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venerdì 29 gennaio 2016

IN MEMORIA DEL M. R. P. GIAMBATTISTA DA FERLA CAPPUCCINO ( 1882 - 1952 ) PARTE QUARTA .



 “ Quando a Colui ch’a tanto ben sortillo 
piacque di trarlo suso alla mercede 
ch’el merito nel suo farsi pusillo, 
à frati suoi, sì com’a giuste rede, 
 raccomando la donna sua più cara 
e comando che l’amassero a fede; 
e del suo grembo l’anima preclara 
mover si volse, tornando al su regno, 
e al suo corpo non volse altra bara ”. 
Dante - Paradiso XI 108 - 117. 


Reverendi! Signori!

non vi dispiaccia che con le medesime, ispirate e suggestive parole, nelle quali Dante fa celebrare a Tommaso d’Aquino la fine del grande Stigmatizzato della Verna, intoni io l’orazione funebre sulla spoglia mortale, giacente qui, dinnanzi a noi, di Padre Giambattista da Ferla. E’ giusto che mi richiami, per un frate Cappuccino, al testamento spirituale di Francesco d’Assisi, tenuto sacro ed invariato, di tra l’egoismo e la cupidigia di ogni secolo e più che mai splendente di una sua particolare, fulgida luce ogni qualvolta la morte trovi chi li accolga col sorriso e con la serena tranquilla speranza, nella seconda più bella e vera vita, di cui questa non è la platonica ombra. La morte, che è per noi, comuni mortali e scettici blù la diva severa del Carducci, il cui rombo da lungi s’ode, tema sempre risorgente di affanni e di preoccupazioni e fonte ora di tristezza, ora di gioia, ora di amore, ora di rancore per gli eredi, doloranti intorno al capezzale, significa per chi accetta il messaggio cristiano, una seconda e più luminosa nascita dello spirito, libero ormai dalle anfrattuosità di questa valle e delle lacrime di essa. Di questa morte, che è nascita, morirono i saggi; morì Socrate che all’amico, venuto di soppiatto, alle prime luci dell’alba per aiutarlo a fuggire, narrò, sorridendo, del sogno avuto e dal quale egli l’aveva bruscamente interrotto, della nave che entrava al Pireo, sintomo ch’egli, Socrate, doveva salpare per i porti dell’aldilà. Morirono i martiri, quando, sfidando sulle sanguinate arene, dinanzi all’imperatore del già crollante impero, gridavano con la forza della vittoria: Ave Caeser, morituri te salutant. Morirono gli eroi e morirono i santi in tutte le epoche, presso tutti i popoli; morì chi visse per morire. 
Di questa morte, che è nascita, sei morto tu Padre Giambattista, dettando a coloro che ti stavano d’attorno, nello spirito dell’Assisiate, il più alto monito, il punto di forza della etica cristiana: Amate il vostro prossimo come voi stessi, fate del bene a coloro che vi perseguitano. Questo ha lasciato come legato ai tuoi e a noi. A tutti, poi, il più fulgido esempio, di quello che possa essere la vita quaggiù, quando è saputa vivere nello spirito di umiltà e di carità, di obbedienza e di castità, nella traduzione in atto, cioè, di quello che il programma di vita cristiana e francescana. 
Sei grande, ora, o Padre per il tuo continuo rimpicciolirti nella vita; sei ricco, ora, per essere stato tu sempre povero, ricco non delle ricchezze e dei beni, che deperiscono e si perdono, ma dei tesori, che non si scalfiscono. Sei superbo, ora, della luce di Dio, per averla questa sempre cercata per te e riflessa negli altri, lungo tutta la tua vita terrena. 
Quale sia stata questa lo documentano efficacemente le mille e mille anime da te consolate. Le case da te riempite di Grazia Divina, i cuori da te fatti rinascere all’amore ed alla speranza. Sei passato umile e modesto, spandendo l’odore della tua virtù, come la stella spande la luce, come il fiore il profumo. Cinquantaquattro anni di religione lasceranno in chi ti conobbe e ti apprezzò un solco infinito di ricordi, dal quale, ogni momento, verrà fuori il monito tuo, che fu la divisa, di cui ti facesti onore e vanto: amore perdono in Cristo. 
Padre Cristoforo in quell’enorme città di appestati che era il Lazzaretto, descritto dal Manzoni nei suoi Promessi Sposi, a Lucia che gli chiede se lo vedrà ancora, risponde: “ E’ già molto tempo che chiedo al Signore una grazia, e ben grande: di finire i miei giorni in servizio del prossimo. Se le la volesse ora concedere, ho bisogno che tutti quelli che hanno carità per me, mi aiutano a ringraziarLo ”. 
Anche tu, o caro Padre, hai finito i tuoi giorni in servizio del prossimo ed il Signore ti ha fatto la grazia, e tu, in cuor tuo, Lo avrai ringraziato, se dal tuo letto di dolore, ove un atroce male, improvvisamente sviluppatosi, ti straziò, avesti ancora la forza di esortare al bene, all’amore, alla virtù. Si, è per questo che puoi andartene contento. C’è qui la folla di parenti, lo stuolo dei tuoi confratelli nella Regola e nel Sacerdozio, la moltitudine dei tuoi amici, venuti a darti l’estremo saluto. 
Commuoviti per noi. Dà a noi la forza di far bene a chi fa del male, di amare chi ci odia, di perdonare chi ci offende. Dimostra a noi che se per te ciò, sull’esempio di Cristo e di Francesco, fu facile, anche per noi lo sarà. Sii per i tuoi parenti voce consolatrice, per i tuoi confratelli regola di vita, per noi esempio e sprone, incitamento e monito, guida e luce alle più alte vette dell’ascesi cristiana. Nient’altro ti chiediamo. Quando, a Ferla, i nostri figli e i nostri nipoti andranno, come noi da ragazzi ci andammo e da grandi ancora ci andiamo al piccolo e caro Convento, che guarda, propizio e benigno, da mistica altezza il paesello, accoccolato ai suoi piedi e vedranno il tuo ritratto lungo il breve e silente corridoio, pieno di tanta beata pace e ci chiederanno: “ Chi è quel frate? ”. Noi risponderemo: “ Fu un frate buono, umile e pio, che visse e mori, edificando il regno di Cristo sulla terra ”. 
Addio, addio! Requiesce in pace! 

Ferla 2 - XII - 1952. 


Giuseppe Pisasale 
DELEGATO SPORTIVO DELLA GIFRA 



LAUS  DEO

 Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano