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martedì 31 dicembre 2013

DISCORSO DI SUA SANTITA' GIOVANNI PAOLO II AI MEMBRI DEL CONSIGLIO GENERALE DELL'ORDINE FRANCESCANO SECOLARE - LUNEDI', 27 SETTEMBRE 1982.





DISCORSO SUA SANTITA' GIOVANNI PAOLO II 
AI MEMBRI DEL CONSIGLIO GENERALE 
DELL'ORDINE FRANCESCANO SECOLARE 
Lunedì, 27 settembre 1982


Carissimi fratelli e sorelle. 
1. Porgo il mio cordiale benvenuto a voi, membri del Consiglio Generale dell’Ordine Francescano Secolare, riunito in Assemblea qui a Roma, ed a voi, partecipanti tutti al Congresso Internazionale, ed in voi, desidero estendere il mio saluto a tutti i francescani secolari, già terziari francescani, ai laici e sacerdoti del mondo intero ed ai loro Assistenti spirituali. 
So che questo incontro da voi tanto desiderato intende manifestare il vostro affetto ed attaccamento alla Sede Apostolica e chiedere una parola di orientamento e di conferma, com’è nella vostra tradizione, da quando l’umile Francesco venne dal Papa a Roma per comunicare quanto il Signore aveva cominciato a fare per mezzo suo (Tre Compagni, can. 12; Fonti Francescane, p. 1100). 
Nel corso dei secoli - da Nicolò IV, con la Bolla Supra Montem del 1289, al Papa Paolo VI, di felice memoria, che approvò la nuova Regola con il breve “Inter Spirituales Familias” - i miei predecessori hanno costantemente e benevolmente accolto questi desideri e vi hanno offerto stimoli e conferme nel vostro proposito di vita evangelica.  
Sono lieto di potervi, io pure, confermare la mia sincera stima ed il mio profondo affetto in quest’anno tanto caro a tutta la Famiglia Francescana, nel quale, commossi, ricordiamo gli 800 anni di “vita nella Chiesa” del Poverello di Assisi.  Vive ancora la sua opera: vivono il suo primo, secondo e terzo Ordine, ricchi di numerosi ed inestimabili santi, che camminarono dietro a Francesco, guidati da Maria, Madre della Chiesa e dell’Ordine, e modello incomparabile d’ogni virtù evangelica.  
2. Siete raccolti qui e vi attendete una parola beneaugurante dal Papa, successore di Pietro. Ebbene, la mia esortazione è questa:  
1) studiate; 2) amate; 3) vivete la Regola dell’Ordine Francescano Secolare, approvata per voi dal mio predecessore Paolo VI. Essa è un autentico tesoro nelle vostre mani, sintonizzata allo spirito del Concilio Vaticano II e rispondente a quanto la Chiesa attende da voi. Amate, studiate e vivete questa vostra “Regola”, perché i valori in essa contenuti sono eminentemente evangelici. Vivete questi valori in fraternità e viveteli nel mondo, nel quale, per la stessa vostra vocazione secolare, siete coinvolti e radicati. Vivete questi valori evangelici nelle vostre famiglie, trasmettendo la fede con la preghiera, l’esempio e l’educazione e vivete le esigenze evangeliche dell’amore vicendevole, della fedeltà e del rispetto alla vita (Regula, n. 17). 
Cristo, povero e Crocifisso, sia per voi, come lo fu per Francesco di Assisi, “l’ispiratore ed il centro della vita con Dio e con gli uomini” (Regula, n. 4). 
Siate innanzitutto testimoni del Padre e del suo disegno di amore per gli uomini e “fate della preghiera e della contemplazione l’anima del vostro essere e del vostro operare” (Ivi. n. 8). “La Chiesa ha bisogno di voi per fare sì che il mondo possa riscoprire il primato dei valori spirituali” (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III,1 [1980] 945). La vostra presenza porti dappertutto un messaggio ricco di gioia, di letizia e di fede profonda, di concordia e di pace: sarete così annunciatori di Cristo e del Regno di Dio con la vita e con la parola. 
3. Avete scelto come tema del vostro Congresso: “Francesco segno di speranza”. Nella mia recente lettera “Radiabat velut stella”, indirizzata ai Ministri Generali degli Ordini Francescani, ho rievocato i fondamenti della gioia, della libertà, della speranza in Francesco di Assisi: approfondite questi fondamenti ed i segni dello Spirito nella vita della Chiesa e sarete voi stessi un segno di speranza nel mondo attuale. 
Accanto poi ai valori evangelici, ma pur insiti in essi, emergono dalla medesima Regola, con caratteri incisivi, i valori umani, per i quali, voi vi assumete, come cittadini della città terrena e, nello stesso tempo, come cristiani, impegni temporali e sociali, intendendo così di essere fermento nelle realtà terrene, nelle quali vi sentite, per vocazione profonda, come in casa vostra, come in un campo proprio e nativo.  
Memori che in voi, per il battesimo, c’è un sacerdozio regale, ritenete per certo che nessuno può proibirvi l’ingresso in ogni realtà terrena, sociale, umana, essendo, proprio voi, chiamati a dare un’anima cristiana ed umana a tutte queste cose.  
Accettate poi l’invito, da me rivolto a tutti gli uomini di buona volontà, perché al lavoro umano sia riconosciuta la sua dignità che ha davanti a Dio e perché, nelle presenti gravi circostanze, sia concesso ad ogni uomo di realizzare se stesso e di poter collaborare serenamente all’opera della creazione ed al bene della società con un lavoro degno dell’uomo (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 24). Ciò facendo, vi porrete a servizio della promozione globale dell’uomo; vi farete promotori di giustizia, portatori di pace, memori che tutte le vie della Chiesa conducono all’uomo, redento da Cristo (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14). 
Verso quest’uomo, vostro fratello, siate umili e cortesi, ricercando sempre le vie del dialogo e della riconciliazione (cf. Regula, nn. 13 et 19; cf. etiam Nicolò IV, Supra Montem). Abbiate sempre davanti a voi l’esempio di Francesco, fratello di tutti e “uomo di frontiera”, per cui, egli non cessa di esercitare un fascino straordinario anche presso i lontani (cf. AAS 74 [1982] 580).  
4. I vostri sodalizi, infine, sono chiamati “fraternità”. Siano segno visibile della Chiesa, che è una comunità d’amore. Siano vere comunità ecclesiali, costruite sul Vangelo ed in viva ed attiva comunione con le Chiese locali e, mediante esse, con la Chiesa universale. Vivete “in piena comunione con il Papa ed i Vescovi in un dialogo aperto di creatività apostolica” (Regula, n. 6). 
Continuatori poi di quel movimento di vita evangelica, che abbracciarono i “poenitentes de Assisio”, sappiate vivere questa vostra vocazione, nel vostro ambito secolare, quali “fratelli e sorelle della penitenza” con un senso illuminato di conversione e di rinnovamento costante. 
Ed ora, per quanti hanno responsabilità specifiche nell’Ordine Francescano Secolare, auspico un’unità d’intenti ed una precisa volontà, perché possano essere animatori e guide illuminate, precedendo i fratelli nell’amore al Vangelo e nella fedeltà alla Chiesa. Vi ringrazio per quanto avete fatto fino ad ora in favore della medesima fraternità, e con voi ringrazio i Padri Ministri Generali e i Padri Assistenti che sono vostri Maestri e guide. 
A tutti imparto con gioia profonda una speciale Benedizione Apostolica, estensibile anche ai vostri familiari, congiunti ed amici.

venerdì 27 dicembre 2013

DISCORSO DI SUA SANTITA' PAOLO VI AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE DEI TERZIARI FRANCESCANI , MERCOLEDI' , 19 MAGGIO 1971 .





DISCORSO DI SUA SANTITA' PAOLO VI 
AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE 
DEI TERZIARI FRANCESCANI 
Mercoledì, 19 maggio 1971 



Salutiamo volentieri il grande pellegrinaggio dei Terziari Francescani. Lo salutiamo con gioia particolare per il loro numero, che ci ha obbligati a scendere quest’oggi una seconda volta in questa Basilica insufficiente a contenere con la consueta udienza generale l’afflusso di tanti e tanto qualificati pellegrini, che con la loro moltitudine e con la loro omogenea presenza già costituiscono l’apologia dell’attualità e della vitalità di questo secolare e fiorente ramo, quello dei Terziari, del grande albero francescano
Essi meritano questa straordinaria udienza, tutta per loro. Li salutiamo cordialmente questi cari Terziari, perché li sappiamo provenienti in grande parte dall’Italia, quasi a dimostrarci che questo Paese, percorso da tante diverse correnti e soggetto a tante moderne trasformazioni non vuole dimenticare fra le glorie del passato l’umile, ma sua squisita tradizione francescana, ma ancora ne vuole trarre energie spirituali per il popolo buono e credente dei nostri giorni. E il Nostro saluto si estende con non minore affettuosa simpatia ai Terziari provenienti da altre Nazioni, dove tanti fedeli cattolici, desiderosi di autenticità evangelica, trovano nella spiritualità francescana alimento e guida alla imitazione di Cristo. Salute, salute a tutti voi, cari discepoli e figli dell’incomparabile seguace del Signore nostro Gesù Cristo. Noi riserviamo per voi la Nostra compiacenza, il Nostro incoraggiamento, la Nostra Benedizione. 
LA PRIMA FIDUCIA 
La prima fiducia è quella che voi sappiate essere esempio della Povertà, predicata da Cristo, professata da San Francesco, prescelta da voi, come virtù specifica della vostra appartenenza al suo terzo Ordine. Povertà è un nome controverso, perfino nelle pagine del Vangelo, nel senso che sono detti beati i Poveri, e poi tutti gli ascoltatori del Vangelo stesso sono pressati per soccorrerli e a liberarli dalle angustie e dalle sofferenze della povertà. 
Dunque: è un bene o un male la povertà? 
Poi chi non ricorda le controversie che perfino nella famiglia francescana hanno diviso opinioni e uomini circa la interpretazione della povertà e circa il modo e il grado della sua osservanza? 
Ai nostri giorni vediamo il mondo diviso ancora in merito alla povertà, e alla sua nemica, la ricchezza. Si direbbe che le più grandi e più forti correnti ideologiche e sociali sono in favore della povertà, o meglio dei poveri, dei proletari, degli indigenti, contro i possidenti, i ricchi, i capitalisti, proprio mentre tutto il progresso moderno, tutta l’organizzazione della società moderna sono rivolti all’aumento indefinito delle ricchezze, alla trasformazione delle cose in beni utili, alla conquista e alla distribuzione di sempre nuove risorse economiche. Economia e sociologia sono diventate le due finalità prevalenti e quasi ossessionanti della nostra vita moderna. Dove collocare la povertà? la nostra povertà evangelica? 
La lezione si farebbe lunga e delicata; ma voi già la conoscete. 
Voi conoscete che la povertà evangelica significa innanzi tutto la collocazione della nostra concezione della vita non in questa terra, non nelle sue ricchezze, non nelle sue soddisfazioni, non nei suoi piaceri, non in ciò ch’essa è e ch’essa ci può dare, non nel suo regno della terra, ma nel «regno dei cieli», nella ricerca e nel possesso di Dio, nella libertà dello spirito dai vincoli con questa perpetua seduzione ch’è la ricchezza, nella capacità di costringere i beni terreni nella loro sfera, che è l’utilità, che è il pane necessario per l’esistenza temporale, che è il traffico, cioè il lavoro e la destinazione dei suoi risultati economici a vantaggio della vita, intesa nel suo senso più largo, cioè della nostra e dell’altrui vita, del bene comune, della carità. 
La povertà è la filosofia del Vangelo: «Cercate prima il regno di Dio» (Matth. 6, 33). «Lo spirito di povertà e di amore, perciò, come dice il Concilio, è la gloria ed il segno della Chiesa di Cristo» (Gaudium et Spes, 88). 
Per fortuna questa idea evangelica oggi si fa strada nella Chiesa; e voi, alunni e figli del Poverello d’Assisi, dovete non solo onorarla, ma professarla, ad esempio ed a sostegno della Chiesa, e a monito per il mondo, che vediamo spesso ingolfato nella esclusiva o prevalente ricerca della ricchezza, nel conflitto sociale intorno alla ricchezza, nell’abuso gaudente, egoistico e vizioso della ricchezza. E anche nel mondo, in certe forme strane e discutibili, purtroppo non sempre immuni di licenziosa amoralità, e forse solo effimere e capricciose, si fa strada il ripudio di questo idolo affascinante ed opprimente, ch’è appunto la ricchezza ammantata di lusso e di comodità. Tocca ai cristiani, tocca a voi, Terziari, fare l’apologia vera e vissuta della povertà evangelica, ch’è affermazione del primato dell’amor di Dio e del prossimo, ch’è espressione di libertà e di umiltà, che è stile gentile di semplicità di vita. È un ideale, è un programma; impone rinuncia e vigilanza, adattamento all’ambiente e al dovere proprio d’ognuno, ma è poi, in fondo, fonte di letizia, della letizia del presepio, della «perfetta letizia» francescana. 
AMARE LA CROCE 
Abbiamo in voi, carissimi Figli, un’altra fiducia. Quella che voi sappiate amare, come S. Francesco, la Croce. 
La vostra spiritualità non può prescindere dalla «passione» che S. Francesco ebbe per la Passione di Cristo. Le sue stimmate sono una perenne predicazione. La vostra elezione d’esserne i suoi seguaci vi invita, vi obbliga a comprendere questo altro essenziale aspetto del cristianesimo.  
Può mai il cristianesimo prescindere dalla Croce di Cristo? 
Qui è il punto focale del suo messaggio e della sua missione, e qui è la sorgente della nostra redenzione, della nostra salvezza. Non vi diciamo di più; vi sappiamo devoti della «Via Crucis». 
Ma solo vi ricorderemo, dopo quella della ricchezza, un’altra tentazione capitale del nostro tempo, e spesso anche della nostra vita cristiana: la tentazione di togliere dal Vangelo la pagina della Croce. Si vuole un cristianesimo facile, un cristianesimo senza sacrificio. 
Un cristianesimo senza doveri, senza rinunce, senza superiori, senza dolore, in una parola senza la Croce. 
Voi invece sapete e cercate di vivere la grande parola di Gesù, la quale fu poi quella di S. Francesco: «In verità, in verità vi dico, se il grano di frumento, caduto in terra, non muore, rimane sterile; ma se muore (cioè si dissolve nel terreno), porta molto frutto» (Io. 12, 24). 
Quanto bisogno noi, uomini moderni, cultori gelosi della nostra personalità, della nostra comodità, della nostra incolumità, di ripensare a queste magistrali parole di Cristo, che ci predica la legge del morire per vivere, la legge dell’amore che si dona e si immola, la legge del sacrificio ! 
S. Francesco, specchio di Cristo, ce la ripete! Ricordiamola insieme!
GENEROSO SERVIZIO 
E finalmente la nostra terza fiducia: la fedeltà alla Chiesa! 
Noi abbiamo fiducia che ancora la spalla forte e paziente di S. Francesco, com’è nell’affresco celebre e tipico, sosterrà la Chiesa visibile e umana, soggetta alle crisi di questo mondo, nel suo minacciato edificio; sosterrà, sì, la Chiesa, che Cristo volle fondare e costruire, a gloria sua, su l’umile pescatore Simone figlio di Giovanni; la sosterrà qual è e quale Cristo la volle, anche se tanto bisognosa d’indulgenza e di comprensione; la sosterrà in questo momento storico, dopo il Concilio, nel quale pare talvolta che, a deprimere e a tentare di demolire il mistico e pur temporale edificio, siano i figli! I figli che vi sono ospitati, anzi che ne sono o dovrebbero esserne pietre vive, non meno che gli avversari esterni forse meno consapevoli dell’ingiusta opera loro. 
Ebbene, Noi speriamo che voi, voi tutti, Figli di San Francesco, sarete questa spalla poderosa sostenitrice, e che nel vostro silenzioso e generoso servizio sarete a noi vicini, con noi pazienti, con noi fiduciosi che nessuna infausta avversità potrà prevalere sulla stabilità perenne dell’edificio di Cristo, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.  
Ed è con questa fiducia che di cuore vi benediciamo.

martedì 24 dicembre 2013

SANTO NATALE 2013 E PACE E BENE .



AUGURI DI BUON NATALE
e Pace e Bene

Natale, Dio si fa uomo nel Bambino di Betlemme!
Gloria al Signore del cielo e della terra e pace a tutti gli uomini che Egli ama.




Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

domenica 22 dicembre 2013

DISCORSO DI SUA SANTITA' PIO PP. XII ALLA GRANDE FAMIGLIA DEL TERZ'ORDINE FRANCESCANO D'ITALIA .




DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII 
ALLA GRANDE FAMIGLIA 
DEL TERZ'ORDINE FRANCESCANO D'ITALIA* 
Basilica Vaticana - Domenica, 1° luglio 1956 


Nel darvi il Nostro affettuoso benvenuto, diletti figli, dirigenti, religiosi, confratelli e consorelle del Terzo Ordine Francescano d'Italia, Noi vogliamo anzitutto manifestarvi la osta gioia per la felice ripresa della vostra vita e della vostra azione individuale e collettiva, oltre che per lo spirito di concordia che regna fra voi. Leggendo la vostra storia, si rimane quasi attoniti nel vedere quanti e quali fiori di santificazione, quanti e quali frutti di opere apostoliche sono germogliati e maturati nei tre rami del vegeto e robusto tronco francescano. Dal Beato Lucchesio fino agli innumerevoli laici di ogni condizione, a sacerdoti, a Vescovi, a Romani Pontefici, è una vera moltitudine di anime che attribuirono al Terz'Ordine gran parte dello spirito che li animava a muoversi nella via della perfezione. Né meno sorprendente è la storia delle loro opere, dirette al riordinamento religioso, morale, sociale, e politico della società. Dopo la provvidenziale istituzione del vostro Terz'Ordine, tutto pervaso dello spirito e della dottrina del Serafico fondatore e che fu subito arra di santificazione per tanti cuori, se non mancarono col volgere degli anni periodi di crisi e di minor fervore, la sua azione fu pur sempre notevole ed efficace. 
In tempi di lotte e di vendette i Terziari si fecero promotori di concordia e di pace; contro gli abusi dei signori feudali operarono con prudente ardimento, a vantaggio e a difesa delle classi più umili; per diminuire e, in quanto era possibile, per distruggere gli effetti delle eresie e degli scismi, praticarono e predicarono l'assoluta fedeltà alla Chiesa e al suo Capo visibile; per porre un argine al dilagare delle ingiustizie, delle prepotenze, delle rapine, diedero esempio di distacco da ricchezze, vanità ed onori. 
Si può ben dire che, ogniqualvolta la Chiesa chiamò a raccolta i suoi figli per un'opera di rinnovamento organico e profondo, li trovò pronti a cooperare, affinché i comuni sforzi non fossero vani. Per questo non è mancato a voi l'appoggio e la benedizione dei Romani Pontefici — da Onorio III, che, dicesi, ne approvò vivae vocis oraculo la regola, a Gregorio IX, grande amico del vostro Santo Patriarca, fino a Leone XIII, il quale con la Costituzione Apostolica Misericors Dei Filius del 30 Maggio 1883 riformò la vostra regola, avendo però cura che in nulla rimanesse toccata l'intima natura dell'Ordine, al Santo Pio X, che si disse certo dell'efficace contributo dei Terziari nella restaurazione di tutte le cose in Cristo (Lett. Apost. 5 Maggio 1909), a Benedetto XV e a Pio XI, che riaffermarono la perenne modernità del Terz'Ordine. Anche Noi, in varie occasioni, abbiamo voluto lodare il vostro spirito e incoraggiare il vostro lavoro; e oggi siamo lieti di incontrarvi per rinnovare a tutti le Nostre congratulazioni, il Nostro augurio e la Nostra paterna esortazione. 
Ma Noi, come voi, chiediamo al Signore che lo splendore di tante vostre glorie non venga in alcun modo offuscato, che la fiducia della Chiesa in voi non sia mai resa vana
Anche per voi — come per altre Istituzioni — la recente guerra può aver causato sul principio un periodo di stasi organica e forse di raffreddamento spirituale; ma ora, come testimonia questa vostra magnifica adunata, voi avete ritrovato il primitivo fervore, per far del Terz'Ordine vostro una scuola di perfezione cristiana, di genuino spirito francescano; di azione ardita e pronta per la edificazione del Corpo di Cristo. 
1° - Siate anzitutto una scuola di perfezione cristiana integrale. 
Il Terz'Ordine Francescano nacque in cuore al vostro Serafico Padre il giorno in cui una schiera di anime, commosse e sospinte dalle parole di lui, chiesero di accompagnarlo nelle strade che egli percorreva, seguendo le orme di Cristo, nel cui nome andava ripetendo: « Siate perfetti » (Matth. 5, 48). Siccome non era possibile che tutti praticassero i consigli evangelici, Francesco ricordò che tutti, se lo avessero voluto, avrebbero potuto tendere alla perfezione dello stato, e conseguirla senza abbracciare lo stato di perfezione. Tutti avrebbero potuto, rinnegando sé stessi, essere docili strumenti nelle mani di Cristo: pronti a qualsiasi desiderio di Lui, a qualunque suo cenno. 
D: questa adesione completa, perenne, alla volontà di Dio, questa affettuosa ma forte dedizione a Lui e al suo volere, questa completezza e perfezione di vita alla luce del Vangelo. può essere di tutti i cristiani, ed è stata infatti di tanti in ogni epoca. 
Il Terz'Ordine Francescano nacque per corrispondere a tale sete di eroismo in coloro, che dovevano restare nel mondo, ma non volevano essere del mondo.
Il Terz'Ordine, dunque, vuole anime che nel loro stato anelino alla perfezione. Voi siete un Ordine: Ordine laico, ma Ordine vero, Ordo veri nominis, come lo chiamò il Nostro Predecessore di s. m. Benedetto XV (Ep. Encycl. Sacra propediem 6 Ian. 1921). Non sarete, come è ovvio, un'assemblea di perfetti; ma dovete essere una scuola di perfezione cristiana. Senza questa risoluta volontà non si può convenientemente far parte di una così scelta e gloriosa milizia. 
2° - Siate una scuola di genuino spirito francescano. 
Mentre nessuno nutre dubbi sull'importanza del Terz'Ordine Francescano nel mondo presente, sono tuttavia note le sollecitudini che i Francescani più ferventi hanno circa la effettiva vitalità dei Terz'Ordini in Italia e all'estero: alcuni temono che essi non diano oggi le falangi di santi e di apostoli, che un giorno si mettevano al completo servizio della Chiesa. Le ragioni di tale fenomeno sembra che vadano cercate — fra l'altro — in una minore efficienza dello spirito francescano in non pochi Terziari e, talvolta, perfino in alcuni Direttori. Lamentano cioè taluni che si rimanga sovente troppo nel generico, mentre non basta conoscere la vita del S. Patriarca e narrarla, per essere sicuri di formare sè stessi e soprattutto gli altri secondo la mentalità e il metodo francescano. Se questo fosse vero, bisognerebbe rimediare con prontezza; ricordate che il vostro Terz'Ordine non potrà fiorire e fruttificare, come nei tempi gloriosi, se non sarà pienamente imbevuto di vera e genuina spiritualità francescana. Voi sapete che la spiritualità di un Santo è la sua particolare maniera di rappresentarsi Dio, di parlare di Lui, di andare a Lui, di trattare con Lui. Ogni Santo vede gli attributi di Dio attraverso quello che più medita, che più approfondisce, che più lo attrae e lo conquista. Una particolare virtù di Cristo è per ogni Santo l'ideale cui bisogna tendere, mentre tutti i Santi — anzi tutta la Chiesa — cercano di imitare tutto il Cristo. Anche perciò la Chiesa è, per così dire, il Cristo totale e i singoli cristiani — i singoli Santi — sono membra di Lui più o meno perfette. Vi è dunque una dottrina francescana, secondo la quale è Santo, è grande, ma è soprattutto Bene, anzi il sommo Bene Per essa Dio è amore, che di amore vive, per amore crea, per amore si incarna e redime, cioè salva e santifica. Vi è anche una maniera francescana di contemplare Gesù: l'incontro dell'Amore Increato con l'amore creato. E vi è altresì un modo di amarlo e di imitarlo: si vede infatti l'Uomo-Dio e si preferisce considerarlo nella Sua santissima Umanità, perché meglio lo mostra e quasi lo fa toccare. Di qui una devozione ardente verso l'Incarnazione e la Passione di Gesù, perchè lo fanno vedere, non tanto nella gloria, nell'onnipotente grandezza o nel trionfo eterno, quanto piuttosto nel Suo amore umano, così dolce nella culla e così doloroso sulla croce. Vi è finalmente una maniera francescana di imitare Gesù. Il vostro Serafico Padre cercò e trovò nel Vangelo, aperto quasi a caso, tre parole del Divino Maestro. La prima diceva: « Se vuoi esser perfetto, va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo » (Matth. 19, 2 I ) ; la seconda ammoniva: « Chi vuol venire dietro a me, rinunzi a sè stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Matth. 16, 24); la terza, finalmente: « Non portate borsa, né sacca, nè sandali » (Luc. io, 4). Disse allora il Santo Patriarca: « Questa sarà la nostra Regola » (Anonim. Perus. c. 10 e 11). Di qui la povertà francescana, che rifugge dal lusso e ama particolarmente ciò che meno appaga gli occhi e la vanità; di qui la semplicità francescana, che porta l'anima a cercare direttamente Dio, seguendo la via breve, la via semplice, considerando, cioè, meno la propria deformità e più la bellezza infinita di Dio; di qui la rinuncia francescana, totale, perenne, ma senza scosse, senza urti, senza rimpianti; rinunzia soave, fatta per amore a Gesù. Di qui la schietta letizia francescana, che non è l'allegria chiassosa, nè la risata scomposta, ma piuttosto il sorriso tranquillo, pieno di amabile serenità. Di qui soprattutto la carità universale, che tutti e tutto vedendo in Dio, tutti e tutto ama in Lui e per Lui; di tutti e di tutto gode, godendo di Dio. Deus meus et omnia! Di questo spirito francescano, di questa francescana visione della vita ha bisogno il mondo. A voi, diletti figli, spetta conoscerla a fondo, amarla con trasporto, soprattutto viverla con la perfezione che consente il vostro stato. 
3° - Scuola di azione ardita e pronta per la edificazione del Corpo di Cristo. 
Il vostro Terz'Ordine saprà anche essere un reparto scelto nel pacifico esercito laico, che oggi, come non mai, è schierato in campo per la difesa e la dilatazione del regno di Cristo nel inondo. Nella chiesa di S. Damiano il Serafico Padre udì la voce del Crocifisso, che lo esortava a restaurare la sua casa, minacciante rovina.  Difendere la Chiesa, sorreggere la Chiesa: ecco l'ansia di Francesco d'Assisi.  
Volete, diletti figli, essere degni del vostro Padre e Maestro? Osservate i tempi presenti. Essi non sono dissimili, in alcuni aspetti, da quelli che videro nascere l'Ordine francescano. Noi ripetutamente abbiamo avvertito il mondo, affinché si fermi in tempo sull'orlo del precipizio; abbiamo invitato gli uomini a riflettere che non vi è genuina e durevole salvezza se non in Gesù; abbiamo fatto reiterati appelli a tutti i veri cristiani, perchè — messo da parte ciò che divide — operino arditamente e concordemente per vivificare e dilatare la Chiesa. Molti hanno risposto, molti — ne abbiamo ferma fiducia — risponderanno ancora: si accorgono gli uomini che, lontani da Cristo, non vi è che sconforto e danno. In tante parti del mondo fervono le opere sotto la guida dei sacri Pastori. All'opera dunque anche voi, diletti figli. Ve lo dice Gesù per bocca del suo, sebbene indegno, Vicario. Accorrete tutti, portate aiuto al mondo. Sostenete la Chiesa, dove, se non mancano purtroppo, in alcuni suoi membri, l'errore ed il male, vi è però tanto eroismo, tanta santità! Con tali sentimenti e mentre vi ringraziamo dei numerosi e piissimi doni coi quali avete accompagnato la vostra venuta, impartiamo di cuore a voi tutti, alle vostre famiglie e a tutta l'opera vostra, pegno dei più abbondanti favori celesti, la Nostra Apostolica Benedizione. 
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XVIII, Diciottesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1956 - 1° marzo 1957, pp. 315 - 319 Tipografia Poliglotta Vaticana

venerdì 20 dicembre 2013

MISERICORS DEI FILIUS COSTITUZIONE APOSTOLICA DI SUA SANTITA' LEONE XIII - SECONDA ED ULTIMA PARTE .





LEONE XIII 
MISERICORS DEI FILIUS
COSTITUZIONE  APOSTOLICA 


Regola del Terz’ordine secolare di San Francesco 
Capo I - Dell’accettazione, noviziato, professione 
I. Non si accetti nel Terz’ordine alcuno che non abbia passato l’età di quattordici anni, e non sia di buoni costumi, amante della concordia, e specialmente di provata fede nella professione cattolica e di provato ossequio verso la Chiesa Romana e la Sede Apostolica. 
II. Le maritate non si ammettano senza che il marito lo sappia e vi acconsenta, eccetto il caso che il Confessore giudichi doversi fare diversamente. 
III. Gli ascritti al Sodalizio portino il piccolo scapolare e il cingolo secondo il costume: se nol portano, restino privi dei privilegi e diritti concessi. 
IV. I Terziari e le Terziarie, accettati che siano nell’Ordine, passino nel noviziato il primo anno; ammessi poi giusta il rito alla professione dell’Ordine stesso, promettano di osservare i comandamenti di Dio, e di obbedire alla Chiesa, e se in alcun punto della loro professione mancheranno, di esser pronti a farne ammenda. 
Capo II - Della disciplina 
I. I Terziari e le Terziarie si astengano in ogni cosa dal lusso e dalla raffinata eleganza, tenendosi a quel giusto mezzo, che si conviene alla condizione di ciascuno. 
II. Stiano lontani con somma cautela dai balli e dagli spettacoli pericolosi e da ogni gozzoviglia. 
III. Siano frugali nel cibo e nella bevanda e non si assidano e non si levino dalla mensa senza aver piamente invocato e ringraziato il Signore. 
IV. Nella vigilia della Immacolata Concezione di Maria e del Patriarca Francesco ciascuno osservi il digiuno; assai lodevoli, se inoltre digiuneranno ogni venerdì e si asterranno dalle carni ogni mercoledì, secondo l’antica pratica dei Terziari. 
V. S’accostino ai Sacramenti della Confessione e della Comunione in ciascun mese. 
VI. I Terziari Ecclesiastici, da che ogni giorno debbono recitare le ore canoniche, per questa parte non hanno altro obbligo. I laici che non recitano né l’ufficio divino né l’ufficio piccolo della B. Vergine, dicano ogni giorno dodici Pater Noster, Ave Maria, e Gloria Patri, salvo che non siano impediti da infermità. 
VII. Quelli che per legge lo possono, dispongano per tempo con testamento delle cose loro. 
VIII. In famiglia abbiano cura di esser di esempio agli altri, promovendo esercizi di pietà ed opere buone. Non permettano che entrino in casa loro libri e giornali da cui possa temersi danno alla virtù, e ne interdicano la lettura ai loro soggetti. 
IX. Abbiano cura di mantenere tra loro e con gli altri caritatevole benevolenza. Dove possano, si adoperino ad estinguere le discordie. 
X. Non facciano mai giuramenti, se non in casi di vera necessità. Fuggano ogni sconcio parlare, ogni scurrilità ed ogni lazzo. Facciano ogni sera l’esame se forse non abbiano commesso alcun fallo; avendone commesso, si pentano ed emendino l’errore. 
XI. Coloro che lo possono assistano ogni giorno alla S. Messa. Ad invito del Ministro intervengano ogni mese all’adunanza. 
XII. Mettano in comune, giusta la possibilità di ciascuno, alcun che per sollevare, massime nelle malattie, i confratelli bisognosi, o per provvedere al decoro del culto. 
XIII. A visitare i Terziari infermi, i Ministri o vadano essi stessi, o mandino a compiere i dovuti uffici di carità. E se la malattia è pericolosa, ammoniscano e persuadano il malato ad acconciare in tempo le cose dell’anima. 
XIV. Ai funerali dei confratelli defunti i Terziari del luogo e i forestieri che vi si trovano, si radunino e recitino insieme una terza parte del S. Rosario a suffragio del trapassato. I Sacerdoti nel divin sacrificio, i laici accostandosi, se possono, alla santa Comunione, preghino pii e volonterosi al defunto confratello l’eterna pace. 
Capo III - Degli uffici, della visita, della Regola stessa 
I. I vari uffici si conferiscono nelle adunanze dei confratelli. Gli offici durino tre anni. Nessuno senza giusta causa ricusi o eseguisca con negligenza l’officio conferitogli. 
II. Il Visitatore diligentemente indaghi se la Regola viene osservata. A questo fine una volta l’anno, o più spesso se bisogna, visiti d’ufficio i Sodalizi, convochi in generale adunanza i Ministri e i confratelli. Se il Visitatore ammonendo o comandando richiamerà alcuno al dovere, o se imporrà alcuna penitenza salutare, questi docilmente l’accetti e non ricusi di farla. 
III. I Visitatori si scelgano tra i Religiosi del Primo o del Terz’Ordine Regolare Francescano; e siano designati dai Guardiani quando ne siano richiesti. L’officio di Visitatore è interdetto ai laici. 
IV. I Terziari insubordinati e di mal esempio vengano ammoniti dell’obbligo loro la seconda e la terza volta: se non obbediscono, siano espulsi. 
V. Se nelle prescrizioni di questa Regola alcuno viene a mancare, sappia che non incorre per questo titolo in verun peccato, purché la mancanza non offenda le leggi di Dio e i precetti della Chiesa. 
VI. Se alcuno per grave e giusta causa non può osservare qualche prescrizione di questa Regola, sia lecito dispensarlo per quella parte o fargliene prudentemente la commutazione. E su ciò i Superiori ordinari dei Francescani del Primo e del Terz’ordine, come pure i Visitatori, abbiano pieno potere . 
Elenco delle indulgenze e dei privilegi 
Capo I - Delle Indulgenze plenarie 
Tutti i Terziari dell’uno e dell’altro sesso, confessati e comunicati, potranno lucrare l’Indulgenza plenaria nei giorni e per i titoli che seguono: 
I. Nel giorno dell’aggregazione; 
II. Nel giorno della professione; 
III. Nel giorno in cui intervengono all’adunanza o Conferenza mensuale, purché visitino devotamente qualche tempio od oratorio pubblico, e preghino secondo l’usato per i bisogni di santa Chiesa; 
IV. Nel giorno 4 ottobre, festa natale del Patriarca S. Francesco; nel giorno 12 agosto, festa natale della Madre S. Chiara d’Assisi; nel giorno 2 agosto festa della Sagra di S. Maria degli Angeli; nella festa del Santo titolare della Chiesa in cui è eretto il Sodalizio dei Terziari, purché vadano a visitarla e quivi preghino secondo l’usato pei bisogni di Santa Chiesa; 
V. Una volta al mese, in quel giorno che a ciascuno piacerà, purché devotamente visitino qualche chiesa o pubblico oratorio, ed ivi per qualche spazio di tempo preghino secondo l’intenzione del Sommo Pontefice; 
VI. Ogni volta che all’uopo di migliorare se stessi si ritireranno a fare gli esercizi spirituali pel corso di otto giorni continui; 
VII. In punto di morte, se invocheranno col labbro, o, avendo perduta la parola, col cuore il santissimo nome di Gesù. Godano dello stesso favore anche quelli che non potendo né confessarsi né comunicarsi si pentiranno con perfetto dolore delle loro colpe; 
VIII. Due volte l’anno quelli che riceveranno la Benedizione Papale, se pregheranno per qualche tempo secondo l’intenzione del Sommo Pontefice; egualmente, con questa condizione medesima, coloro che riceveranno quella che chiamano Assoluzione ossia Benedizione, nei giorni che seguono: I. Il Natale di N.S. Gesù Cristo; II. la Pasqua di Risurrezione; III. la Pentecoste; IV. la Festa del Santissimo Cuore di Gesù; V. dell’Immacolata Concezione; VI. di S. Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, ai 19 marzo; VII. delle Stimmate di S. Francesco, ai 17 di settembre; VIII. di S. Lodovico Re di Francia, Patrono celeste dei Terziari, ai 25 di agosto; IX. di S. Elisabetta di Ungheria, ai 19 di novembre. 
IX. Egualmente quelli che reciteranno cinque Pater, Ave e Gloria per i bisogni di Santa Chiesa, ed uno secondo la mente del Sommo Pontefice, acquisteranno una volta al mese le stesse Indulgenze e remissioni che sono concedute a chi visita devotamente le Stazioni di Roma o fa divoto pellegrinaggio alla Porziuncola, ai Luoghi Santi, a S. Giacomo di Compostella. 
X. Nei giorni delle Stazioni, designati nel Messale Romano, ogni Terziario che visiti il tempio o l’oratorio del proprio Sodalizio, e quivi devotamente preghi secondo l’usato per i bisogni di Santa Chiesa, gode in quel tempio o in quell’oratorio nei suddetti giorni delle stesse grazie e favori spirituali di cui godono in Roma i Romani e i forestieri. 
Capo II - Delle Indulgenze parziali 
I. A tutti i Terziari dell’uno e dell’altro sesso che visiteranno il tempio o l’oratorio in cui si è eretto il Sodalizio, e quivi supplicheranno Dio per i bisogni della Chiesa, si concede indulgenza di sette anni e di altrettante quarantene nelle Feste della Prodigiosa Impressione delle sacre Stimmate del Patriarca S. Francesco, di S. Lodovico Re di Francia, di S. Elisabetta Regina di Portogallo, di S. Elisabetta di Ungheria, di S. Margherita da Cortona, e in altri dodici giorni a scelta di ciascuno, con l’approvazione del Ministro del Sodalizio. 
II. Tutte le volte che i Terziari assisteranno alla Messa o ad altri divini uffici, od interverranno alle adunanze pubbliche o private dei confratelli; daranno ospizio ai poveri; comporranno discordie o procureranno siano composte; andranno alle sacre processioni; accompagneranno il SS. Sacramento o, non potendolo accompagnare, reciteranno al segno della campana un Pater Noster e un’Ave Maria; diranno cinque Pater e Ave pei bisogni di S. Chiesa, o in suffragio dei confratelli defunti; seguiranno alla sepoltura i morti; ridurranno al buon sentiero qualche traviato; istruiranno alcuno nei divini precetti e nelle altre cose necessarie a salute; o faranno altre simili opere di carità, potranno lucrare ogni volta e per ciascuno di questi titoli l’indulgenza di trecento giorni. 
I Terziari, se vogliono, potranno applicare tutte e singole le sopraddette indulgenze, sia plenarie sia parziali, in suffragio dei fedeli defunti. 
Capo III - Dei Privilegi 
I. I Sacerdoti iscritti al Terz’Ordine, dovunque celebrino, godano personalmente dell’altare privilegiato, tre giorni di ciascuna settimana, purché non abbiano ottenuto simile privilegio per altro giorno. 
II. Quando i medesimi Sacerdoti celebreranno in suffragio delle anime dei Terziari defunti, l’altare sia per essi sempre e dovunque privilegiato. E tutte e singole queste cose, nel modo che sono state sopra decretate, così vogliamo restino ferme, stabili e rate in perpetuo: nonostante le Costituzioni, le Lettere Apostoliche, gli statuti, le consuetudini, i privilegi, le altre Regole Nostre e della Cancelleria Apostolica e qualsiasi altra cosa in contrario. A nessuno pertanto sia lecito di violare in alcun modo od in alcuna parte la presente Nostra lettera: chiunque ciò osi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei beati suoi Apostoli Pietro e Paolo. 
Dato a Roma, presso San Pietro, l’anno dell’Incarnazione del Signore 1883, il 30 maggio, anno sesto del Nostro Pontificato.

martedì 17 dicembre 2013

MISERICORS DEI FILIUS , COSTITUZIONE APOSTOLICA DI SUA SANTITA' LEONE XIII - PARTE PRIMA





LEONE XIII 
MISERICORS DEI FILIUS 
COSTITUZIONE APOSTOLICA



Il misericordioso Figliuolo di Dio, che, imponendo agli uomini un giogo soave e un peso leggero, provvide alla vita e alla salute di tutti, lasciò la Chiesa, da Lui fondata, erede non solo della potestà, ma altresì della misericordia sua, affinché i benefìci da Lui arrecati si propagassero con invariato tenore di carità a tutte le generazioni dei secoli. 
Per la quale cosa, come in tutto ciò che Gesù Cristo nella sua vita mortale fece o prescrisse, rifulge sempre mite sapienza e grandezza d’invitta benignità, così in ogni istituto della Chiesa riluce tal meravigliosa indulgenza e mitezza, da far vedere che essa ritrae anche in questo l’immagine di Dio che è carità (1Gv 4,16). 
Di tal materna clemenza peculiarmente è proprio l’accomodar sapientemente le leggi, fin dove si possa, ai tempi e ai costumi, e usar sempre nel comandare e nell’esigere somma discrezione. Onde avviene che la Chiesa, con siffatto temperamento di carità insieme e di sapienza, congiunge l’immutabilità assoluta e sempiterna del dogma con la prudente varietà della disciplina. 
A questa ragione conformando Noi l’animo e la mente nell’esercizio del Sommo Pontificato, stimiamo debito del Nostro ufficio librare su equa bilancia la natura dei tempi, e tutte considerate le circostanze, non forse abbiavi difficoltà che rattenga alcuno dalla pratica di salutari virtù. E ora Ci è piaciuto ragguagliare a questa norma il Sodalizio Francescano del Terz’Ordine Secolare, e ponderare diligentemente se sia mestieri temperarne alcun poco, per i mutati tempi, le leggi. Noi già quest’esimio Istituto del Patriarca San Francesco alla pietà dei fedeli caldamente raccomandammo mercé la Nostra Enciclica Auspicato, pubblicata il 17 settembre dell’anno scorso. E la pubblicammo col desiderio e con l’unico intento di richiamare in tempo opportuno col Nostro invito quanti più si potessero all’acquisto della santità cristiana. Origine invero precipua e dei mali che ci premono, e dei pericoli che ci minacciano è la negletta osservanza delle virtù cristiane. Ma rimediare a quei mali, e scongiurar questi pericoli per altra via gli uomini non potrebbero, che affrettando il ritorno degl’individui e della società a Gesù Cristo, "il quale può salvare in perpetuo quanti per suo mezzo si accostano a Dio" (Eb 7,25). 
Ora all’osservanza appunto dei precetti di Gesù Cristo mirano gli Istituti di San Francesco: imperocché nient’altro il santissimo lor Fondatore si propose, che aprire in essi come una palestra, in cui la vita cristiana con maggior diligenza si esercitasse. Certamente i primi due Ordini Francescani, addestrandosi alla scuola di grandi virtù, tendono a qualche cosa di più perfetto e divino. Ma questi due Ordini sono accessibili a pochi, vale a dire, a quelli solamente a cui per ispecial grazia di Dio è conceduto di aspirare con alacrità singolare alla santità dei consigli evangelici. 
Il Terz’Ordine però è nato fatto pel popolo, e quanta efficacia esso abbia a formar costumi buoni, integri, pii, è chiaro per la cosa in sé, e pel testimonio dei tempi andati. Dobbiamo riconoscere all’Autore e Aiutatore dei buoni consigli Iddio, che alle Nostre esortazioni le orecchie del popolo cristiano non rimasero chiuse. Anzi sappiamo da moltissimi luoghi, come si riaccese la pietà verso il Patriarca d’Assisi, e si accrebbe via via il numero dei richiedenti di ascriversi al Terz’Ordine. Laonde quasi per dar di sprone a chi corre, Ci risolvemmo di volgere il Nostro pensiero colà, onde codesto felice corso degli animi potesse sembrar impedito comecchessia o ritardato. Prima di tutto esaminammo la Regola del Terz’Ordine, che dal Nostro Antecessore Nicolò IV venne approvata e confermata con la Costituzione Apostolica Supra montem del 18 agosto 1289, e la vedemmo non rispondere appieno ai tempi e ai costumi d’oggigiorno. Di qui, non potendosi adempiere gli accettati obblighi senza troppa molestia e fatica, bisognò finora, ad istanza degli ascritti, passar sopra a molti capi di quelle leggi: e ciò come non avvenga mai senza scapito della comune disciplina, è facile intenderlo. Di poi v’era anche nello stesso Sodalizio un’altra cagione che richiedeva le nostre cure. Vogliamo dire che i Romani Pontefici, Nostri Antecessori, avendo accolto il Terz’Ordine fin dal suo nascere con somma benevolenza, largirono ai Terziari Indulgenze molte ed ampie assai in espiazione delle colpe. Delle quali Indulgenze la ragione divenne nel corso degli anni ambigua e perplessa, onde soventi volte si fece questione, se in taluni casi l’indulto papale fosse certo, e in qual tempo e in qual misura se ne potesse far uso. Certamente la provvidenza dell’Apostolica Sede non si lasciò desiderare al bisogno, e notoriamente Benedetto XIV P.M. con la sua Costituzione Ad Romanum Pontificem del giorno 15 marzo 1751 tolse i primi dubbi che erano insorti. Non pochi tuttavia ne sorsero, come suole avvenire, in appresso. Per la qual cosa Noi mossi dalla considerazione di tali incomodi, tra i Cardinali di S.R. Chiesa appartenenti alla S. Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, ne deputammo alcuni con l’incarico di rivedere con ogni cura la primitiva Regola dei Terziari, e similmente, redatto l’elenco di tutte le Indulgenze e Privilegi, di prenderli ad esame e di riferire a Noi, dopo maturo giudizio, che cosa stimassero doversi, giusta la condizione dei tempi, ritenere od innovare. Fatto quanto avevamo ordinato, i Cardinali suddetti Ci proposero doversi piegare e accomodare all’odierna maniera di vivere le antiche leggi, modificandone alcuni capi. Intorno poi alle Indulgenze, per non lasciar luogo ad esitazioni e per evitare il pericolo che alcuna cosa non vada a dovere, giudicarono che Noi saviamente e utilmente faremmo, se, ad esempio di Benedetto XIV, richiamate ed abrogate le Indulgenze tutte che fin qui furono in vigore, altre di nuovo al Sodalizio stesso ne concedessimo. Adunque, a che torni in bene, che aumenti la gloria di Dio ed accenda ognor più l’amore della pietà e delle altre virtù cristiane, Noi con questa Costituzione e con la Nostra Apostolica Autorità, la Regola del Terz’Ordine Secolare di S. Francesco nel modo che segue rinnoviamo e sanzioniamo. Con che niuno pensi venga punto tocca l’intima natura dell’ordine medesimo, la quale anzi vogliamo che rimanga inalterata ed intera. Vogliamo inoltre e comandiamo che tutti i Terziari godano delle Indulgenze e Privilegi che qui appresso si troveranno notati nell’elenco, annullate del tutto le Indulgenze e i Privilegi qualunque, che allo stesso Sodalizio siano stati da questa Sede Apostolica in qualsivoglia tempo, o nome, o forma fino a quest’oggi concessi.

sabato 14 dicembre 2013

AUSPICATO CONCESSUM LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITA' LEONE PP. XIII - SECONDA ED ULTIMA PARTE .





AUSPICATO CONCESSUM 
LETTERA ENCICLICA 
DI SUA SANTITÀ 
LEONE PP. XIII 


Pertanto, nel santissimo uomo nacque l’idea di fondare il Terzo Ordine che, senza rompere i vincoli della famiglia e delle cose domestiche potesse accogliere persone d’ogni condizione, di ogni età e dell’uno e dell’altro sesso. Saggiamente egli lo volle regolato, non tanto con particolari statuti, quanto con l’applicazione delle leggi stesse del Vangelo, delle quali nessun cristiano ha motivo di sgomentarsi: cioè osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa; evitare fazioni e risse; nulla frodare; non brandire armi, se non in difesa della religione e della patria; essere temperanti nel vitto, modesti nel vestito; guardarsi dal lusso, fuggire le seduzioni di balli e di spettacoli irreligiosi. È facile comprendere che da siffatta istituzione, salutare per se stessa e mirabilmente opportuna in quei tempi, dovettero derivare grandissimi vantaggi. Di tale opportunità giunge conferma dal fatto che altre associazioni somiglianti germogliarono dalla famiglia Domenicana e da altri Ordini religiosi. Molti, di modeste condizioni e di altissimo rango, pieni di ardore e di zelo correvano ad iscriversi al Terz’Ordine di San Francesco.

Furono tra i primi il re di Francia Luigi IX, e Sant’Elisabetta d’Ungheria: dietro a questi vennero, con l’andare degli anni, molti Pontefici, Cardinali, Vescovi, Re e Principi; tutti stimarono non sconveniente con la loro dignità l’abito francescano. I Terziari, nel difendere la religione cattolica, diedero belle prove di pietà e di forza, e se a motivo di queste virtù si attirarono l’ira dei tristi, ebbero sempre di che consolarsi con il più onorevole e più desiderabile dei conforti: l’approvazione dei savi e degli onesti. Addirittura Gregorio IX, Nostro Predecessore, encomiandone pubblicamente la fede e il coraggio, non si peritò di far loro scudo della propria autorità e di chiamarli, a grande onore: "Milizia di Cristo, nuovi Maccabei". Né era immeritata la lode. Infatti in quel gruppo di uomini operava un grande aiuto per il pubblico benessere: essi, tenendo fisso lo sguardo alle virtù ed alle leggi del loro fondatore, si adoperavano il più possibile di far rifiorire in seno alle corrotte città i pregi della vita cristiana. 

Certo, grazie all’opera ed all’esempio dei Terziari, si videro spesso estinte o mitigate le discordie di parte, tolte di mano ai faziosi le armi, allontanate le cagioni di litigi e di contese: procurati sollievi agl’indigenti e agli abbandonati, frenata la lussuria, divoratrice delle sostanze e strumento di corruzione. Conseguentemente la pace domestica e la tranquillità pubblica, l’integrità dei costumi e la mansuetudine, il retto uso e la tutela della proprietà, che sono i migliori elementi di civiltà e di benessere, rampollano, come da propria radice dal Terz’Ordine: e se codesti beni non andarono perduti, l’Europa deve esserne in gran parte riconoscente a Francesco. Ma più di ogni altro paese va debitrice a Francesco l’Italia, la quale, come fu particolarmente teatro delle sue virtù, così ne sperimentò più che mai i benèfici effetti. 

In verità, in tempi di oppressioni e di prepotenze, egli stendeva costantemente la destra al debole e all’oppresso: e, ricco nella suprema povertà, non omise mai di alleviare l’indigenza altrui, dimentico della propria. Sul suo labbro la nascente lingua italiana conobbe le prime espressioni; nei suoi cantici popolari espresse quella forza di carità e di poesia che la dotta posterità non ritenne indegni di ammirazione. Pensando a Francesco, il genio italiano più qualificato trasse motivo d’ispirazione, tanto che sommi artisti gareggiarono nel fissare le sue opere con pitture, sculture ed intagli. L’Alighieri trovò in Francesco materia per i suoi versi più forti e leggiadri; Cimabue e Giotto per le loro composizioni immortali, degne delle luci del Parrasio; illustri architetti per grandiose opere quali il sepolcro del Poverello o la Chiesa di Maria degli Angeli, che è stata testimone di tanti miracoli. A questi santuari vengono pellegrini da ogni parte ad onorare l’Assisiate padre dei poveri, al quale, come si spogliò di tutti i beni terreni, affluirono per divina misericordia copiosi doni celesti. 

Pertanto è chiaro che bastò quest’uomo a ricolmare d’innumerevoli benefici la società religiosa e la civile. Ma siccome quel suo spirito essenzialmente cristiano si porge a meraviglia ai bisogni di tutti i tempi e di tutti i luoghi, non è da mettere in dubbio che le istituzioni di Francesco siano per tornare profittevoli anche nell’età nostra. Questo, in quanto i nostri tempi si assomigliano in molti punti a quelli di allora. La divina carità, come nel secolo duodecimo, si è raffreddata non poco, e non è di poco conto lo scompiglio dei doveri dei cristiani, o per ignoranza o per negligenza. Prevalendo ora costumi e tendenze poco dissimili, molti consumano la vita andando avidamente in cerca di comodità terrene e di sensuali piaceri. Perdendosi nel lusso, disperdono i propri beni e agognano l’altrui; esaltando la fratellanza universale, se ne fanno campioni più a parole che a fatti, poiché è l’egoismo che vince, e la schietta carità verso i deboli e gli indigenti si fa ogni giorno più rara. In quel secolo la multiforme eresia degli Albigesi, spargendo ribellione contro il potere della Chiesa, aveva scompigliato contemporaneamente l’ordine civile e aveva spianato la via ad una specie di Socialismo. Oggi parimenti vanno crescendo i fautori e i propagatori del Naturalismo, i quali rifiutano pertinacemente ogni soggezione alla Chiesa, e di grado in grado logicamente avanzando, non lasciano intatta neppure la potestà civile; predicano la violenza e la rivolta popolare; vagheggiano l’abolizione della proprietà terriera; lusingano le passioni dei proletari; scuotono le fondamenta di ogni ordinata convivenza, sia domestica, sia civile. 

In mezzo a tanti e così gravi mali, ben comprendete, Venerabili Fratelli, come una speranza non piccola di sollievo si possa ragionevolmente riporre nelle istituzioni francescane, solo che vengano richiamate al vigore di prima. Al rifiorire di esse, rifiorirebbero agevolmente la fede, la pietà e ogni virtù cristiana; sarebbe rintuzzata la smisurata brama dei beni di quaggiù, e non si avrebbe più in uggia quello che oggi viene considerato dai più il maggiore e il più insopportabile dei pesi, cioè la mortificazione delle voglie per mezzo della virtù. Stretti da fraterna concordia, gli uomini si amerebbero scambievolmente, e nei poveri e negli afflitti rispetterebbero, come è dovere, l’immagine di Gesù Cristo. 
Inoltre, coloro che sono intimamente convinti dello spirito cristiano, sentono come obbligo di coscienza di dover obbedire all’autorità legittima e di rispettare i diritti di chicchessia; questa disposizione di animo è il più efficace mezzo per recidere alla radice ogni disordine, ogni violenza, tutte le ingiustizie, il desiderio di novità, l’odio fra i diversi ordini sociali, che sono i principali moventi ed insieme le armi del Socialismo. Infine, anche la difficoltà che travaglia le menti degli uomini di governo sul modo di equamente comporre le ragioni dei ricchi e dei poveri, resta mirabilmente sciolta una volta che sia scolpita negli animi la persuasione che la povertà non è per se stessa spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico; che il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due è nato per i mutabili beni della terra, gli uni con la sofferenza, gli altri con la liberalità si procurino di raggiungere il cielo. Per queste ragioni Noi da lungo tempo e vivamente desideriamo che ognuno, secondo le proprie forze, sproni se stesso ad imitare Francesco d’Assisi. A tale scopo, come nel passato avemmo sempre particolarmente a cuore il Terz’Ordine dei Francescani, così ora, chiamati per somma benignità di Dio a gestire il supremo Pontificato, approfittiamo di questa ricorrenza per esortare i fedeli a non negare il proprio nome a questa santa milizia di Gesù Cristo. Già in molte parti si contano in gran numero cristiani dell’uno e dell’altro sesso che si sono messi con animo volenteroso sulle orme del Serafico Padre. Lodiamo in essi ed approviamo di gran cuore siffatto zelo, ma vorremmo che esso aumentasse ancora e si propagasse ulteriormente soprattutto per opera Vostra, Venerabili Fratelli. Raccomandiamo principalmente che coloro che vestiranno i sacri segni della Penitenza tengano presente l’immagine del Santo fondatore, e si sforzino di modellare se stessi su quella: senza di che non sarebbe sperabile alcun bene.

Pertanto studiatevi di far conoscere e apprezzare, come merita, il Terz’Ordine; fate in modo che i pastori di anime ne illustrino accuratamente lo spirito, la pratica facilità, i molti favori spirituali di cui è ricco, i vantaggi che se ne attendono per gl’individui e per la società. E tanto maggiormente ci si deve adoperare a questo scopo, in quanto gli affiliati al primo e al secondo Ordine Francescano sono sbattuti presentemente da un’indegna procella. Voglia il cielo che per la protezione del beato loro Padre escano presto da tanta tempesta rinvigoriti e fiorenti! E voglia il cielo altresì che le genti cristiane si rechino volonterose ed in gran numero ad abbracciare il Terz’Ordine, come già un tempo correvano da ogni parte ai piedi dello stesso Francesco! 
Questo con il massimo calore e con il più giustificato diritto speriamo dagli Italiani i quali, per la comunanza della terra natale e per la più larga copia dei benefici ricevuti, devono a Francesco maggior gratitudine e devozione. Così dopo sette secoli il popolo Italiano e tutto il mondo cristiano si vedrebbero un’altra volta tratti dallo scompiglio alla tranquillità, dalla rovina alla salvezza per virtù del figlio di Assisi. Imploriamo concordemente questa grazia dallo stesso Francesco, principalmente in questi giorni; imploriamola anche da Maria Vergine Madre di Dio, che di patrocinio e di doni singolarissimi rimeritò sempre la devota pietà del suo servo fedele. 
Frattanto, come pegno dei doni celesti e come testimonianza della Nostra singolare benevolenza, con effusione di cuore nel Signore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutto il Clero e al popolo a ciascuno affidato, l’Apostolica Benedizione. 
Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 settembre 1882, anno quinto del Nostro Pontificato. 
LEONE PP. XIII

venerdì 13 dicembre 2013

AUSPICATO CONCESSUM LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITA' LEONE PP. XIII - PARTE PRIMA .






AUSPICATO CONCESSUM 
LETTERA ENCICLICA 
DI SUA SANTITÀ 
LEONE PP. XIII 

A tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica. 
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione. 
Opportunamente è concesso al popolo cristiano di celebrare nel giro di pochi anni la memoria di due uomini che, chiamati in cielo all’immortale corona della Santità, lasciarono in retaggio sulla terra un illustre stuolo di seguaci, quasi perpetui germogli delle loro virtù . Infatti , dopo le secolari feste in onore di Benedetto, Padre e legislatore dei monaci in Occidente, ecco prossima, non dissimile, l’occasione di rendere pubbliche onoranze a Francesco d’Assisi, compiendosi il settimo centenario della sua nascita. In tale circostanza abbiamo ragione di ravvisare una benigna disposizione della Provvidenza Divina. Effettivamente, porgendo alla venerazione delle genti il giorno natalizio di così eccelsi Patriarchi, sembra che Dio voglia ridestare il ricordo dei loro altissimi meriti e fare intendere ad ognuno che gli Ordini religiosi da essi fondati non meritavano di essere tanto maltrattati, specialmente in quei paesi nei quali lo sviluppo della civiltà e della fama crebbe in forza del loro impegno e del loro zelo operoso. 

Noi certo nutriamo fiducia che codeste solenni commemorazioni non abbiano a passare infruttuose per il popolo cristiano, che a buon diritto considerò sempre come amici gli appartenenti agli Ordini religiosi, e come già rese tributo di grande devozione e riconoscenza al nome di Benedetto, così ora gareggerà nell’apprestare pompose feste e molteplici omaggi alla memoria di Francesco. E codesta nobile gara di affetto e di riverenza non sarà ristretta alla regione nella quale il santissimo uomo vide la luce, o alle vicine contrade consacrate dalla sua presenza, ma largamente si estenderà ad ogni parte del mondo dove risuona il nome di Francesco o fioriscono le sue istituzioni. 

Noi certamente approviamo più che mai questo ardore di animi per uno scopo tanto valido; Noi, che fin dall’adolescenza Ci abituammo ad ammirare e ad onorare di particolare devozione Francesco d’Assisi, Ci gloriamo d’essere iscritti alla famiglia Francescana; più di una volta per devozione salimmo gioiosi e veloci il sacro monte dell’Alvernia, dove ad ogni pie’ sospinto Ci si affacciava alla mente la figura del Santo: quella solitudine così ricca di memorie teneva come assorto il Nostro spirito, che silenzioso lo contemplava. 

Ma, per lodevole che sia codesto entusiasmo, da solo non basta. Infatti, bisogna ben persuadersene, gli onori che si preparano a San Francesco torneranno particolarmente accetti a lui, cui sono indirizzati, se riusciranno fruttuosi a chi li rende. Ora il più sostanziale e non passeggero profitto consiste in questo, che gli uomini prendano qualche tratto di somiglianza dalla sovrana virtù di colui che ammirano e procurino di rendersi migliori imitandolo. Se, con l’aiuto di Dio, faranno ciò, certamente sarebbe stato trovato un opportuno ed efficace rimedio ai mali presenti. Perciò vogliamo rivolgerci a Voi con questa Lettera, Venerabili Fratelli, non solo per rendere pubblica testimonianza della Nostra devozione a Francesco, ma per eccitare altresì il Vostro zelo a promuovere insieme con Noi la salute dell’umano consorzio, mercé il rimedio che abbiamo indicato.

Gesù Cristo, redentore del genere umano, è la perenne ed inesausta sorgente di tutti i beni che ci vengono dalla infinita misericordia divina, talché Egli medesimo, che salvò una volta l’umanità, la viene salvando in tutti i secoli: "Infatti non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini, mercé il quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). Pertanto, se per effetto di debolezza o di colpa il genere umano si veda nuovamente caduto così in basso da aver bisogno di un aiuto poderoso che lo sollevi, è necessario che ricorra a Gesù Cristo, tenendo per certo che è il più valido e più fidato rifugio. Infatti è così ampia e così forte la sua divina virtù, che è in grado di far cessare ogni pericolo e di sanare ogni male. Il rimedio verrà senza fallo solo che l’umana famiglia sia ricondotta a professare la fede cristiana e ad osservarne i santi precetti. In tali difficoltà, quando è maturo il momento segnato nei pietosi consigli dell’Eterno, Dio ordinariamente suscita un uomo, non uno dei tanti, ma sommo e straordinario, e a lui affida il compito di rendere la salvezza alla società. Ora questo è quanto succedeva sullo scorcio del secolo duodecimo e alquanto dopo, e l’artefice della grande opera riparatrice fu Francesco. 

Sono abbastanza conosciuti quei tempi con le loro qualità e buone e cattive. Profonda e robusta era la fede cattolica; infervorati dal sentimento religioso, molti ritenevano bello salpare per la Palestina, risoluti a vincere o a morire. Ciononostante i costumi erano oltremodo licenziosi e nulla si era più necessario per gli uomini che ripristinare la vita cristiana. Ora, parte principalissima della vita cristiana è lo spirito di sacrificio, simboleggiato nella croce che ogni seguace di Cristo deve portare sulle proprie spalle. Questo sacrificio comporta il distacco dalle cose sensibili, il rigido controllo di se stessi, il sopportare con calma e pazienza le avversità. Infine, signora e regina di tutte le virtù è la carità verso Dio e il prossimo. La forza di essa è tale che allevia le molestie inseparabili dall’adempimento del dovere: per quanto gravi siano gli affanni della vita, essa sa renderli non solo sopportabili, ma addirittura soavi. 

Di siffatte virtù nel secolo duodecimo c’era grande scarsità, dato che troppi erano attaccati perdutamente alle cose umane, o folleggiavano per smisurata cupidigia di onori e di ricchezze, o conducevano una vita di lusso e lascivie. La prepotenza di pochi dominava ad oppressione del misero e disprezzato popolo minuto; e da colpe siffatte non andavano esenti neanche coloro che, per dovere d’ufficio, avrebbero dovuto essere d’esempio agli altri. A misura che la carità scemava, prevalevano le quotidiane perniciose passioni: invidia, rivalità, odi, con tanta foga di ostilità, che ad ogni più piccolo pretesto le città limitrofe si sfidavano in disastrose guerre, e i cittadini di una stessa città barbaramente si combattevano gli uni contro gli altri. 

Tale il secolo in cui giunse Francesco. Egli però con mirabile semplicità e pari costanza, con la parola e con l’esempio volle offrire agli sguardi del mondo corrotto la schietta immagine della perfezione cristiana. 

Infatti, come padre Domenico di Guzman difendeva in quei tempi l’integrità della dottrina cattolica, e con la luce della rivelazione fugava i pravi errori dell’eresia, così Francesco, secondando l’impulso di Dio che lo guidava a grandi imprese, riuscì a ricondurre molti cristiani alla virtù e a richiamare persone da molto tempo deviate alla imitazione di Cristo. Certamente non fu il caso che reco all’orecchio del giovane quelle sentenze del Vangelo: "Non vogliate avere né oro, né argento, né danaro nelle vostre borse, né bisacce per il viaggio, né due vesti, né scarpe, né bastone" (Mt 10,9-10). E: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dà ai poveri... e vieni, e seguimi" (Mt 19,21). Accogliendo queste parole come dette espressamente per lui, egli si spoglia di tutto, perfino degli abiti, e sceglie la povertà come compagna e alleata per la vita futura; sceglie quali fondamenti del suo Ordine quelle massime di perfezione che con tanta decisione e generosità di cuore aveva abbracciato. Nello stesso tempo, in mezzo alle voluttuose usanze e alle affettate delicatezze dei suoi tempi, egli procede negletto e squallido nella persona; va mendicando di porta in porta; e, ciò che molti stimano assolutamente amaro, non solo sopporta gli scherzi della plebaglia, ma se ne alimenta con mirabile gioia. Evidentemente aveva scelto la stoltezza della Croce di Cristo e l’aveva apprezzata come sapienza assoluta; e avendone compreso il profondo ed augusto mistero, vide e conobbe di non potere meglio collocare altrove la propria gloria. Con l’amore della Croce entrò nel cuore di Francesco un’ardente carità che lo spinse a propagare coraggiosamente il nome di Cristo e ad esporsi per tale motivo anche con evidente pericolo della vita. Con questo amore egli abbracciava tutti gli uomini; ma i più miserabili e i più squallidi erano per lui i prediletti, in modo che sembrava porre le sue particolari compiacenze appunto in quei miseri, che il mondo superbo suole maggiormente respingere. In questo modo egli fu grandemente benemerito di quella fraternità con la quale – restituita e perfezionata – Cristo Signore raccolse il genere umano in una sola famiglia, sottoposta al potere di un solo Dio, Padre comune di tutti . 

Con il corredo di tante virtù, e particolarmente con tale austerità di vita, quest’uomo illibatissimo prese a formare se stesso, quanto gli fu possibile, sul modello di Gesù Cristo. Ma un altro segno della particolare provvidenza di Dio in ordine a Francesco sembra doversi ravvisare nelle speciali ragioni di estrinseca somiglianza che egli ebbe col divin Redentore. Infatti, come a Gesù, così a Francesco avvenne di nascere in una stalla, e di essere posto pargoletto a giacere in terra su poca paglia proprio come Gesù. In quel momento, come a completare la somiglianza, secondo quanto si narra, armoniosi cori di Angeli e dolci armonie si diffusero per il cielo. E come Cristo radunò intorno a sé gli Apostoli, così Francesco raccolse alcuni discepoli che mandò poi per la terra a predicare la pace cristiana e la salute eterna delle anime. Poverissimo, atrocemente beffeggiato, ripudiato dai suoi, seguendo l’esempio di Gesù Cristo non volle per sé alcuna cosa su cui posare il capo. Infine, come ultima nota di somiglianza, nel monte dell’Alvernia, come in un suo Calvario, ricevute per via di prodigio, sino allora inaudito, le sacre stimmate, fu nella sua carne in certo modo Crocifisso .

Ricordiamo un avvenimento celebre non soltanto per la grandezza del miracolo, ma anche quale testimonianza per i secoli. Mentre un giorno stava assorto nella sublime contemplazione dei dolori di Cristo e, sitibondo di quelle ineffabili amarezze, intimamente si univa al Redentore, ecco apparire improvvisamente dal cielo un Angelo: come se da questi si fosse sprigionata repentinamente una misteriosa forza, Francesco sentì trapassarsi le mani e i piedi come da chiodi, ed aprirsi come da acuta lancia il costato. Da quel momento gli rimase in cuore una fiamma di traboccante carità, e nel corpo per tutto il resto della sua vita una viva ed autentica immagine delle piaghe di Gesù Cristo . 

Codeste straordinarie manifestazioni, meritevoli di essere celebrate da un cantore angelico anziché umano, rivelano abbastanza quale uomo fosse Francesco, e quanto degno della missione di far rivivere in mezzo ai suoi contemporanei i costumi cristiani. "Va’, e ripara la mia casa che crolla" aveva detto a Francesco nella umile chiesuola di San Damiano una voce sovrumana. Né meno meravigliosa fu la visione offerta al Pontefice Innocenzo III, secondo la quale Francesco fu additato in atto di sostenere coi propri omeri le vacillanti mura della Basilica Lateranense. Il significato di tali portenti è evidente: indicavano chiaramente che Francesco sarebbe stato in quei tempi non lieve presidio e sostegno per la Chiesa di Cristo. Egli infatti diede subito inizio all’impresa. 

Quei dodici che furono i primi a seguirlo furono altresì il piccolo seme, che, fecondato da Dio e benedetto dal Pontefice Massimo, fu visto in breve tempo crescere in ricchissima messe. Ad essi, formati secondo gli esempi di Cristo, Francesco assegna varie regioni d’Italia e d’Europa da evangelizzare, e ne manda alcuni con precisi compiti anche in Africa. Senza alcun indugio essi vanno: poveri, senza cultura, rozzi, essi osano tuttavia presentarsi in pubblico; e sulle strade, per le piazze, senza alcuna preparazione di luogo né pompa di eloquio richiamano le genti al disprezzo del mondo e al pensiero dell’eternità. Incredibile il copioso frutto che coronò le fatiche di quegli operai che sembravano così inetti! Infatti, le turbe si affollavano intorno ad essi, avide di ascoltarli, e quindi, compunte e pentite, si convertivano, dimenticavano le ingiurie ricevute e, spenti i dissidi, tornavano a consigli di pace. È incredibile a dirsi con quale trasporto degli animi, quasi spinta, la gente era rapita dietro Francesco. Ovunque passava, si determinavano grandi assembramenti e spesso dai castelli e dalle città più numerose tanti uomini indistintamente gli chiedevano di essere ammessi alla professione della sua Regola.

mercoledì 11 dicembre 2013

TERTIUM FRANCISCANUM ORDINEM , LETTERA AI MINISTRI GENERALI FRANCESCANI DI PIUS PP. X




TERTIUM FRANCISCANUM ORDINEM 
LETTERA AI MINISTRI GENERALI FRANCESCANI 
DI PIUS PP. X 


Ad RR. PP. Pacificum Monza, Victorem Mariam Sottaz. Pacificum a Seiano, TRIUM FAMILIARUM PRIMI ORDINIS MINORUM MINISTROS GNERALES, DE DISCIPLINA TERTII ORDINIS CAUTE MODERANDA, NE NULLA IN RE AB INSTITUTO DEFLECTAT. 
Dilecti filii, salutem et apostolicam benedictionem. Tertium Franciscanum Ordinem, quem saecularemvocant, toto terrarum orbe diffusum, sodalium non solum numeruo sed etiam industria florere, certissimo argumento sunt et multiplices de rebus Ordinis commentarii, et crebrae ad loca sacerrima peregrinationes, et frequens celebratio conventuum, e quibus eum commemorare libet, qui in hac alma Urbe Nostra nuper est habitus. Haec sane laetabilia sunt, Nobisque dant causam gratulandi vobis, dilecti filii, quibus sodales Tertiarii magistris et ducibus utuntur. 
Sed tamen non vos celabimus de timore quodam in quo Nos iam dudum ob nonnulla indicia sumus, ne, per speciem melius merendi de humana societate, studium parum sapiens rerum novarum sese in Tertiariorum Ordinem alicubi insinuet, eumque sensim ab instituto suo, quale Franciscus santcissimus voluit esse, detorqueat. Itaque, ut de re tam gravi Nostra vobiscum consilia communicemus, vos, dilectii filii, paulo fusius affari hodie constituimus. Primum omnium, opus esse ducimus, dilecti filii, magis ac magis declarare vulgo, quid ex voluntate Patris legiferi sit Ordo Tertius, quid tamquam finem ille spectet; atque ostendere non hunc ab aliis duobus natura differe, sed eo tantum quod propria quadam ratione ad idem propositum contendit. Etenim, ut ait decessor Noster fel.rec. Leo XIII, << in curandis Iesu Christi praeceptis Instituta Franciscalia tota sunt posita, neque enim quicquam spectavit aliud Auctor sanctissimus, quam ut in iis, velut in quadam palaestra, diligentius vita christiana exerceretur. Profecto Ordines Franciscales duo priores, magnarum virtutum informati disciplinis, perfectius quiddam divinisque persequuntur: sed paucorum sunt, nempe eorum quibus Dei munere concessum est ad evangelicorum consiliorum sanctitatem singulari quadam alacritate contendere. Verum Tertius Ordo natus aptus est multitudini; et quantum possit ad mores iustos, integros, religiosos, superiorum temporum monumenta et res ipsa declarant (Const. Misericors Dei Filius, PP.LEO XIII). Ceterum ipse Assisiensis Patriarcha, cum Tertium Ordinem appellatione Fratrum De Paenitentia distinxit, satis aperte docuit illa duo esse Tertiarorum propria: fraternam inter se concordiam et studium paenitentiae. 
Quod autem ad primum attinet, nullo quidem tempore Romanorum Pontificum decessorum Notrorum curae cogitationesque desideratae sunt in eo ut Tertiarii Franciscales, animorum coniunctione seraphici Patris caritatem referentes, unum veluti corpus omnes efficerent. Nos item apostolicis Litteris Septimo iam pleno saeculo, religiosos Ordinis prioris cohortati sumus, meminissent fraterna se caritate inflammatos esse oportere, quam duidem decet esse tantam ut in Tertium quoque Ordinem redundet. Eam ceterum caritatem non modo inter Tertiaros unius eiusdemque sodalitatis vigere opus est, sed etiam inter sodalitates Tertiariorum; quemadmodum vero varia cuiuslibet religiosorum Ordinis coenobia, sic Ordinis Tertii sodalicia amico foedere colligantur natura sua. Iuvat hoc loco ea commemorare, que Nos, die XVN decembris anno MCMIX, ad Tertiarios Urbanos scripsimus: << Quum sit exploratum vire coniunctas efficaciores esse quam singulas, cernere licet quam studiose catholici nominis hostes in unum conglobentur, ut nefaria certius proposita contingant. Ergo ad repugnandum istis congruenter, oportet omnes bones coeant, iique in primis qui ex instituto Patriarchae Assisiensis et ipsi christiane sapere ac vivere in exemplum, et christianam fidem moresque in populo fovere ac tueri debent >>. 
Ergo hanc virium coniunctione ratam iterum habemus, ea tamen conditione, ut nova ne inducatur disciplina, sed rationes mutuas quae inter sodalitates intercedunt, ipsi dumtaxat sodalitatum rectores moderentur. 
Quod ad alterum pertinet, ut eiusdem decessoris Nostri verbis utamur; << caput est commendationes Nostrae, ut qui insignia paenitentiae induerint, imaginem spectent sanctissimi Auctoris sui, ad eamque contendant, sine qua, quod inde expectaretur boni, nihil esset >> (1. c). 
Etenim hoc maxime mandatum Francisco Deus, teste Bonaventura, dedit, ut paenitentiam praedicaret, atque homines ab amore huius saeculi ad Crucifixi amorem traduceret. Ille igitur, mortificationem Iesu semper in suo corpore circumferens, cum admirabile ubique et mundi taedium et studium Crucis excitasset, divinitus rationem iniit quemadmodum multitudini instituti sui perpcupidae satisfaceret silulque eam intra communis vitae fines contineret. Ita Tertius hic Ordo conditus est; qui quidem mirifice salutaris tum Ecclesiae tum Civitati tamdiu fuit, quamdiu nativam illam paenitentiae formam religiose retinuit. Quare non est dubium, quin similes semper fructus sit laturus, si eam ipsam formam imili modo in posterum retineat. 
Iam vero, ad utramque assequendam rem quam diximus, egregie comparate sunt leges huius Ordinis; quibus propterea sancta esse Tertiariorum obtemperatio debet – ANTE OMNIA -, de sodalibus cooptandis cavetur ut sincerae sint fidei spectatique erga Ecclesiam Romanam Sedemque apostolicam obsequii, ad exemplum Francisci Patris, cuius fidem Nicolaus IV decessor Noster, in Constitutione Supra Montem, amplissimis laudibus honestavit. Et ne ea in periculo sit virtus, praecipitur, a legendis libris diariisque perniciuosis se abstineant; que vero scripta religionem tuentur, ea non modo lectitent, sed spargenda in vulgus disseminandaque curent; ad ahec, quantum fieri poterit, Sacris in parochiali suo quisque templo adsint et curionibus operam navent in adulescendis. Mores deinde suos ita componere debent, ut absolutissimam christianae vitae rationem sequi videantur. Ergo studeant, delicato cultu, commissationibus, scenicis ludis pracacioribus abdicatis, tum frequenter se paenitentia expiari et ad divinum Epulum accedere, tum familiae ac civibus exemplo esse, tum etiam a vitiis ad frugem bonam errantes revocare, Sed illud in primis Tertiaros meminisse oportet, hoc se nomine minus fore dignus, nisi caritate in Deum proximosque inflammentur, et, qua seraphicus Patriarcha mirum in modum virtute praestitit, eamdem, velut Ordinis sui insigne, prae se ferant, quoniam vero probatio dilectionis exhibitio est operis, hac adstringuntur lege ut benevolentiam omnem sodalibus alienisque praestent, componendasque discordias sedulo curent; aegrotos invisant; tenuiores, collata stipe, sublevent; omnia denique opera, que misericordiae vocantur, peragere studeant. 
Cum autem penes religiosos Primi Ordinis sit Ordinis Tertii gubernatio, ii sodalitatum praesides seu Visitatores eligantur qui sint in coenobii solitudine sancte versati, et Auctorem suum ita imitentur, ut virtutibus, quibus ipse praelixit, possint Tertiaros sodales imbuere. Verum in hac tanta acerbitate temporum, cum perpetuo metuendum est ne quid Ordini priori calamitatis impedeat, si Ordinem Tertium volumus consistere incolumem, nihil vedetur opportunius quam ut sodalitates eiusmodi non modo apud Primi Ordinis coenobia, sed apud alia etiam templa, parochialia praesertim, constituantur, earum moderationem, de episcoporum consilio, curionibus ipsis commissa, nisi aliud locorum ratio suadeat, salvo semper iure et officio praelatorum Ordinis Primi; quod profecto Tertii Ordinis naturae non adversatur, quin immo eidem aptum omnino est et consentaneum. Eo ipso enim validiori auxilio curionibus in procuranda hominum salute sodales fore, nemo non videt. 
Itaque ex his quae dicta sunt, perspicuum arbitramur, Tertii Ordinis institutum in hoc consistere ut sodales evangelicae perfectionis praecepta in cotidianum usum ipsi dedicant, et christianae vitae exemplar ceteris ad imitandum proponant. Consequens est, ut Tertiariorum sodalicia, qua talia, se civilibus aut mere oeconomicis rationibus immiscere omnino non debeant; si faciant, rem ab instituto suo quam maxime alienam et voluntati Nostrae contrariam se facere sciant. Verumtamen Tertiarii de re christiana merebuntur optime, si singuli, dato catholicis societatibus nomine, persequi id quod quaeque sibi habent peculiare propositum, contentant; nec vero prohibentur quin in actione etiam sociali, qualis huic apostolicae Sedis probatur, elaborent: at cavendum, ne Ordo ipse Tertius in earum societatum regiones invadat, neve finem earundem proprium, faciat suum. Si quis autem e Tertiariis, cum pietatis tum beneficentiae causa, aliam quamlibet condat novam societatem, hanc volumus episcopo plene subesse, et ab eo gubernari quem episcopus probaverit, etiamsi Ordinis Tertii praesides aliquo pacto condendae societatis auctores fuerint. 
Ad sodaliciorum conventus quod spectat, certos iis constituere fines oportet, quos, dilecti filii, praeterire quemquam ne patiamini. Itaque haec capita sancte custodiantur: 
Religiosi dumtaxat ex Ordine Primo coetus seu conventus sodalium   Ordinis Tertii cogant iisdemque praesideant; si sodales a districtu coeant, coenobii custos seu Guardianus; si e provincia, provincialis Minister; si e pluribus provinciis, Ordinis Minister Generalis. Qui iure praesint, eorum est de rebus in disputationem deducendis libellos conficere, diribere; nemini autem de aliqua re dicendi ius esto, nisi rogationem praesidi ante subiecerit, ab eoque copiam fandi impetraverit. 
Disceptare cuivis ne liceat, nisi de iis quae Ordinis Tertii naturae, proposito legibusque ac datis per Romanos Pontifices de hac eadem re praescriptionibus congruant; questiones vero de re mere oeconomica et sociali in posterum submoveantur. 
Cum Franciscalis Ordo id habeat veluti proprium ac singulare ut Iesu Christi Vicario arctissime adhaereat, Tertiarii suae in Romanum Pontificem ac secundo in Ordinin Generales Ministros studiosae observantiae significationem, coetum ineuntes, solemniter edere ne omittant. 
Coetuum seu conventuum acta, nisi de Ministri Generalis Ordinis consensu, ne vulgentur. Sicubi vero tres Franciscalis Ordinis generales conventui intersint, huic simul praesideant, quippe sunt dignitate et potestate pares; actaque ne edantur, ante quam communis eorumdem adprobatio accesserit. Haec, pro benevolentia qua Ordinem Tertium complectimur, ediximus; futurum vero confidimus, ut Tertiarii omnes, quotquot curare vestrae sunt per orbem catholicum commissi, seraphici Patris vestigia persequi summopere nitantur. Quod ut secundum vota succedat, vobis, dilecti filli et Franciscalium Ordinis universo apostolicam benedictionem peramanter impertimus. 
Datum Romae apud sanctum Petrum, die VIII mensis septembris, in festo Mariae Sanctissime Nascentis, anno MCMXII, Pontificatus Nostri Decimo. PIUS PP. X