti parole: << Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, e che da essi è così mal corrisposto >>, versava dagli occhi amare lacrime e piangendo sugli altrui peccati correva alle consorelle, usando espressioni e gemiti simili a quelli di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi: << L’Amore non è amato, l’Amore non è amato! >>. 
Fu veduta più volte nel tempo della Santa Messa, e specialmente dopo la Santa Comunione, col volto così acceso da sembrare rapita in Dio. Le religiose, commosse, la guardavano: che cosa avvenisse fra Dio e quell’anima, Dio solo lo sa. Il fatto è che Suor Teresa Margherita parlava spesso dell’Augustissimo Sacramento con tanto ardore da commuovere le consorelle. Il suo pensiero era costante rivolto al Tabernacolo Eucaristico; e, come udirono e attestarono alcune religiose, anche quando stava a lavorare con le altre faceva atti di adorazione, stando sempre seduta rivolta verso la Chiesa; come pure andando a riposo, si accomodava in maniera di aver sempre la faccia rivolta ad essa. 
Si può dire che era ormai giunta a quell’unione con Dio, della quale nulla sopra la terra può fornirci l’idea. Quel Cuore Divino che vive e palpita nel Sacramento dell’amor suo, la rapiva ed assorbiva interamente. Il solo pensiero che Dio l’aveva eletta sua sposa, il vedersi già monaca, era ciò che la riempiva della più grande contentezza; e ciò perché ora poteva più liberamente concedere al suo cuore tutto l’agio di cercare il suo Dio, di sospirare un raggio del suo Volto Divino, per attrarne, come David, lo spirito vivificante. E ripeteva spesso con gioia: << Io abito nella stessa casa con Gesù Sacramentato >>. 
Simile nell’innocenza e nell’amore all’angelico San Luigi ( il Venerabile Menochio scrisse alle religiose di Santa Teresa in Firenze intorno alla Santa << nominandola un altro San Luigi, esortandole a ricorrere alla medesima nei loro bisogni e a imitarla, specialmente nell’amore di Dio >>. ), fin dalla sua prima Comunione, come altrove vedemmo, aveva presa l’abitudine di distribuire il tempo che la divideva da una Comunione all’altra in due parti; passando la prima in atti di gratitudine e di ringraziamento e l’altra in atti di d’amore e di desiderio. Ma se talora non le fosse stato permesso accostarsi a questo cibo di vita, oh quanto se ne affliggeva! Quei giorni erano per lei di sensibile languore. Fu udita più volte ringraziare il Celeste suo Sposo d’averla chiamata in un Ordine che professa tanta devozione verso l’Augustissimo Sacramento e che celebra con tanta pompa la cara solennità del Corpus-Domini. 
Quando le fu affidata l’ufficio di sagrestana, spiccò ancor di più la sua devozione verso Gesù Sacramentato. Con quanta cura prestava l’opera delle sue mani in quelle cose che dovevano servire al ministero dell’Altare! Lo spazzare il Coro, il preparare le lampade, era eseguito da lei con tale venerazione e contento che ben dava a conoscere in quanta stima avesse quell’ufficio. Il coltivare e procurare fiori per Gesù in Sacramento era per lei la più dolce ed onorevole occupazione, e mai dimenticava che nel giardino fossero i più bei fiori da porre davanti a Gesù. Oh, i fiori ebbero sempre un linguaggio divino per Suor Teresa Margherita! Ne adornava spesso l’altare del Coro, simboleggiando in loro, come faceva in tutte le cose sensibili, la vaghezza, la soavità e fragranza mistica dell’orazione delle religiose, e la bellezza delle loro anime nel cospetto di Dio. 
Dal giorno della sua prima Comunione, e specialmente poi dai primi giorni del suo noviziato, il suo cuore non palpitò che per Gesù Sacramento, la sua lingua non fece che pubblicarne le lodi, le grandezze, le virtù. E, come attestarono le religiose di allora, mentre era sagrestana, non fu mai udita, sia nel Coro che nelle stanze vicine alla Chiesa, proferir parola. Ogni volta che si avvicinava alla Chiesa, tutta la sua persona subiva un certo cambiamento che rivelava quanto fosse abitualmente raccolta. Passando per le stanze o i corridoi più vicini o in corrispondenza all’Altare Maggiore, genufletteva profondamente e, quando credeva di non esser veduta, faceva lo stesso anche dalle stanze più remote della Chiesa. 
Il desiderio suo più ardente era che tutte le creature divenissero vittime di carità, e che il Cuore di Gesù ricevesse ognora la libazione dei loro sacrifici e del loro amore. Da ciò l’emulazione nelle consorelle: come i serafini veduti dal Profeta Isaia, che si provocavano l’un l’altro alternativamente alla divina lode, così le religiose di Santa Teresa, 
quali colombe dal desio chiamate 
con l’ali aperte e ferme al dolce nido 
volan per l’aere dal voler portale….. 
( DANTE, Inferno, v. 82 ). 
facevano a gara nell’accostarsi a ricevere col più vivo trasporto Gesù, ed erano felici quando potevano trattenersi in dolci colloqui col Dio dell’Eucaristia. 
La mattina del 13 Novembre 1764, mentre Suor Teresa Margherita, allora probanda, faceva la pulizia del Coro e, con la mente rivolta al Tabernacolo, contemplava e adorava l’amore immenso di Gesù, nello spolverare il piano del Comunicatorio vide volare in terra un piccolo frammento di ostia. Il pensiero che quel frammento fosse consacrato le balenò subito alla mente. Non ebbe più pace, e corse affannosamente ad avvisarne la Madre Priora e la Madre sagrestana maggiore perché provvedessero subito all’inconveniente. Essa poi tornò veloce nel Coro e, prostratasi davanti a quel frammento, pensando che Gesù avesse sofferto qualche irriverenza, si sciolse in lacrime e non si alzò in quella posizione finchè il Padre Ildefonso, chiamato dalla Madre Priora, non lo ebbe raccolto e posto reverentemente nel sacro Ciborio. Questo fatto fece tanta impressione alla Serva di Dio che ne parlava frequentemente con tanta tenerezza indicibile. << Tornato al confessionale - narra lo stesso Padre Ildefonso -, mi pare certamente che mi fosse mandata subito lo stesso giorno, o se in ciò erro, la mattina seguente, affinchè io l’acquietassi della veemente agitazione che avevano riconosciuto averle cagionato il caso seguitole, nel quale però io posso ben testificare, e testifico, che molto più le avesse quella cagionato la grande apprensione e penetrazione della Maestà di Dio così umiliata per noi, e per quanto io mi dicessi di più efficace per rasserenarla, non fui capace di riuscire né in quel giorno, né in tutto il tempo di sua vita, poiché rare furono quelle volte che io poi le parlassi, nelle quali essa col medesimo sentimento di orrore e venerazione non mi rammentasse tra sospiri di gratitudine e di ammirazione l’enarrato successo >>. 
Quasi a ricompensarla di tanto amore e venerazione verso la Santissima Eucaristia, il Signore le concesse una grazia singolare, di percepire cioè un odore soavissimo e un sapore celestiale ogni volta che si fosse accostata alla Santa Messa. Anzi, avvicinandosi alle consorelle che si erano comunicate sentiva subito, quale odore delizioso, la vicinanza di Nostro Signore, e non sapeva staccarsene. Anche prima di vestire l’abito religioso, e precisamente quando era ammalata del tumore al ginocchio, ogni volta che la Madre sotto-Maestra si era comunicata ed entrava nella cella della Serva di Dio, per visitarla e somministrarle quella cure che la carità richiede, cercava sempre con industriosi modi di trattenerla presso il suo letto più che fosse possibile, dicendole tutta ridente e festosa che sapeva << odore di santità >>. 
<< Più volte - racconta questa Madre - mi si accostava e mi odorava, ma io invero non feci attenzione a questa di lei azione, apprendendola per una semplicità puerile ma avendola continuata ancora dopo che ebbe vestito il nostro sacro abito, ci feci riflessione, e notai che la ripeteva più nei giorni nei quali avevo fatto la Santa Comunione che in qualunque altro giorno e mi stava più d’appresso che poteva, e parlandone di qualche cosa da farsi, non mi attendeva, ancorchè fosse affare di cui avessi premura, e diceva: “ Che grande odore ha addosso! ” e non saziava di replicatamente gustarlo con particolare piacere. Io mi confondevo, e per quanto pensassi, non trovavo esservi alcuna cosa odorifera che avessi toccato >>. 
Interrogata che cosa intendesse per questo odore di santità, rispose che non lo sapeva esprimere, ma che al più l’avrebbe assomigliato a quello di certo fiore, che con vocabolo aretino chiamava << moschettone >> ed è il narciso. 
Il sapore poi soavissimo che provava nell’accostarsi alla sacra mensa, lo riteneva cosa sperimentata da tutti. Perciò, una mattina, dopo aver fatta insieme con le altre la Santa Comunione, domandò con semplicità e innocenza alla Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova che cosa volesse significare quel dolce tanto dilettevole che sentiva nelle sacre particole. Sorpresa da questa domanda, quella Madre non seppe per allora che cosa rispondere; ammirando come Dio operasse nella sua Serva quel favore singolare che era una figura di quella dolcezza intima, di cui nella Santa Comunione era ripieno il suo cuore. 
Al Confessore domandò perché il sapore di Gesù Cristo si sentisse nella Santa Comunione quando più e quando meno. E il Padre rivelò da queste parole che la Santa lo doveva provare frequentemente. Richiesta da lui della qualità di questo sapore, non seppe trovare alcuna cosa da paragonarlo, e costantemente lo chiamava il Sapore di Gesù Cristo. Per non toglierla dalla sua semplicità il buon Padre le rispose che, non essendo questo un effetto necessario del Sacramento << il Signore era padrone di concederlo quando, quanto e a chi voleva, e che perciò bisognava riceverlo con gratitudine, senza parlarne fuori che al Padre spirituale; ma che forse ciò poteva indicare la maggiore o minore disposizione ed amore di chi si comunicava >>. E questa grazia le fu abituale, facendole il Signore gustare maggiore soavità e dolcezza nelle feste più solenni dell’anno. 
Il suo spirito d’amore le aveva infusa ardente nell’anima la devozione al Divin Cuore. Per questo il giorno di sua vestizione aveva chiesto ed ottenuto di avere il cognome del Sacro Cuore di Gesù << intendendo con ciò - come si espresse al suo Confessore - di non dover vivere, né respirare, se non per riamarlo con tutte le forze ed in ogni sua azione >>. Ed infatti aveva fedelmente mantenuta la sua promessa. 
<< E il suo nome - diceva a questo suo proposito il Santo Padre Pio XI ( Discorso del 3 Marzo 1929 in occasione della lettura del Decreto di approvazione dei due miracoli per la Beatificazione ) - che spiega il segreto di tutte queste magnifiche cose, quel nome che era il nome del Sacro Cuore. Era l’intimità del cuore suo col Cuore Divino; era quella magnifica primizia di devozione al Sacro Cuore, allorchè questa si dibatteva in mezzo a difficoltà indicibili e che oggi si direbbero assurde, ma difficoltà vere, nate dal freddo zelo di una tendenza, di una setta che nulla comprendeva dell’amore di Dio a forza di dir di comprendere la maestà e la grandezza di Dio stesso. Si spiega ora molto facilmente come il Divino Spirito, il Divino Autore di questa bellezza, nell’ora da Lui prefissa si sia ricordato di questa fedele ed eroica sposa e, dopo tanto volgere d’anni, l’abbia chiamata alla luce ed alla gloria con quella potente voce dei miracoli ch’è propriamente la voce sua >>. 
<< Mio Dio - scriveva la Santa in occasione dei santi spirituali Esercizi dell’anno 1768 -, ad altro non voglio attendere che a divenire una perfetta copia di Voi, e poiché la vita vostra non fu che vita nascosta d’umiliazione, di amore e di sacrificio, così deve essere la mia, poiché sapete che altro non bramo se non di essere una vittima del Vostro Sacro Cuore, consumata tutta in olocausto nel fuoco del Vostro santo amore >>. << Tanto in cella quanto nel suo diurno - così una religiosa d’allora - teneva sempre avanti agli occhi un’immagine del Sacro Cuore di Gesù e credo che dentro di esso fosse sempre la sua dimora; ed a ciò fare insinuava anche le altre ed alcune volte diceva ed aveva anche scritto in più luoghi: “ Oggi se udirete la voce di lui, non vogliate indurire i vostri cuori ”( Ps. XCIV, 8 ). << Quando nel 1767 - attesta un’altra - fu dalla nostra Religione ottenuto il Decreto della S. C. dei Riti di poter celebrare l’Uffizio e la Messa ( del Sacro Cuore ), ella si accese sempre più in tal devozione, e poiché in dato tempo era sagrestana, chiese ed ottenne il permesso dalla Madre Priora di poterne adornare l’immagine, edi porla sull’altare del Coro, e di raccogliersi in preghiera insieme ad altre religiose in tempo della comune ricreazione >>. 
Accesa da questa vampa divina, acquistava la fiducia illimitata propria dei Santi; e chiamava il suo Gesù col dolce nome di Padre, e più teneramente ancora con quello di << suo buon Babbo pieno di amore di bontà >>; perché in tali nomi - sono sue parole - << sentiva confortata la sua miseria estrema, la sua indegnità a prender animo per accostarsi ad un Dio così grande, giusto e tremendo >>. Infiammata dai celesti ardori che ogni giorno la facevano salire a maggior perfezione, si accese talmente in lei il desiderio del martirio, che aveva parole tenere, accenti affettuosi, slanci di generosità, da intenerire le proprie consorelle. Il ricordo della Santa Madre Teresa, che a solo sette anni era fuggita dalla casa paterna in compagnia del fratellino Rodrigo per andare nell’Africa a portarvi la fede o a spargervi il sangue per Gesù, la commoveva in modo che si accendeva tutta, si struggeva di non poter correre anch’essa in quelle terre; e già le sembrava essere sotto il ferro del carnefice, di riceverne il colpo, e volare fra le braccia dello Sposo Divino. Ma non era questo il genere di martirio che il Signore voleva da lei; il martirio di quell’anima doveva essere il supplizio di coloro che amano e non possono raggiungere l’oggetto amato. La lontananza di Gesù, le prove dell’abbandono, il dover aspettare la morte liberatrice che l’avrebbe condotta a Colui che aveva ferito il suo cuore, ecco il martirio che l’attendeva fra poco; martirio tanto più doloroso quanto più prolungato. 
Quest’Angelo aveva bramato vivere d’amore, e la sua vita era divenuta veramente un inno sublime che cantava l’amore a Dio. Nell’adempimento degli uffici il suo cuore non si disgiungeva mai da Dio, ma tutto eseguiva in sua unione, mettendo in pratica questo suo ben detto: << Se viviamo e ci muoviamo in Dio, non è possibile che la sua compagnia e il suo amore ci abbiano ad impedire il muoverci e l’operare esternamente >>. E diceva di avere sperimentato che bastava operare il silenzio, come comanda la Regola, perché tutto riesca fatto con la più grande perfezione, con la mente elevata a Dio, e con la maggiore puntualità e prestezza che si possa desiderare. Anzi, le occupazioni esterne le erano di aiuto per sollevare la mente a Dio e prendere nuovi motivi di amarlo. << Basta tener chiuse le porti di fuori - soggiungeva - perché l’anima ed il cuore non possono andare altrove che al lor centro che è Dio; ed Egli, che è il principio di ogni nostro operare, aiuta ad operare bene e presto >>. << Se non si opera qui ( cioè nel Monastero ), se non per obbedienza o con l’obbedienza, dove è Iddio che comanda, non mi pare che Egli possa distruggere l’opera sua medesima >>. Da ciò si comprende bene quanto a lei fosse più facile star sempre unita a Dio col pensiero e con l’amore, che starsene aliena; e ciò credeva essere cosa familiare e comune a tutti. 
Molte volte il Confessore l’intratteneva sulla bontà e liberalità di Dio e sulla mediazione efficacissima di Gesù Cristo. Ed oh come ben penetrava il senso di quelle parole dell’Apostolo: << Abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo il Giusto! >>. Si accendeva tanto che, dimenticando quel suo contegno ordinario di silenzio e di raccoglimento, prorompeva in esclamazioni le più affettuose; come per esempio: << Gran cosa che il nostro buon Gesù, anche glorioso alla destra del Padre, s’incarichi delle nostre vilissime miserie, e si degni di fare per noi tuttavia le veci di umile oratore! >>. Oppure: << Gran cosa che il nostro buon Gesù, ancora quando noi dormiamo, ci divertiamo, non pensiamo punto a Lui né a noi, Egli continui a pregare l’Eterno suo Padre per noi! >>. Per le proprie consorelle che qualche volta vedeva angustiate, aveva parole di grande speranza: << Si raccomandino a Dio - diceva loro - e non dubitano che le consolerà; si fidino di Lui! Che vi è da temere? Se Iddio ha promesso di esaudirci ogni volta che ricorriamo a Lui, si fidino; Egli è con noi e ci vuole ogni bene, è impossibile che abbandoni >>. 
Questa sua grande fiducia e abbandono a Dio - ci dice la Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova - procurò promuovere ed eccitare in ciascun di noi, in ogni occasione che se le presentò; poiché, quante volte sapeva che alcuna soffrisse qualche angustia, l’animava alla confidenza in Dio e a non dubitare, perché Egli avrebbe ricavato bene da tutto; ma se si ricorresse a Lui perché voleva essere da noi pregato; ed a me in molte occasioni vide quasi l’interno ed il suo dire mi fu di grande aiuto e conforto >>. Il concetto che si era formata di quest’abbandono in Dio, lo lasciò bene espresso in un foglietto così: 
<< Vivete sempre alla discrezione della Provvidenza Divina e ricevete con indifferenza come da Essa, consolazioni e patimenti, pace e turbolenza, sanità e malattia. Nulla chiedete, nulla ricusate: ma state pronte a far sempre e patire tutto ciò che dalla Provvidenza medesima mi giungerà. Abbandonatevi per amore, abbandonatevi con amore, abbandonatevi all’amore di Gesù Cristo, perché l’amore Suo vuol governarci e noi da noi stessi non sappiamo condurci. Né vi affliggano le ripugnanze della natura, ma siate costanti nel volere che ad onta di tali ribrezzi regni in voi da sovrano il piacere di Dio >>. 
Quando poi certe cose avessero dovuto cagionare il Monastero qualche disturbo, a chiunque la ricercasse non consigliava altro che silenzio e orazione; ella era solita dire, che << il parlare delle cose che si chiedono a Dio, lega in certo modo le mani alla sua divina liberalità, se non altro per la troppa sollecitudine umana che se ne mostra in simili consulte private, dove invece l’orazione col silenzio cagiona quel totale abbandono nella paterna e amorosa vigilanza di Dio sopra di noi, che è il braccio destro dell’orazione, come Egli ci ha fatto intendere in quelle parole: “ Getta sul Signore la tua inquietudine ed Egli ti sostenterà ” >>. ( Salmo LIV, 23 ). L’effetto propizio che avevano le sue preghiere sono una prova evidente di questa sua illimitata fiducia in Dio. 
Infatti, avendo il Confessore raccomandato alle sue orazioni la conversione di un peccatore, Suor Teresa Margherita pregò a tale scopo tutto il rimanente della sua vita, certa che il Signore le avrebbe finalmente concessa quell’anima. Appena ella fu spirata, si vide subito l’efficacia delle sue preghiere: il peccatore, con grande giubilo del Padre Ildefonso, si convertì e ritornò fra le braccia della Chiesa. E le religiose, che ben sperimentavano gli effetti della fiducia illimitata della Santa, attestarono che bastava che ella mostrasse mentalmente il suo desiderio al Signore, oppure ripetesse davanti a Gesù Sacramentato quelle brevi parole del Salmo XXXVII, 10: << Signore, voi conoscete ogni mio desiderio >>, che subito veniva esaudita. 
<< Effetti di questa sua viva fede - così il Padre Ildefonso - furono senza dubbio. 
La facilità di ottenere da Dio, anche istantaneamente, ciò che per mezzo dell’orazione chiedeva o per sé o per gli altri, tanto di beni spirituali che temporali, anche talora con qualche segno o specie di prodigio. 
Quella soave docilità d’intelletto d’assentire facilmente non solo alle cose divinamente rivelate, ma ancora a tutte le pie tradizioni che dai più devoti e prudenti cristiani sono adottate, ed a tutto quello che sapesse soda e non superstiziosa pietà e devota purità di Religione. 
Il non aver mai in tutta la sua vita patiti nè sperimentati dubbi o tentazioni, benchè minime, intorno alla santa fede medesima, né inganni, né illusioni di spirito, come dell’uno e dell’altro ne sono pienamente testimone. E, ben convinto di ciò, ho sempre anche in fatto di fede assomigliato la Serva di Dio alla nostra Santa Madre Teresa, che parimente narra di sé di non aver mai sofferto tentazioni di fede, molto più perché anche la Serva di Dio, come la Santa Madre predetta, era tanto pronta a credere le cose rivelate quanto più sembravano all’intelletto naturalmente impossibili, perché allora risplendeva in essa l’onnipotenza e sapienza di Dio, come parimente mi ricordo avermi la stessa Serva di Dio alcuna volta espresso, allegandomi l’esempio della Santa Madre nell’atto di ammirare e umilmente ringraziare la divina misericordia, cui tanto se ne confessava debitrice. E quanto a me sono stato sempre e sono di parere che un tal privilegio ed esenzione la stessa Santa Madre glielo impetrasse da Dio per averla con tanta singolarità prescelta per sua figlia e in premio di essersi resa a Lei tanto simile nella pratica delle virtù >>. 
Siamo così giunti a quel punto della sua vita, in cui la perfezione toccherà in breve le cime della santità. Pochi istanti ancora, e l’olocausto di questa piccola ostia sarà consumato.

FONTE: 
Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano