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domenica 31 gennaio 2016

IN MEMORIA DEL M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA CAPPUCCINO ( 1882 - 1952 ) PARTE QUINTA.




PADRE GIAMBATTISTA GIANSIRACUSA DA FERLA 

Scrisse Tacito: “ dacché non possiamo vivere sempre, lasciamo ai posteri qualche cosa che attesti di esser noi vissuti ” (1). 
Cosa ha lasciato Padre Giambattista da perpetuarne la memoria tra gli umani. 
Se dovessimo fermarci solo all’esterno, poco o nulla ci sarebbe da dire; ma occorre trasvolare il presente, per cogliere a suo riguardo alcunché di stabile e d’imperituro. 
Alla frase di tacito, pagano e vincolato al tempo, giova contrapporre quella della Sapienza: “ Il giusto sarà ricordato in eterno (2) ”. 
Quella della terra è un’esistenza precaria e predisposta all’eternità. Se questa luce si spegne, la vita umana non ha significato, ed è nella luce di questa verità che il Padre Giambattista trova il suo posto degnamente. 
Senza dubbio, egli non fu un predicatore, né uno scrittore, né un organizzatore. Nulla ebbe di ciò che in linguaggio terreno possa raccomandarlo alla memoria dei posteri. Ma ebbe quello che Dio richiedeva da lui: La fedeltà alla sua vocazione, la probità della vita, le virtù dello stato religioso
Egli scelse di essere un “ fratenell’Ordine Cappuccino, e il frate ha da essere giudicato principalmente per la vita di convento e per l’osservanza della sua Regola. Ed è qui che rifulse il valore morale dell’estinto. A giudizio di tutti egli fu esemplare, dolce, mite, modesto, cordiale, sincero, e soprattutto prudente, tanto che fu creato Definitore, e la fece da Vicario Provinciale. 
Non c’è che dire, l’esteriorità vincola presto l’attenzione, e con facilità siamo tutti portati ad ammirare i grandi oratori, scrittori, artisti, condottieri e simili; ma la virtù risiede nella volontà, nella mente, nel cuore, nel sacrificio e nell’immolazione dello spirito, lungi dall’ammirazione degli uomini: per cui la Scrittura ha quella divina sentenza: “ Val più l’uomo che sa immolare se stesso, di colui che sa espugnare la città ”. 
Del resto Gesù Cristo l’ha sintetizzato divinamente quando disse: “ Il regno di Dio risiede nel cuore ”. 
Né creda il lettore che la vita interiore sia cosa di poco importanza. Dove il riflesso di questa luce evangelica difetta, l’uomo - sia pure dotto e ricco di altri doni - ha poco o nulla di buono. 
Il frate per essere un degno frate, deve essere uomo di sacrificio, anzitutto di sacrificio; il rimanente è secondario. Nella vita di Comunità occorrono virtù speciali e talora sacrifici assai duri: adattarsi al carattere degli altri, essere larghi di compatimento, possedere spirito di comprensione, avere pazienza tutti i giorni della vita. 
Questo è l’essenziale della vita del frate, e se ciò difetta, si è di peso a sé ed agli altri, il Padre Giambattista invece lo ebbe, e in grado che non è di tutti. Non vengo io a tessere un elogio, ma a rilevare solo dei fatti, noto del resto a molti, e ai frati in modo speciale. Ma non si può trascurare di aggiungere che il caro estinto esercitò anch’egli un Apostolato Divino, ch’è solo dei sacerdoti: quello della Confessione. 
L’esercitò con sacrificio, con immolazione, con perseveranza, sino alla morte. E questo suo apostolato veniva degnamente apprezzato, e riusciva fecondo, non in Ferla soltanto, ma anche in Siracusa, dove le numerose Comunità di Suore lo rimpiangono altamente. Devo aggiungere che a me recava sorpresa la sua discreta cultura, non avendo a suo tempo potuto completare un corso regolare di studi a causa della salute, che lo costrinse a ritirarsi a Ferla, di dove non uscì che in questi ultimi anni per servire la Provincia, che gli aveva fiducia. 
Abbastanza intelligente, non solo aveva supplito da sé nella conoscenza delle materie ecclesiastiche, ma anche della cultura generale. Leggeva molto e sapeva fare la scelta dei libri, per cui la sua bibliotechina era fornita di opere classiche. 
Uomo di pietà soprattutto, mi edificava con la frequenza del Coro, la devota recita dell’Ufficio Divino, l’assiduità alla Messa Conventuale. Caro Padre! Finora mi sembra di vederlo restarsi in un angolo del Coro - a terminarvi le sue devozioni - quando la Comunità la sera ne esce. 
Sempre uguale nella sua serenità e nell’umile contegno del suo procedere, mi sembra di doverlo incontrare ancora nei corridoi del convento, o di vederlo lievemente sorridere nelle riunioni. In verità la sua dipartita ci ha costernati più di quanto avremmo pensato, specialmente che avvenne nello stesso giorno di quell’altro nostro caro religioso della Comunità, che lo seguì alla distanza di appena dodici ore (3). 
Nella memoria nostra e di coloro che lo conobbero, Padre Giambattista sopravviverà di sicuro e non vedrà estinguersi l’affetto. 

Padre Samuele Cultrera 
Archivista Cappuccino 

______________ 
1) Quatenus denegatur nobis diu vivere, reliquamus aliquid, quo nos vixisse aeterna erit justus. 
2) In memoria aeterna erit justus. 
3) Il Padre Agostino Gulino d’Alimena, rapitoci in poche ore. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano 

venerdì 29 gennaio 2016

IN MEMORIA DEL M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA CAPPUCCINO ( 1882 - 1952 ) PARTE QUARTA .



 “ Quando a Colui ch’a tanto ben sortillo 
piacque di trarlo suso alla mercede 
ch’el merito nel suo farsi pusillo, 
à frati suoi, sì com’a giuste rede, 
 raccomando la donna sua più cara 
e comando che l’amassero a fede; 
e del suo grembo l’anima preclara 
mover si volse, tornando al su regno, 
e al suo corpo non volse altra bara ”. 
Dante - Paradiso XI 108 - 117. 


Reverendi! Signori!

non vi dispiaccia che con le medesime, ispirate e suggestive parole, nelle quali Dante fa celebrare a Tommaso d’Aquino la fine del grande Stigmatizzato della Verna, intoni io l’orazione funebre sulla spoglia mortale, giacente qui, dinnanzi a noi, di Padre Giambattista da Ferla. E’ giusto che mi richiami, per un frate Cappuccino, al testamento spirituale di Francesco d’Assisi, tenuto sacro ed invariato, di tra l’egoismo e la cupidigia di ogni secolo e più che mai splendente di una sua particolare, fulgida luce ogni qualvolta la morte trovi chi li accolga col sorriso e con la serena tranquilla speranza, nella seconda più bella e vera vita, di cui questa non è la platonica ombra. La morte, che è per noi, comuni mortali e scettici blù la diva severa del Carducci, il cui rombo da lungi s’ode, tema sempre risorgente di affanni e di preoccupazioni e fonte ora di tristezza, ora di gioia, ora di amore, ora di rancore per gli eredi, doloranti intorno al capezzale, significa per chi accetta il messaggio cristiano, una seconda e più luminosa nascita dello spirito, libero ormai dalle anfrattuosità di questa valle e delle lacrime di essa. Di questa morte, che è nascita, morirono i saggi; morì Socrate che all’amico, venuto di soppiatto, alle prime luci dell’alba per aiutarlo a fuggire, narrò, sorridendo, del sogno avuto e dal quale egli l’aveva bruscamente interrotto, della nave che entrava al Pireo, sintomo ch’egli, Socrate, doveva salpare per i porti dell’aldilà. Morirono i martiri, quando, sfidando sulle sanguinate arene, dinanzi all’imperatore del già crollante impero, gridavano con la forza della vittoria: Ave Caeser, morituri te salutant. Morirono gli eroi e morirono i santi in tutte le epoche, presso tutti i popoli; morì chi visse per morire. 
Di questa morte, che è nascita, sei morto tu Padre Giambattista, dettando a coloro che ti stavano d’attorno, nello spirito dell’Assisiate, il più alto monito, il punto di forza della etica cristiana: Amate il vostro prossimo come voi stessi, fate del bene a coloro che vi perseguitano. Questo ha lasciato come legato ai tuoi e a noi. A tutti, poi, il più fulgido esempio, di quello che possa essere la vita quaggiù, quando è saputa vivere nello spirito di umiltà e di carità, di obbedienza e di castità, nella traduzione in atto, cioè, di quello che il programma di vita cristiana e francescana. 
Sei grande, ora, o Padre per il tuo continuo rimpicciolirti nella vita; sei ricco, ora, per essere stato tu sempre povero, ricco non delle ricchezze e dei beni, che deperiscono e si perdono, ma dei tesori, che non si scalfiscono. Sei superbo, ora, della luce di Dio, per averla questa sempre cercata per te e riflessa negli altri, lungo tutta la tua vita terrena. 
Quale sia stata questa lo documentano efficacemente le mille e mille anime da te consolate. Le case da te riempite di Grazia Divina, i cuori da te fatti rinascere all’amore ed alla speranza. Sei passato umile e modesto, spandendo l’odore della tua virtù, come la stella spande la luce, come il fiore il profumo. Cinquantaquattro anni di religione lasceranno in chi ti conobbe e ti apprezzò un solco infinito di ricordi, dal quale, ogni momento, verrà fuori il monito tuo, che fu la divisa, di cui ti facesti onore e vanto: amore perdono in Cristo. 
Padre Cristoforo in quell’enorme città di appestati che era il Lazzaretto, descritto dal Manzoni nei suoi Promessi Sposi, a Lucia che gli chiede se lo vedrà ancora, risponde: “ E’ già molto tempo che chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di finire i miei giorni in servizio del prossimo. Se le la volesse ora concedere, ho bisogno che tutti quelli che hanno carità per me, mi aiutano a ringraziarLo ”. 
Anche tu, o caro Padre, hai finito i tuoi giorni in servizio del prossimo ed il Signore ti ha fatto la grazia, e tu, in cuor tuo, Lo avrai ringraziato, se dal tuo letto di dolore, ove un atroce male, improvvisamente sviluppatosi, ti straziò, avesti ancora la forza di esortare al bene, all’amore, alla virtù. Si, è per questo che puoi andartene contento. C’è qui la folla di parenti, lo stuolo dei tuoi confratelli nella Regola e nel Sacerdozio, la moltitudine dei tuoi amici, venuti a darti l’estremo saluto. 
Commuoviti per noi. Dà a noi la forza di far bene a chi fa del male, di amare chi ci odia, di perdonare chi ci offende. Dimostra a noi che se per te ciò, sull’esempio di Cristo e di Francesco, fu facile, anche per noi lo sarà. Sii per i tuoi parenti voce consolatrice, per i tuoi confratelli regola di vita, per noi esempio e sprone, incitamento e monito, guida e luce alle più alte vette dell’ascesi cristiana. Nient’altro ti chiediamo. Quando, a Ferla, i nostri figli e i nostri nipoti andranno, come noi da ragazzi ci andammo e da grandi ancora ci andiamo al piccolo e caro Convento, che guarda, propizio e benigno, da mistica altezza il paesello, accoccolato ai suoi piedi e vedranno il tuo ritratto lungo il breve e silente corridoio, pieno di tanta beata pace e ci chiederanno: “ Chi è quel frate? ”. Noi risponderemo: “ Fu un frate buono, umile e pio, che visse e mori, edificando il regno di Cristo sulla terra ”. 
Addio, addio! Requiesce in pace! 

Ferla 2 - XII - 1952. 


Giuseppe Pisasale 
DELEGATO SPORTIVO DELLA GIFRA 



LAUS  DEO

 Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano 

mercoledì 27 gennaio 2016

IN MEMORIA DEL M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA CAPPUCCINO ( 1882 - 1952 ) PARTE TERZA.




IN MORTE DEL FU PADRE GIAMBATTISTA MARIA DA FERLA 

Là, in quella bara, è un amico, dei quali pochi ne ha il mondo; una parte troppo cara della mia e delle vostre anime, del vostro e del mio cuore. 
Consentite che io vi deponga, anche a vostro nome, un fiore. 
Non intesso un elogio funebre. Solo un pensiero sul suo spirito di sacerdote e di figlio di San Francesco; solo un cenno al suo Ministero Sacerdotale e Francescano. 
Un pensiero, un cenno e nulla più.


Il suo Spirito 

Ogni uomo ha il suo carattere, cioè una sagoma interiore, che ne modella la vita e lo distingue dal resto degli individui umani. In questo il suo spirito, la espressione inconfondibile e inimitabile della sua personalità. 
Il Sacerdote non sfugge a questa legge. Ha anch’egli un ha suo spirito interiore, che modella le sue note personali e caratterizza tutta la sua vita di uomo e di consacrato a Dio. 
Secondo le diversità dello spirito, voi avete il sacerdote fedele, pio, zelante, viva immagine di Cristo Redentore, degno di potere ripetere con San Paolo: Vivo io? No, non sono io che vivo; vive in me Gesù Cristo; ovvero l’insufficiente, il tiepido, il mercenario, l’indegno di Gesù Cristo e della Chiesa. 
Nessuna ammirazione, nessuno scandalo per questo. L’uomo è miseria e polvere ovunque, anche all’altare. Chi è senza peccato lanci la prima pietra. Il cristiano non mormora, non irride; piange, prega, ripara, espia. 
Quale lo spirito del nostro carissimo Padre Giambattista? 
Il vostro affetto costante per lui, la vostra profonda venerazione, l’incondizionata vostra fiducia, la vostra solenne manifestazione di ieri sera e quella, che vi accingete a dargli oggi, pur trascurando il resto, mi dicono che voi, al par di me e di quanti lo conobbero, piangete, nella sua morte, la perdita di un sacerdote esemplare, perfetto, santo. 
E con ragione: La sua formazione interiore, così luminosamente riverberata nel suo sacro Ministero, vi dà la più ampia e sicura conferma del suo veramente altissimo spirito sacerdotale. 

La sua formazione 

Il Padre Giambattista fu sacerdote d’incontestabile vocazione Divina. Non v’influirono calcoli, non interferenze domestiche, non ideali umani; solo lo sguardo al Cielo e l’anima protesa alla Divina chiamata. 
E Dio lo chiamò con voce chiara. 
Chi lo ebbe compagno e amico, come lo ebbi io, nei floridi anni della nostra adolescenza, poté coglierne, nel suo spirito, gl’inconfondibili segni. 
Fu semplice, sincero, umile, mite, pio, comunicatore di pace e di bontà. 
E ciò senza sforzo: direi quasi senza saperlo, per effetto di quella voce dell’Altissimo, che chiama chi vuole e quando vuole; e della corrispondenza alla medesima, che dà il potere e il volere con buona volontà. 
Non sono queste le anticipazioni della grazia? 
Esse dolcemente si sviluppano e segretamente operano, come il seme sottoterra, nel mistero luminoso della vita interiore. Esse, secondo la corrispondenza, che trovano, preparano, nel fanciullo e nell’adolescente di oggi, il sacerdote di domani, con il suo ben formato spirito sacerdotale. 
La corrispondenza del Padre Giambattista fu perfetta. Per essa si sprofondò nel nulla dell’abnegazione e dell’umiltà, con essa toccò le altezze. 
Il distacco dal mondo, le attrattive verso il Convento dei Cappuccini e verso l’allora superiore del medesimo, il Padre Luigi Fisicaro, missionario di santa vita, l’amore al raccoglimento e alla preghiera, negli ultimi anni delle scuole elementari e nei primi del Ginnasio, lo rivelarono un predestinato alla Famiglia Francescana e a quell’alto spirito di perfezione sacerdotale, che solo nel chiostro si prepara e si matura. 

Se questi gl’inizi, quali gli sviluppi? 

Torno col pensiero al Settembre del lontano 1904. Ricordo l’edificazione del popolo nel giorno della sua prima Messa. 
Si era nella nostra monumentale Chiesa di Sant’Antonio Abbate. 
Si celebrava, con grande solennità la festa del Titolare. 
Il suo volto soffuso di modestia incantava; il suo atteggiamento ribboccante di fede e di bontà, aveva l’aria del Serafico. A me, che predicai il panegirico della duplice festa, fu facile la comparazione tra l’antico maestro e il giovanissimo discepolo, tra il grande fondatore del monachesimo cristiano e il novello sacerdote cappuccino. 
I pronostici del popolo furono unanimi. Il nome felicemente vi contribuiva. Corse di bocca in bocca il presagio del Battista: Quis putas puer iste erit? Che sarà di questo sacerdote? E nessuno dubitò che la mano del Signore era veramente con lui: Manum enim Domini cum illo. 

Nel Sacro Ministero 

Quarantotto anni di ministero sacerdotale non hanno smentito il presagio; lo hanno pienamente confermato. 
Il sacerdote, dice San Paolo, è preposto in favore degli uomini, a tutte le cose che riguardano Dio. 
Il nostro caro Padre Giambattista fu tutto e sempre consacrato alla Gloria di Dio per la salvezza delle anime e alla salvezza delle anime per la Gloria di Dio. 
Per nessuna ragione al mondo, frodò mai a Dio un attimo della sua attività, per sciuparlo in opere estranee al suo ministero sacerdotale e francescano. 
L’Apostolo dice ancora che il sacerdote deve essere l’uomo della preghiera e del perdono. 
E il Padre Giambattista fu il pregante, che, nelle fatiche del ministero e dei silenzi del chiostro, implora costantemente le misericordie di Dio a sollievo delle miserie umane. Fu il sacerdote, che offre se stesso unito con Cristo, così nel sacrificio dell’altare, come nelle austerità della Regola Francescana. Fu il confessore prudente e santo, che si sacrifica le lunghe ore, fra quattro tavole, per disporre le anime al Divino perdono e per guidarle, senza incertezze, nelle vie della salute. 
Nella sua morte non siamo i soli a sentirne il vuoto. Lo sentono come noi e più di noi, le anime più belle e più pure della città di Siracusa, delle quali è stato, in questi ultimi dieci anni, il Direttore di spirito più apprezzato e più ricercato. 
L’Apostolo finalmente assegna al sacerdote l’ufficio di confortare quelli che ignorano e errano. ( Hebr. V. 1,2 ). 
Per apprezzare l’opera del Padre Giambattista a beneficio dei sofferenti, averlo seguito nel suo interessamento a favore di tanti figli della sventura, pacificando gli animi, mitigando le avversioni, spegnendo i rancori, componendo le liti e additando a tutti il cielo. Opere umili queste: ma di altissimo valore spirituale. Lo mettevano cuore a cuore con i bisognosi nella stessa fiamma della Carità Divina. 

Non predicò mai? 

Un solo difetto nel ministero sacerdotale e francescano del Padre Giambattista: non predicò mai. 
E’ vero questo? 
C’è una predica fatta di parole; ma non ce n’è anche un’altra fatta di esempi? E come è vero che nostro Signore Gesù Cristo dice di alcuni: Andate e predicate il Vangelo, non è vero del pari che impone a tutti la predica del buon esempio? 
Quali gli esempi del Padre Giambattista? 
Non parlò con la modestia e l’umiltà? Non predicò col consiglio e con la pazienza? Non fu sempre e dovunque il maestro della fede e della santità con le irradiazioni luminose della sua vita sacerdotale e con l’attuazione fedele della Regola e dello spirito di San Francesco? 
Parlò, io dissi? Ma non parla ancora? Non predica, non conforta, non guida, non addita il Cielo? 

Si tu parli ancora, 

o mio carissimo amico e confratello, Padre Giambattista. 
Parli da codesta bara. Gli occhi chiusi, il labbro serrato, parli e preghi. E ci è dolce ascoltarti, confortevole saperci protetti dalla tua preghiera. Ci parli della giustizia e della misericordia di Dio, nelle cui braccia bramasti sempre e ti è dolce ora riposare. Ci parli del suo Divino Amore, che fu sempre la tua altissima aspirazione ed è ora la tua eterna felicità. Tu preghi e implori a noi sacerdoti e a tutto il popolo cristiano il tuo spirito sacerdotale e francescano e le grazie necessarie per seguirti nella lotta e raggiungerti nella corona. Parleremo anche noi di te; pregheremo anche noi per te. Non ti dimenticheremo mai. 
Breve il distacco, almeno per me, o caro. Oggi la morte ci separa; la morte ci unirà e presto, lo spero, nel bacio di Dio. 
Riposa in pace! 
Requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei 

 Ferla 2  XII  1952 

Mons. Sebastiano Militto 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

lunedì 25 gennaio 2016

IN MEMORIA DEL M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA CAPPUCCINO ( 1882 - 1952 ) PARTE SECONDA .




ORAZIONI 
FUNEBRI 

Qui timet Deum facit bona 
 ( Eccl. 15,1 ) 


Sacri Ministri, Signori!. 

L’orazione funebre che imprendo a leggere, sarà molto semplice, come semplice fu colui di cui è oggetto. 
Sarà anche molto breve, non essendo mio pensiero citare sentenze di saggi a far risuonare le mura di questa Chiesa di alti nomi; poiché, in questo caso potrei in certa qual maniera sfoggiare un sapere, che confesso, non ho, e comunque, non arriverei mai ad inquadrare l’eletta figura che io in rapidi cenni voglio rievocare e dargli meritata testimonianza dell’amicizia sincera che corse fra noi. 
Purtroppo, come sentirete in seguito, corse tra noi un’amicizia che non si offuscò mai, che anzi, collo scorrere degli anni, si venne sempre cementando. Il mio dire quindi, sarà semplice e breve e tutto quando dirò scevro d’invenzioni oratorie e di esagerazioni risponderà a verità al cento per cento. 

 * * 
 * 

Domenica sera, l’altro ieri cioè, (1) recitavo l’Ufficio Divino. Pervenuto all’Antifona del “ Benedictus ” lessi precisamente queste parole: Concede nobis Hominem iustum, redde nobis hominem sanctum, ne interficias hominem Deo carum iustum, mansuetum et pium.  
E’ la preghiera che i cristiani fecero al tiranno Egea per strappargli di mano Sant’Andrea Apostolo e liberarlo dal sicuro martirio cui era stato destinato. In dette parole sono espresse limpide e chiare le virtù del Santo Apostolo: Conservaci l’uomo giusto, rendici l’uomo santo, non recidere l’uomo caro a Dio, giusto mansueto e pio. 
Tali parole mi colpirono… nel mentre Padre Giambattista faceva strada per l’eternità, era entrato in agonia…! Io non saprei dirvi se avevo la mente rivolta più all’agonizzante o alla preghiera del Divino Ufficio. 
Certamente pregavo, pregavo forse collo stesso ardore col quale i cristiani volevano salvare Sant’Andrea; pregavo Dio perché fosse stata risparmiata la morte all’agonizzante, al Padre Giambattista uomo giusto, uomo santo, uomo caro a Dio, giusto, mansueto e pio. 

Signori! 
In queste parole ho delineato Padre Giambattista. 
Sarebbe troppo se pretendessi porre allo stesso livello Sant’Andrea Apostolo con l’estinto; ma ditemi: potrei non dire che Padre Giambattista non sia stato uomo giusto, uomo santo, un uomo caro a Dio, giusto, mansueto e pio? Ditemi esagero? Provatemi a smentirmi; mentre, da parte mia potrei costringervi a rispondermi se mai abbiate conosciuto Padre Giambattista più di me, più di me che ho passato tutta la mia vita in contatto con lui, e che è stata tanto lunga quanto lunga è stata la vita trascorsa assieme a lui. 

* * 
 * 

Nato nello stesso anno, alla distanza di circa due mesi, sulla stessa strada, e pochi passi distaccavano le nostra case. Coetanei e compagni della più tenera età: Assieme nei ludi puerili; Assieme nei cinque corsi elementari nei quali non ebbimo mai la sventura d’essere ritenuti, che anzi ci disputammo sempre i primi posti; Assieme, per tre anni alla scuola del mai degnamente compianto AVV. Comm. Giuseppe Pupillo, in cui non saprei dirvi se prevaleva più la scienza dei codici o il genio letterario ma indiscussamente l’una e l’altro. In tre anni sotto il mentovato, compimmo il corso ginnasiale; Assieme nel postulando al convento; Assieme, ci siamo recati a Modica per sostenere l’esame di ammissione all’Ordine Cappuccino; Assieme, e nello stesso giorno ed ora, abbiamo indossato le Serafiche lane; Assieme, e nello e nello stesso giorno ed ora abbiamo emesso la Professione semplice; Assieme, dopo tre anni, la Professione Solenne. Assieme abbiamo ricevuto gli ordini minori, i maggiori, e nello stesso anno il sacerdozio. In tutto questo tempo vedete se mi poteva sfuggire il modo di studiare il mio caro collega, dal quale, ieri dolorosamente mi sono scompagnato. Nell’abbastanza lungo curriculum vitae l’ho trovato santo, giusto, caro a Dio, mansueto e pio, e tale è il mio profondo convincimento, e per tale ve lo presento. 
La sua fisionomia inconfondibile, sempre limpida ed austera, sempre uguale come nella vecchiaia così nei verdi anni, come nel convento così nella caserma; fece il suo dovere con serietà, con severità, con impegno non comune, fu un puro sangue della vita religiosa e può rimanere d’esempio e sprone ai superstiti. 

* * 
 * 

Per la sua malferma salute in gioventù, fu obbligato di allontanarsi dagli studi regolari, che compì in questo convento patrio, nel quale rimase seppellito quasi l’intera sua vita. 
Uscì soltanto quando un Provinciale, credette di aver scoperto una gemma nascosta, questo degno religioso e lo assunse per suo Segretario. 
Dopo il primo triennio di segretario, e un secondo Provinciale che lo ritiene nella stessa carica, indi un terzo ed un quarto ancora. Sono stati quattro i Provinciali che hanno avuto piena fiducia e lo hanno confermato nello stesso delicatissimo Ufficio. Per 12 anni disimpegnò la carica di Segretario Provinciale, superando qualunque record; fatto più unico che raro, dal momento che tra noi, il movimento Provinciale, assuma per sé il Segretario dello scaduto; a meno che il nuovo eletto non sia rieletto. 

 * * 
  * 

Ho detto che il compianto Padre Giambattista era caro a Dio; ma, dopo quando sopra posso presumere che il degno sacerdote era caro anche ai Superiori, e vorrei anche aggiungere ai confratelli, agli uomini i quali, come in un prisma di colori, in lui trovavano le molte virtù di cui era adorno. Difatti, per 6 anni fu Definitore Provinciale, anzi, nel secondo triennio fu primo definitore che val quanto dire Vicario Provinciale ed in mancanza del Provinciale lo supplisce di diritto. Padre Giambattista esercitò la carica di Vicario Provinciale per 6 mesi. Difatti essendosi recato in Brasile il Provinciale per compiere ivi la Visita Pastorale, Padre Giambattista entrò nel governo della Provincia. Il Provinciale non rientrò in Provincia per essere morto a Roma dopo il ritorno dal Brasile. Padre Giambattista seguitò a governare fin tanto non fu eletto il nuovo Definitore, quanto anche cadde da Definitore ed il governo passò in mano ad altri. Durante il governo nessuno trovò modo a lamentarsi perché fu prudente e giusto, e soprattutto perché Dio volle preservarlo da crude amarezze verso cui si va incontro, volere o no, nella gestione di un governo. Non più Segretario, non più Definitore e Vicario Provinciale ma si seguitò ancora sfruttarlo. Aveva molte qualità preziose per cui non si sapeva rifiutare la di lui cooperazione. Fu economo Provinciale, carica che anche questa disimpegnò con accuratezza e scrupolosa esattezza. 

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Che Padre Giambattista sia stato mansueto non c’è nessuno che possa metterlo in dubbio. Consta a tutti la di lui mansuetudine, voi avete visto in lui riprodotto San Francesco di Sales il Santo che maggiormente si sia avvicinato nella virtù della dolcezza al Maestro Divino; di Colui che nella sua infinita modestia si lasciò scappare di bocca: discite a me quia mitis sum et humilis corde ( Matt. 11 - 29 ) imparate da me che sono mite ed umile di cuore. 
Si presentava coll’alone della mansuetudine, né mai diede di vedere chicchessia che sotto la cenere c’era fuoco. Molti di noi indubbiamente lo avete praticato. Ditemi, in verità, se si diede mai caso di averlo trovato montato, in nervi; e se affacciaste pretese che l’uomo di Dio, l’uomo per eccellenza buono non poteva aderirvi, se per causa vostra si sia infastidito e contro di voi abbia avuto parole di biasimo o di rimprovero, vi abbia avuto avversione o serbato rancore. Il suo fisico non ebbe nervi, la sua complessione non ebbe scatti, invece fu sempre mite, dolce, mansueto come un agnello. 

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Trattando di donne fu gentile perché la religione suggerisce la carità e la gentilezza promana della carità, ma non ammise mai familiarità, raffinatezze, debolezze umane, motivo per cui non si poté mai dubitare, sospettare - per quanto maligni - della sua illibatezza. Invenzioni, favolette messe in giro contro di lui non ve ne furono mai né in gioventù né in vecchiaia. 

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Fu osservante della Regola Monastica, fu anche pio. Assiduo alle ore di Coro, anzi in Coro, sempre il primo ad entrare, ultimo ad uscire. 
Recitava l’Ufficio Divino: Digne, attente ac devote, degnamente, attentamente e devotamente, con spirito veramente religioso, non per coreografia, si recava a coro spinto dalla Fede. Lì sapeva davanti a Chi si trovava, davanti a Colui che scuta i cuori e i reni; quindi vi si tratteneva composto, con vero spirito di pietà, con fervore, in maniera da riuscire di edificazione degli altri. 

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Non per mancanza di capacità intellettiva o di studi ma per innata timidezza non si credette in grado di affrontare il pulpito. Non predicò mai, anzi mi correggo, da Chierico sostenne un sermoncino nella Chiesa delle Piccole Suore a Modica. Il sermoncino lo recitò bene ma scese dal pulpito trafelato e sudando freddo e talmente tremante, per quanto giurò non risalirlo più. Di ciò sono rimasto testimone soltanto io. 

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Si dedicò piuttosto ad un altro Ministero molto più difficile, quello di plasmare le anime nel Sacramento della Penitenza, tutte le volte veniva richiesto al Confessionale, non si rifiutò mai anzi si mostrò pronto nell’accogliere anime contrite per guadagnarle a Dio. Le curava con molta delicatezza e sapienza, le guariva con le sue santa parole, le incoraggiava al bene, le rinnovava. Fu un confessore prudente e ricercato a Ferla e fuori Ferla. A Siracusa, l’ultimo periodo della sua vita integerrima gli avevano addossati molti Istituti religiosi, sicché tutta la settimana era occupato ora in una , ora in un’altra Casa religiosa. Ma ormai si era fatto vecchietto. In quest’ultima stagione estiva cominciò a risentirsene. Ricorse al Vescovo per ridurgli il peso e fu ascoltato. 
Per tutto il tempo in cui trovammo assieme fu anche Segretario spirituale della mia coscienza. Quando ci incontravamo e gli depositavo le mie amarezze, egli con la sua bontà le aspergeva dell’olio della carità ed il mio spirito veniva grandemente sollevato. 

* * 

 Signori! 

Dopo quando fugacemente ho detto, vi prego di consentirmi: Padre Giambattista è stato un uomo veramente caro a Dio, giusto, mansueto e pio, ma.. Ormai non è più… il Signore l’ha chiamato a se; l’ha chiamato a Se per rendergli il premio delle sue virtù un degno posto nei suoi celesti giardini. 
Chissà da quanto tempo non conduceva seco un grave incomodo. Non ne parlo mai quantunque dal modo di sedere, dall’incedere, lo facesse sospettare. Nell’Ottobre scorso me ne fece confessione e mi dichiarò pure che aveva lin testa di sottomettersi ad un atto operatorio. Io glielo sconsigliai. Felicemente sopportò l’intervento chirurgico. Ebbe fretta di uscire dalla casa della salute. Dopo due giorni dall’arrivo in questa, gli scoppia una flebite che in tre giorni gli chiuse la fossa. 
Ha fatto la morte preziosa dei giusti. Convinto che si trovava vicino all’estremo, chiese gli ultimi conforti religiosi che ricevette nella piena lucidità di mente. Dopo 24 ore di atroci dolori sopportati con eroica rassegnazione spirò nel bacio del Signore. 

 * * 
  * 

E’ andato avanti… mi ha preceduto! Sempre uniti… ma ora separati! Però tutto mi dice che la separazione sarà per breve tempo. Più non sono ai miei verdi anni. La mia età pari alla sua, mi fa pensare come fra poco saremo un’altra volta assieme. 
Il santo religioso possa pregare per me e per voi. Possa, dal Cielo raggiunto impetraci imitarlo nelle sue virtù per essergli compagni nella beata eternità. 
Requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei. 


Padre Eugenio da Ferla 
 Cappuccino 

 (1) 30 Novembre c. a. 



LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano 

giovedì 21 gennaio 2016

IN MEMORIA DEL M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA CAPPUCCINO ( 1882 - 1952 ) PARTE PRIMA.




IN MEMORIA 
DEL 
M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA 
CAPPUCCINO
( 1882 -1952 ) 


Ex Definitore, quattro volte Segretario Provinciale, Vicario Provinciale nel 1947, nato a Ferla ( SR ) il 10 Febbraio 1882, vestì l’abito Serafico il 10 Maggio 1898, professò solennemente il 26 Maggio 1902. Ricevette l’Ordinazione Sacerdotale il 24 Settembre 1904, Definitore Provinciale nel 1944 e 1947, morto il 1 Dicembre 1952 alle ore 11.


. ….. Io tutto potevo immaginare, fuorché il carissimo Padre Giambattista ci dovesse lasciare quando meno lo aspettavamo; è rimpianto non solo dai frati ma da molti, specialmente dagli Istituti religiosi, i quali lo avevano come confessore ordinario… 

Siracusa 11 - 12 - 1952. 

Padre Costantino da Mazzarino 
    Vicario Provinciale 


COMUNITA’ CAPPUCCINI FERLA ( SR )  

Animo straziato profondo dolore apprendo improvvisa perdita nostro comune Padre e Guida stop Sua dipartita segna vuoto profondo Città di Ferla et irreparabile perdita nostro convento stop Verrò assieme Parroco et Cappellano 

Raddusa 1 Dicembre 1952 

Padre Gregorio da Palazzolo 
Superiore Cappuccino 


NON E’ PIU’ 

Il M. R. P. Giambattista non è più. Ci ha lasciato con l’animo molto addolorato, Egli è morto colla morte dei giusti. Chi l’assistette - come me - sino all’ultimo ha potuto esclamare: “ veramente preziosa è al cospetto del Signore la morte dei suoi santi ”. 
Dopo una operazione che sembrava riuscita era venuto a Ferla per un breve periodo di convalescenza. Ma varie complicazioni ne affrettarono la fine. Si sviluppò una leggera flebite e dopo una cura di penicillina, sembrò fuori pericolo. Ma il Signore lo voleva con sé in Paradiso, ed ecco che, quando meno credevamo, venne a mancare il cuore. Avvertito dello stato grave ricevette con edificante pietà gli ultimi sacramenti, poi disse parole di amore e di conforto alla addoloratissima sorella. Raccomandò di perdonare tutti e sempre. 
A me disse: “ Aurelio, ti raccomando sempre di vivere in concordia con tutti, sappi vincere ogni rancore, antipatie e indifferenze. Bisogna sempre amare soprattutto a chi ci fa del male ”. 
Poi entrò in stato preagonico, vegliammo tutta la notte, assieme ai parenti. Ripeteva le giaculatorie che andavo suggerendogli. E questo sino alle ore 4 del 1° Dicembre. Poi non capì più nulla; dovette subire qualche forte attacco al cervello, difatti portava convulsivamente le mani in testa. Verso le ore quattro e trenta entrò in agonia. Un agonia lunga e straziante. Alle ore 11, l’assisteva il M. R. P. Sebastiano d’Agira, rendeva la sua bella anima al Creatore. 

 * * 
  * 

Il buon popolo di Ferla apprese la dolorosa notizia con dolore. Il Padre Giambattista era stato per lunghi anni l’amico di tutti. Era entrato in tutte le famiglie a portare la sua parola di conforto, nelle ore tristi aveva pianto con chi piangeva e gioito con chi gioiva. Così disse la famiglia Costanzo che in tante ore buie, aveva trovato in lui solo conforto. 

* * 
 * 

I funerali furono imponenti, a memoria d’uomo non si ricorda una manifestazione così sentita. Ferla sembrava avvolta in una generale mestizia. Erano venuti ben trenta sacerdoti cappuccini dai conventi di Siracusa, Sortino, Palazzolo, Mazzarino. Presiedette i funerali il M. R. P. Costantino da Mazzarino, Vicario Provinciale. 

* * 
 * 

Riposa in pace, o carissimo Padre….. Noi non ti dimenticheremo mai. Ogni volta andando al cimitero ci inginocchieremo sulla tua tomba e lasceremo cadere sulla fredda lapide i fiori della nostra preghiera e della nostra riconoscenza. Tu, dal cielo, assistici e dà a noi forza di seguire il tuo esempio. Vivi in Dio!… 

Padre Aurelio da Ferla 
Cappuccino 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

domenica 17 gennaio 2016

ATTORNO ALL'ALTARE CON SAN FRANCESCO D'ASSISI - SETTIMA ED ULTIMA PARTE.




Ammonizioni di San Francesco 


Dalla fede verso dio, delle riverenze verso il Sacramento dell’altare e della degna Comunione. 

Disse il Signore ai discepoli suoi: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno va al Padre se non per me. Se aveste conosciuto me, senza dubbio conoscerete anche mio Padre; ora lo conoscete e lo avete visto. Gli disse Filippo: << Signore, mostraci il Padre, e ci basta >>. Gli disse Gesù: << Da tanto tempo sono con voi, e non m’avete conosciuto? Filippo chi vede me, vede anche il Padre mio >>. 
Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è Spirito, e nessuno ha mai visto Dio. Poiché Dio è Spirito, solo nello Spirito egli può essere veduto, perché è lo Spirito che vivifica, mentre la carne non giova a nulla. 
Ma nemmeno il Figlio, in quanto è uguale al Padre, è veduto da alcuno in modo diverso dal Padre e dallo Spirito Santo. 
Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù Cristo secondo la sua umanità, e non videro né credettero, secondo lo Spirito e la Divinità, che egli era il vero Figlio di Dio, sono dannati. Così anche ora tutti coloro che vedono il Sacramento del Corpo di Cristo, il quale viene sacrificato secondo le parole del Signore per mano del sacerdote sull’altare, sotto le specie del pane e di vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito e la Divinità, che sia veramente il Santissimo Corpo e il Sangue del nostro Signore Gesù Cristo, sono dannati per testimonianza del medesimo Altissimo, il quale dice: Questo è il mio Corpo e il Sangue del nuovo Testamento; e chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, ha la vita eterna. 
E’ dunque lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, che riceve il Santissimo Corpo e Sangue del Signore. Tutti gli altri, che non hanno parte di questo spirito, e presumono di riceverlo, mangiano e bevono la loro condanna. 
Perciò, figli degli uomini, fino a quando avrete il cuore così duro? Perché non conoscete la verità e non credete nel Figlio di Dio? Ecco, ogni giorno si umilia, come quando dal trono regale discese nell’utero della Vergine; ogni giorno egli viene a noi in umile sembiante; ogni giorno discende dal seno del Sommo Padre sull’altare tra le mani del sacerdote. E come apparve ai Santi Apostoli nella vera carne, così anche ora si rivela a noi nel Sacro Pane. Essi, con la vista della loro carne, vedevano soltanto la sua carne, ma credevano che egli era Dio contemplandolo con gli occhi dello Spirito; così anche noi, vedendo con gli occhi corporei il pane e il vino, vogliamo credere fermamente che è il suo Santissimo Corpo e il Sangue vivo e vero. 
Questo è il modo che egli ha scelto per essere sempre con i suoi fedeli, come e gli stesso ha detto: Ecco io sono con voi sino alla fine dei tempi. 


Che i servi di Dio devono onorare i chierici 

Beato il servo di Dio che ha fiducia nei chierici, che vivono rettamente secondo le norme della Santa Chiesa Romana, e guai a quelli che li disprezzano: infatti, anche se sono peccatori, nessuno deve giudicarli, perché solo il Signore riserva a sé il diritto di giudicarli. Infatti, di quanto è più grande di tutti il loro ministero, che esercitano intorno al Santissimo Corpo e al Santissimo Sangue del nostro Signore Gesù Cristo, che essi ricevono e solo amministrano agli altri, di tanto più grande è il peccato di coloro che peccano contro di essi, più che se peccassero contro tutti gli altri uomini di questo mondo. 


Testamento 
del Santo Padre Francesco 

…E il Signore mi diede tale fede nelle chiese sue, che così semplicemente pregavo e dicevo: Noi ti adoriamo, o Santissimo Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le chiese tue, che sono in tutto il mondo, e ti benediciamo, poiché con la tua Santa Croce hai salvato il mondo. 
Poi il Signore mi diede, e mi da ancora, tanta fede nei sacerdoti, che vivono secondo la norma della Santa Chiesa Romana secondo il loro Ordine, che anche se mi dovessero perseguitare, io vorrei ricorrere a loro. E se avessi tanta saggezza quanta ne aveva Salomone, e trovassi sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle chiese in cui essi dimorano, non vorrei predicare contro la loro volontà. E questi e gli altri tutti voglio temere, amare e onorare come miei padroni; e non voglio in loro considerare il peccato, perché vedo il Figlio di Dio in loro, e sono miei padroni. 
Faccio così, perché nulla vedo con gli occhi del corpo in questo mondo dell’Altissimo Figlio di Dio, se non il Santissimo Corpo e Sangue suo, che fanno scendere dall’altare e amministrano solo agli altri. E questi altissimi misteri, io voglio che sopra ogni cosa siano onorati e venerati e collocati in luoghi preziosi. E ogni volta che trovo i santissimi nomi e le parole sue scritte in luoghi indecorosi, voglio raccoglierli e supplico anche gli altri di raccoglierli e riporli in luoghi onesti. E dobbiamo anche onorare e venerare tutti i teologi, e coloro che dispensano a noi le santissime Parole Divine, come coloro che ci danno spirito e vita. 



LAVORO DI RICERCA 
1. Esamina una raccolta completa degli SCRITTI di San Francesco, per aggiungere ai brani antologici qui riportati espressioni che completino il suo pensiero sull’Eucaristia e sui temi relativi. 
2. Nella storia dei Santi Francescani, ricerca altri esempi di devozione e di dottrina sull’Eucaristia e sulla venerazione alle chiese, all’altare, ai sacerdoti (cfr. soprattutto i QUADERNI DI SPIRITUALITA’ FRANCESCANA ). 
3. Metti in risalto, in un attento confronto, i punti corrispondenti dell’insegnamento di San Francesco con quelli del Concilio Vaticano II e del più recente magistero pontificio sull’Eucaristia.

FINE 

FONTE: Luciano Canonici - Francescano, 
Attorno all’altare con San Francesco d’Assisi. 
Edizioni FIAMMA NOVA ROMA 1968. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano  

venerdì 8 gennaio 2016

ATTORNO ALL'ALTARE CON SAN FRANCESCO D'ASSISI - PARTE SESTA.



Lettera al Capitolo Generale 
e a tutti i Religiosi dell’Ordine 

Nel nome della somma Trinità e della santa Unità, del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. 
A tutti i reverendi e carissimi frati; al ministro generale dell’Ordine dei Minori, suo signore; agli altri ministri generali che verranno dopo di lui, e a tutti i ministri custodi e sacerdoti della medesima fraternità umili in Cristo, e a tutti i frati semplici e obbedienti, primi e ultimi: Frate Francesco, uomo dappoco e caduco, vostro piccolo servo, augura salute in Colui che ci ha redenti e lavati col suo Sangue prezioso; in Colui che voi, appena ne ascoltate il nome, dovete adorare con timore e rispetto, prostrati fino a terra: il suo nome è Signore Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo: che è benedetto nei secoli. Amen. 
Prego tutti voi, fratelli baciandovi i piedi con tutta la carità che posso, di manifestare tutta la riverenza e tutto l’onore che potrete al Corpo e Sangue del nostro Signore Gesù Cristo, nel quale tutte le cose, in cielo e in terra, sono rappacificate e riconciliate con l’Onnipotente Dio. 
Prego tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi con tutta che appartengono, apparteranno e vogliono appartenere all’Altissimo, che ogni qualvolta vorranno celebrare la Messa, si rendano puri e compiano con purezza e riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e del Sangue del nostro Signore Gesù Cristo, con santa e casta intenzione, non per alcuna ragione terrena, né per timore o amore di alcun uomo, quasi per piacere agli uomini. Ma tutta la volontà, per quanto aiuta la grazia dell’Onnipotente, sia diretta a lui, desiderando di piacere al solo sommo Signore, perché egli solo opera ivi, come a lui piace. Infatti, poiché il Signore medesimo dice: Fate questo in memoria di me, se alcuno facesse diversamente, diventerebbe un altro Giuda traditore; e si fa reo del Corpo e del Sangue del Signore. 
Ricordatevi, fratelli miei sacerdoti, quanto è scritto nella legge di Mosè, che chi trasgrediva anche nelle cose solo corporali, senza nessuna misericordia moriva per sentenza del Signore. Quanto maggiori e peggiori supplizi merita di soffrire chi avrà calpestato il Figlio di Dio, e avrà osato di profanare il sangue del testamento, nel quale è stato santificato, recando oltraggio allo Spirito di Grazia? 
E l’uomo disprezza veramente, profana calpesta l’Agnello di Dio quando, come dice l’Apostolo, non distinguendo e non discernendo il santo pane di Cristo da altri cibi o da opere indegne, lo mangia senza esserne degno, oppure, pur essendo in stato di grazia, se ne ciba senza riverenza e profitto; poiché il Signore dice per bocca del Profeta: Maledetto l’uomo che compie l’opera di Dio con mala fede. 
E i sacerdoti che non vogliono applicare il cuore a questo, egli li condanna dicendo: Io maledico le vostre benedizioni. 
Ascoltate, fratelli miei: se la beata Vergine Maria è onorata ( ed è giusto ), perché lo portò nel suo grembo santissimo; se il beato Giovanni Battista tremò e non osò toccare il capo di Dio; se il sepolcro, nel quale giacque per breve tempo, è venerato: quanto deve essere santo e giusto e degno chi tocca con le sue mani e prende in cuore e in bocca, e offre agli altri affinché lo ricevano, la vittima non destinata alla morte, ma alla vita eterna e alla gloria, e che gli Angeli desiderano di guardare?  
Contemplate, fratelli sacerdoti, la vostra dignità e siate santi, perché egli stesso è santo. E come sopra tutti, a cagione di questo mistero, vi ha onorati il Signore Dio, così anche voi, a causa di questo mistero, amatelo, veneratelo e onoratelo più di tutti gli altri. Grande miseria e miseranda debolezza sarebbe se avendo presente così lui stesso, vi curaste di qualsiasi altra cosa in tutto il mondo. Ogni uomo tema, tutto il mondo tremi ed esulti il cielo quando sull’altare, tra le mani del sacerdote, si trova Cristo Figlio del Dio vivo.  
O mirabile altitudine! O stupenda degnazione! 
O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, si umili così, da nascondersi per la nostra salute sotto la modesta figura del pane! 
Vedete, fratelli, l’umiltà di Dio, ed effondete davanti a lui i vostri cuori, e umiliatevi, affinché anche voi siate esaltati da lui. Quindi non conservate nulla di vostro, affinché interamente vi accolga chi dà tutto se stesso a voi. 
Inoltre ammonisco ed esorto nel Signore, che nei luoghi in cui dimorano i frati, si celebri una sola volta al giorno la Messa, secondo i riti della Santa Chiesa. Se però in quel luogo vi fossero diversi sacerdoti, sia contento, per amore della carità, l’uno di aver ascoltato la celebrazione dell’altro; perché il nostro Signore Gesù Cristo sazia gli assenti come i presenti, che sono degni di lui. E pur potendo trovarsi in più luoghi, egli rimane invisibile e non subisce nocumento, ma essendo uno e vero, opera come gli piace con Dio Padre e con lo Spirito Santo Paraclito, nei secoli dei secoli. Amen. E poiché chi è da Dio, ascolta le parole di Dio, anche noi, frati amatissimi, che siamo destinati agli spirituali uffici divini, dobbiamo soltanto ascoltare e fare quanto dice Dio, ma anche non per poter intuire l’altitudine del nostro Creatore nel cuore, e per avere una migliore comprensione di lui, dobbiamo aver cura dei tabernacoli e di tutti gli altri oggetti del culto che contengono le sue sante parole. Perciò ammonisco tutti i miei fratelli, e li esorto in Cristo, che, ovunque troveranno scritte le divine parole, le venerino, e per quanto tocca a loro, se non sono collocate bene o se giacciono abbandonate in un luogo sconveniente, le raccolgano e ripongano, onorando in quelle parole il Signore che le ha pronunciate. Molte cose, infatti, vengono consacrate dalle parole di Dio, e in virtù delle parole di Cristo si compie il Sacramento dell’altare. 

A tutti i chierici 
Sul culto del Corpo del Signore e sul decoro dell’altare 

Noi chierici dobbiamo meditare tutti il grande peccato e l’ignoranza di certuni che riguardano al Santissimo Corpo e Sangue del nostro Signore Gesù Cristo, ed ai sacratissimi nomi e alle sue parole scritte che consacrano il suo Corpo. Noi sappiamo che non può esservi il suo Corpo, se prima non è consacrato dalla parola. Niente infatti, noi abbiamo e niente vediamo corporalmente, in questo mondo, dell’Altissimo, se non il suo Corpo e il Sangue, e i nomi e le parole per cui siamo stati creati e redenti dalla morte alla vita. 
Ora tutti coloro che amministrano così i santi misteri, meditano tra sé, specialmente coloro che li amministrano senza il dovuto rispetto, quanto siano poveri i calici, i corporali e i lini in cui sono sacrificati il Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo. Da molti è lasciato in luoghi miseri, e viene portato via miserevolmente, e indegnamente ricevuto e senza discrezione distribuito. Anche gli scritti con i suoi nomi e con le sue parole, a volte sono calpestati sotto i piedi; perché l’uomo animale non percepisce le cose di Dio. Non ci muovano a pietà tutte queste cose, mentre lo stesso pietoso Signore si abbandona alle nostre mani, e noi lo tocchiamo e lo prendiamo ogni giorno nella nostra bocca? Forse è ignoto che dobbiamo finire tra le sue mani? 
Di queste colpe, dunque, e delle altre, correggiamoci presto ed energicamente; e dovunque il Santissimo Corpo del Signore nostro Gesù Cristo è collocato e abbandonato in modo sconveniente, sia tolto di là, e riposto e ben custodito in un luogo prezioso. Così pure i nomi e le parole del Signore, ovunque si trovano in luoghi impuri, siano raccolti e riposti in un luogo onesto. E sappiamo che questo tutto lo dobbiamo soprattutto osservare, secondo i precetti del Signore e le costituzioni della santa madre Chiesa. E chi non farà questo, sappia che nel giorno del giudizio ne dovrà rendere ragione davanti al Signore nostro Gesù Cristo. E chi farà copiare questo scritto, affinché possa essere meglio osservato, sappia che egli è benedetto dal Signore. 


A tutti custodi …

Vi prego, più che se vi pregassi per me stesso, di supplicare, quando vi parrà conveniente e utile, umilmente i chierici di venerare sopra ogni altra cosa il Santissimo Corpo e Sangue del Signore Gesù Cristo, e i santi nomi e le sue parole scritte, le quali consacrano il Corpo suo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto quanto occorre per il sacrificio debbono essere tenuti come cose preziose. Se in qualche luogo il Santissimo Corpo del Signore fosse conservato troppo poveramente, sia da loro riposto, secondo la disposizione della Chiesa, in un luogo prezioso, sia custodito e portato con grande venerazione e dato agli altri con discrezione. Anche gli scritti contenenti nomi e parole di Dio, ovunque vengano trovati in luoghi indecenti, siano raccolti e collocati in un luogo decoroso. In ogni vostra predicazione, ricordate al popolo di far penitenza, e che nessuno può essere salvo, se non ricevendo il Santissimo Corpo e il Sangue del Signore. E quando dal sacerdote è immolato sull’altare e viene trasferito in qualche parte, tutta la gente, inginocchiandosi, renda lode, gloria e onore al Signore Dio vivo e vero. 
Riguardo alla lode, insegnate e predicate che ad ogni ora e al sonare delle campane sempre da tutto il popolo siano rese lodi e grazie all’Onnipotente Dio per tutta la terra. 


Ai governanti dei popoli 

A tutti i podestà e consoli, ai giudici e ai rettori ovunque sulla terra,e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera, fra Francesco, vostro piccolo e spregevole servo del Signore, augura a voi tutti salute e pace. 
Vi consiglio, signori miei, caldamente, a lasciare in disparte ogni cura e preoccupazione, e a ricevere di buona volontà il Santissimo Corpo e il Santissimo Sangue del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria. In risposta all’onore che è stato conferito a voi dal popolo, questo onore dovete conferire al Signore: ogni sera dovete ricordare per mezzo di un messaggero, o con qualche altro segno, che tutto il popolo deve rendere lode grazie all’Onnipotente Signore Dio. E se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione nel giorno del giudizio davanti al Signore, vostro Dio, Gesù Cristo. Coloro che terranno presso di sé questo scritto e lo osserveranno, sappiano di essere benedetti dal Signore Dio. 


FONTE: Luciano Canonici - Francescano, 
Attorno all’altare con San Francesco d’Assisi. 
Edizioni FIAMMA NOVA ROMA 1968. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano