DISCORSO DI SUA SANTITA' PAOLO VI
AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE
DEI TERZIARI FRANCESCANI
Mercoledì, 19 maggio 1971
Salutiamo volentieri il grande pellegrinaggio dei Terziari Francescani.
Lo salutiamo con gioia particolare per il loro numero, che ci ha obbligati a scendere quest’oggi una seconda volta in questa Basilica insufficiente a contenere con la consueta udienza generale l’afflusso di tanti e tanto qualificati pellegrini, che con la loro moltitudine e con la loro omogenea presenza già costituiscono l’apologia dell’attualità e della vitalità di questo secolare e fiorente ramo, quello dei Terziari, del grande albero francescano.
Essi meritano questa straordinaria udienza, tutta per loro.
Li salutiamo cordialmente questi cari Terziari, perché li sappiamo provenienti in grande parte dall’Italia, quasi a dimostrarci che questo Paese, percorso da tante diverse correnti e soggetto a tante moderne trasformazioni non vuole dimenticare fra le glorie del passato l’umile, ma sua squisita tradizione francescana, ma ancora ne vuole trarre energie spirituali per il popolo buono e credente dei nostri giorni.
E il Nostro saluto si estende con non minore affettuosa simpatia ai Terziari provenienti da altre Nazioni, dove tanti fedeli cattolici, desiderosi di autenticità evangelica, trovano nella spiritualità francescana alimento e guida alla imitazione di Cristo.
Salute, salute a tutti voi, cari discepoli e figli dell’incomparabile seguace del Signore nostro Gesù Cristo. Noi riserviamo per voi la Nostra compiacenza, il Nostro incoraggiamento, la Nostra Benedizione.
LA PRIMA FIDUCIA
La prima fiducia è quella che voi sappiate essere esempio della Povertà, predicata da Cristo, professata da San Francesco, prescelta da voi, come virtù specifica della vostra appartenenza al suo terzo Ordine. Povertà è un nome controverso, perfino nelle pagine del Vangelo, nel senso che sono detti beati i Poveri, e poi tutti gli ascoltatori del Vangelo stesso sono pressati per soccorrerli e a liberarli dalle angustie e dalle sofferenze della povertà.
Dunque: è un bene o un male la povertà?
Poi chi non ricorda le controversie che perfino nella famiglia francescana hanno diviso opinioni e uomini circa la interpretazione della povertà e circa il modo e il grado della sua osservanza?
Ai nostri giorni vediamo il mondo diviso ancora in merito alla povertà, e alla sua nemica, la ricchezza. Si direbbe che le più grandi e più forti correnti ideologiche e sociali sono in favore della povertà, o meglio dei poveri, dei proletari, degli indigenti, contro i possidenti, i ricchi, i capitalisti, proprio mentre tutto il progresso moderno, tutta l’organizzazione della società moderna sono rivolti all’aumento indefinito delle ricchezze, alla trasformazione delle cose in beni utili, alla conquista e alla distribuzione di sempre nuove risorse economiche. Economia e sociologia sono diventate le due finalità prevalenti e quasi ossessionanti della nostra vita moderna. Dove collocare la povertà? la nostra povertà evangelica?
La lezione si farebbe lunga e delicata; ma voi già la conoscete.
Voi conoscete che la povertà evangelica significa innanzi tutto la collocazione della nostra concezione della vita non in questa terra, non nelle sue ricchezze, non nelle sue soddisfazioni, non nei suoi piaceri, non in ciò ch’essa è e ch’essa ci può dare, non nel suo regno della terra, ma nel «regno dei cieli», nella ricerca e nel possesso di Dio, nella libertà dello spirito dai vincoli con questa perpetua seduzione ch’è la ricchezza, nella capacità di costringere i beni terreni nella loro sfera, che è l’utilità, che è il pane necessario per l’esistenza temporale, che è il traffico, cioè il lavoro e la destinazione dei suoi risultati economici a vantaggio della vita, intesa nel suo senso più largo, cioè della nostra e dell’altrui vita, del bene comune, della carità.
La povertà è la filosofia del Vangelo: «Cercate prima il regno di Dio» (Matth. 6, 33). «Lo spirito di povertà e di amore, perciò, come dice il Concilio, è la gloria ed il segno della Chiesa di Cristo» (Gaudium et Spes, 88).
Per fortuna questa idea evangelica oggi si fa strada nella Chiesa; e voi, alunni e figli del Poverello d’Assisi, dovete non solo onorarla, ma professarla, ad esempio ed a sostegno della Chiesa, e a monito per il mondo, che vediamo spesso ingolfato nella esclusiva o prevalente ricerca della ricchezza, nel conflitto sociale intorno alla ricchezza, nell’abuso gaudente, egoistico e vizioso della ricchezza. E anche nel mondo, in certe forme strane e discutibili, purtroppo non sempre immuni di licenziosa amoralità, e forse solo effimere e capricciose, si fa strada il ripudio di questo idolo affascinante ed opprimente, ch’è appunto la ricchezza ammantata di lusso e di comodità. Tocca ai cristiani, tocca a voi, Terziari, fare l’apologia vera e vissuta della povertà evangelica, ch’è affermazione del primato dell’amor di Dio e del prossimo, ch’è espressione di libertà e di umiltà, che è stile gentile di semplicità di vita. È un ideale, è un programma; impone rinuncia e vigilanza, adattamento all’ambiente e al dovere proprio d’ognuno, ma è poi, in fondo, fonte di letizia, della letizia del presepio, della «perfetta letizia» francescana.
AMARE LA CROCE
Abbiamo in voi, carissimi Figli, un’altra fiducia. Quella che voi sappiate amare, come S. Francesco, la Croce.
La vostra spiritualità non può prescindere dalla «passione» che S. Francesco ebbe per la Passione di Cristo. Le sue stimmate sono una perenne predicazione. La vostra elezione d’esserne i suoi seguaci vi invita, vi obbliga a comprendere questo altro essenziale aspetto del cristianesimo.
Può mai il cristianesimo prescindere dalla Croce di Cristo?
Qui è il punto focale del suo messaggio e della sua missione, e qui è la sorgente della nostra redenzione, della nostra salvezza.
Non vi diciamo di più; vi sappiamo devoti della «Via Crucis».
Ma solo vi ricorderemo, dopo quella della ricchezza, un’altra tentazione capitale del nostro tempo, e spesso anche della nostra vita cristiana: la tentazione di togliere dal Vangelo la pagina della Croce. Si vuole un cristianesimo facile, un cristianesimo senza sacrificio.
Un cristianesimo senza doveri, senza rinunce, senza superiori, senza dolore, in una parola senza la Croce.
Voi invece sapete e cercate di vivere la grande parola di Gesù, la quale fu poi quella di S. Francesco: «In verità, in verità vi dico, se il grano di frumento, caduto in terra, non muore, rimane sterile; ma se muore (cioè si dissolve nel terreno), porta molto frutto» (Io. 12, 24).
Quanto bisogno noi, uomini moderni, cultori gelosi della nostra personalità, della nostra comodità, della nostra incolumità, di ripensare a queste magistrali parole di Cristo, che ci predica la legge del morire per vivere, la legge dell’amore che si dona e si immola, la legge del sacrificio !
S. Francesco, specchio di Cristo, ce la ripete! Ricordiamola insieme!
GENEROSO SERVIZIO
E finalmente la nostra terza fiducia: la fedeltà alla Chiesa!
Noi abbiamo fiducia che ancora la spalla forte e paziente di S. Francesco, com’è nell’affresco celebre e tipico, sosterrà la Chiesa visibile e umana, soggetta alle crisi di questo mondo, nel suo minacciato edificio; sosterrà, sì, la Chiesa, che Cristo volle fondare e costruire, a gloria sua, su l’umile pescatore Simone figlio di Giovanni; la sosterrà qual è e quale Cristo la volle, anche se tanto bisognosa d’indulgenza e di comprensione; la sosterrà in questo momento storico, dopo il Concilio, nel quale pare talvolta che, a deprimere e a tentare di demolire il mistico e pur temporale edificio, siano i figli! I figli che vi sono ospitati, anzi che ne sono o dovrebbero esserne pietre vive, non meno che gli avversari esterni forse meno consapevoli dell’ingiusta opera loro.
Ebbene, Noi speriamo che voi, voi tutti, Figli di San Francesco, sarete questa spalla poderosa sostenitrice, e che nel vostro silenzioso e generoso servizio sarete a noi vicini, con noi pazienti, con noi fiduciosi che nessuna infausta avversità potrà prevalere sulla stabilità perenne dell’edificio di Cristo, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.
Ed è con questa fiducia che di cuore vi benediciamo.