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martedì 23 agosto 2022

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE QUARTA seconda

 IL PATRIARCA DEI CERTOSINI

SAN BRUNO 

PARTE QUARTA SECONDA



Di certo detta lagnanza del Legato non si limitava al solo caso dell’arcivescovo di Reims, in ogni modo lo riguardava. Di ritorno in diocesi, Manasse si atteggiò a pentito, al fine di estendere e consolidare la sua vittoria. Tentò di riconciliarsi col prevosto, con Bruno e gli altri canonici rifugiatasi presso il conte Ebal; ed al tempo stesso, di ottenere una condanna papale nella debita forma contro il conte. Per essere più libero dei suoi intrighi, sollecitò dal Papa persino di non dipendere più dalla giurisdizione di Ugo di Die, ma dalla solo autorità del Sommo Pontefice, o da Legati venuti da Roma. 

Scrisse allora a Gregorio VII una lunga lettera in cui la sfrontatezza diviene cortigianeria. In essa moltiplica le proteste di fedeltà e di sudditanza, accusa, adduce argomenti, ricorda i privilegi concessi ai suoi predecessori, e giunge infine agli esuli ed al loro protettore. << A proposito del conte Ebal, che tentava di accusarmi in vostra presenza, e con parole menzognere raccomandava a voi stesso e la propria fedeltà, vi è abbastanza facile riconoscere da qual parte sembri che stia la sincerità della fedeltà verso di voi: dalla mia, che son pronto ad obbedire in tutto a Dio ed a voi, ovvero dalla sua, che da voi attaccava di persona la Chiesa del Beato Pietro e da noi la Chiesa di Reims mediante il Prevosto Manasse ed i suoi seguaci, accolti nel proprio castello. Infatti Manasse poc’anzi ricordato ed al quale per vostro ordine abbiamo perdonato le mancanze commesse nei nostri riguardi, a condizione che facesse ritorno alla Chiesa, sua madre, abbattuto dalla coscienza del suo fallo, non vuole né far ritorno a noi né cooperare alla pace della Chiesa; anzi insieme ai suddetti suoi seguaci, non cessa di oltraggiare con parole e invettive, non potendolo con atti, la Chiesa a me. Pertanto, per non parlare del conte Ebal che, credo, non sfuggirà alla vostra giusta ed apostolica sentenza, riguardo a Manasse istantemente prego la santità vostra o di ordinargli di ricredersi e non più attaccare la Chiesa, ovvero di infliggere a lui ed ai suoi partigiani e cooperatori una severa punizione. Degnatevi altresì di scrivere ai loro ricettatori di non dar più asilo ad essi contro i diritti della Chiesa o, se renitenti, di ritenersi condannati per analoga sentenza >>.

La tattica è maligna: l’espressione << per non parlare del conte Ebal >> la quale insinua che la sentenza di condanna è una conseguenza ovvia, il mettere al primo e, per così dire, unico posto Manasse che non è senza colpa, il silenzio quanto alla persona di Bruno che, l’arcivescovo lo sa bene, il Papa considera come un uomo puro ed integro… tutto questo dimostra destrezza, ed anche troppa. Il Vicario di Cristo non si lasciò di nuovo sorprendere, sventò tutte le insidie. Il 22 agosto 1078 rispondeva alla lettera di Manasse. Lettera mirabile, quella del Papa in cui si sforza ancora di non attaccar di fronte l’arcivescovo, di procurargli uno scampo onorato per poco che consenta ad esser sincero e leale: lo assicura della sua fedeltà, gli conserverà tutti i diritti di vescovo e di metropolita. Ma rinunzi ad ogni eccezione: non si ponga al di sopra della legislazione comune, riconosca l’autorità dei Legati pontifici, anche se non vengono da Roma, vale a dire in concreto l’autorità di Ugo di Die al quale, premuroso di rimediare ad ogni eccesso di severità, il Papa associava l’abate di Cluny, noto per l’equità dei suoi giudizi. Quanto al prevosto Manasse, venga anch’egli sottoposto ad una giusta e precisa inchiesta da parte di ambo i Legati. << Per quel che concerne il prevosto Manasse che non cessa, come voi dite, di molestarvi con la parola, non potendo con atti, e per tutte le altre reclamazioni che avete voluto fare, abbiamo dato le istruzione ai nostri confratelli, il vescovo di Die e l’abate di Cluny, affinché cerchino di fare una diligente inchiesta su quanto è accaduto, di esaminare accuratamente tutto e quindi di giudicare secondo giustizia e conformi alle leggi canoniche le cose esaminate ed appurate >>. 

Da parte del Vicario di Cristo codeste non erano parole vane: lo stesso giorno, infatti, per iscritto dava istruzioni a Ugo di Die e ad Ugo di Cluny. Norme equilibrate nelle quali rifulgono la saggezza di Gregorio VII e la sua perfetta conoscenza di ciascuno dei contendenti. << Adoperatevi, ordina ai Legati, affinché il prevosto Manasse, del quale l’arcivescovo si lamenta, si rappacifichi: rifugiatosi presso il conte Ebal ed aiutato da questi, egli non cessa di importunare il proprio arcivescovo e la sua Chiesa e dal perseguitare il prelato. Che se per caso persistendo nella sua ostinazione ricuserà di obbedire, fate quel che vi sembra più giusto >>. 

Tali ordini sembrano duri per il prevosto, ed in realtà lo sono; essi manifestano la gravità del conflitto che ancora tiene in contrasto l’arcivescovo ed i canonici esuli. Ma il Papa aggiunge un breve inciso che dimostra com’egli sia esattamente informato riguardo allo stato di cose: la resistenza del prevosto non potrebbe essere una resistenza legittima?  << Eccetto che non riconosciate ch’egli abbia una giusta ragione per agire in quel modo >>. Tutto deve svolgersi nell’ordine e nella giustizia: i Legati mettano tutta la loro energia al servizio dell’ordine e della giustizia, nella carità; la carità deve infine prevalere in codesto penoso conflitto: << Quanto alle sue necessità, aiutate come conviene lo stesso arcivescovo, se tutta via avrà a voi obbedito, e difendete per apostolica la Chiesa affidatagli. Egli poi, come ci è noto dalle sue lettere che a voi abbiamo rimesso, chiede tregua per operare di sorteggio. Gli indichiamo per lettera in qual senso abbiamo scritto a voi. E voi, miei carissimi fratelli, agite virilmente e saggiamente, e fate ogni cosa nella carità, affinché gli oppressi trovino in voi dei prudenti difensori e gli oppressori vi riconoscano quali amanti della giustizia. Il Dio Onnipotente infonda il suo Spirito nei vostri cuori >>.

Che cosa avvenne alla fine del 1078 e nei primi mesi dell’anno successivo? Non lo si sa con precisione. Fatto sta che a mezzo l’estate del 1079 il Legato Ugo di Die, d’accordo con l’abate di Cluny, giudicò opportuno di radunare un Concilio a Troyes e di citarvi l’arcivescovo Manasse. Questi vi andò con numerosa scorta di partigiani, il fasto e la forza del quale dovevano far pressione sul Concilio in tali condizioni non avrebbe potuto deliberare né giudicare con tutta libertà? All’ultimo momento il Legato disdisse il Concilio.

Allora Gregorio VII risolse d’intervenire e di sottoporre a nuovo esame l’operato dell’arcivescovo: << Dato che non avete potuto fruttuosamente tenere un Concilio nella regione prestabilita, - scrisse egli a Ugo di Die - giudichiamo che sia di vostra competenza il trovare con diligenza un luogo adatto ove radunare un sinodo per discutere accuratamente la causa dell’arcivescovo di Reims. E se si troveranno accusatori e testimoni in grado di provare canonicamente quando si addebita, vogliamo che senza alcuna esitazione sentenziate conforme a quanto vi detterà la giustizia. Altrimenti, se i testimoni saranno tali da non potersi ragionevolmente accettare, dato che la cattiva reputazione di detto arcivescovo ha invaso solo la Francia, ma anche quasi tutta l’Italia, assuma egli ( come testimoni ) sei vescovi di integra reputazione e, se può, si discolpi. Una volta messa in chiaro la sua innocenza, potrà rimanere in pace nella Chiesa affidatagli e nella propria dignità >>. 

Consideriamo il caso equamente. Il conflitto nel quale il prevosto Manasse, Bruno ed i canonici di Reims si trovavano impegnati non è una lite circoscritta ad una diocesi, una comune << contesa di sagrestia >>. Per la posizione di Reims in Francia, e di certo a motivo del carattere vistoso degli eccessi dell’arcivescovo, il caso supera i limiti della diocesi remese: lo scandalo suscita disgusto in tutta la Francia e nella maggior parte d’Italia. Di qui la procedura eccezionale che Gregorio VII impone ai suoi Legati: se per accusa chiara ed incontestabile mancano i testi a carico, l’arcivescovo non sarà per questo dichiarato innocente; spetterà a lui provare positivamente la rettitudine della sua condotta e delle sue intenzioni; sei vescovi << di integra riputazione >> dovranno farsi garanti della moralità della sua condotta e delle sua attitudine a rimanere a capo della Chiesa di Reims… Codesto provvedimento fa severamente luce sulla potenza di Manasse nell’ordine trame.



Andrè Ravier


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LAUS DEO


Francesco di Santa Maria di Gesù

Terziario Francescano  


martedì 16 agosto 2022

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - QUARTA PARTE prima

 IL PATRIARCA DEI CERTOSINI

SAN BRUNO 

PARTE QUARTA PRIMA



BRUNO DI FRONTE ALL’ARCIVESCOVO MANASSE

1075: il potere spirituale del Papa e quello temporale dei Principi da principio a quella lunga contesa che nella storia porta il nome di Lotta delle investiture.

Poco dopo la sua elezione ( 1073 ), nel marzo del 1074 Gregorio VII riprende energicamente la riforma della Chiesa iniziata dal suo predecessore e conferma le condanne da questi inflitte contro la simonia. Nel 1075 rinnova i decreti di lui e li rafforza condannando l’investitura dei vescovi fatta da Principi temporali. In Francia il Legato incaricato di applicare il decreto pontificio è un uomo inflessibile e persino spietato: chiamasi Ugo di Die. Il suo compito è ingrato; nondimeno lo assume risolutamente . Un giorno si scriverà di lui che fu << l’uomo più detestato del XI secolo >> e lo soprannominerà << l’ascia della Chiesa >> in Francia.

Per ordine del Papa, Ugo deve convocare una serie di Concili regionali in cui ai vescovi sospetti di simonia sarà intimato di comparire in giudizio e coloro che saranno giudicati colpevoli verranno deposti dalla carica e sostituiti con vescovi onesti. Il primo di tali Concili si tenne ad Anse presso Lione nel 1075. Da detto anno nel nome del Papa la lotta contro il terribile flagello della simonia era iniziata, e ognuno prendeva posizione di fronte alla riforma voluta dal Sommo Pontefice. 

Nell’estate del 1076 tenevasi il Concilio di Cleremont. Il prevosto del Capitolo metropolitano di Reims, che chiamavasi Manasse come il suo arcivescovo, andava spontaneamente a presentarsi a Ugo di Die e, accusatosi di aver comperato la carica al principio del 1075 dopo la morte del prevosto Ulderico, umilmente chiedeva perdono.

Certamente in occasione di tale incontro il prevosto Manasse informò Ugo di Die della drammatica condizione in cui l’arcivescovo Manasse con le sue rapine e violenze aveva ridotto la diocesi remerese: dilapidazione dei beni ecclesiastici, arbitrarie estorsioni a discapito del clero sia secolare che regolare, traffico di cariche e di benefici , scomuniche fulminate contro gli oppositori… Un intervento dell’autorità s’imponeva. Si deve forse tale protesta e per evitare l’ira dell’arcivescovo il fatto che negli ultimi mesi del 1076 parecchi ragguardevoli personaggi volontariamente esularono da Reims a rischio di perdere cariche e beni? Ebal ( o Hebal ovvero Eblon ), conte di Roucy-sur-l’Aisne, offrì ad essi asilo. Son noti i nomi di alcuni di codesti protestatori: Manasse il prevosto, Bruno, Rodolfo Le Verd e Fulcoio il Monocolo; e certamente non erano gli unici. 

Ben presto la tensione tra l’arcivescovo e gli esuli giungeva ad un punto critico. Gregorio VII, informato dello stato di cose, risolse d’intervenire, e lo fece con prudenza e moderazione. Se il 25 marzo 1077 incaricava il vescovo di Parigi di far la raccolta dei documenti aventi per oggetto parecchie scomuniche, apparentemente ingiuste, fulminate da Manasse, egli tuttavia continuava a considerare l’arcivescovo quale legittimo Pastore della Chiesa di Reims: il 12 maggio dello stesso anno 1077 lo sceglieva ancora, insieme con Ugo, abate di Cluny, per presiedere, a fianco di Ugo di Die, al Concilio che stava per radunarsi a Langres. 

Ma improvvisamente lo stato di cose si capovolse. La proposta di un Concilio a Langres venne annullata. Lo si sarebbe tenuto ad Autun il 10 settembre 1077, e il vescovo Manasse, invece di presiedervi quale giudice, vi era citato come accusato. Egli ricusò di comparire in giudizio. Ma gli esuli di Roucy, tra i quali si trovavano  il preposto Manasse e Bruno, vi si presentarono: essi accusarono il proprio arcivescovo d’aver usurpato per simonia la sede arcivescovile di Reims e d’aver consacrato, nonostante il formale divieto del Papa, il vescovo di Senlis che aveva ottenuto la sede vescovile per investitura laica dalle mani del Re di Francia. Il vescovo Manasse venne << sospeso >> dall’ufficio dei Padri conciliari, << quia vocatus ad Concilium ut se purgaret, non venit… perché, citato al Concilio per giustificarsi, non venne >>.

Manasse rispose prontamente con severe rappresaglie nei riguardi dei membri del clero remese che si erano recati ad Autun. Ugo di Flavigny nella sua Chronique riferisce che << durante il loro viaggio di ritorno l’arcivescovo tese non pochi agguati ai canonici di Reims che lo avevano accusato al Concilio, di poi ne saccheggiò le abitazioni, vendette le loro prebende e s’impadronì dei loro beni >>.

Nonostante la sospensione fulminata dai Padri del Concilio d’Autun, la controversia tra il vescovo Manasse e i suoi canonici non era pienamente risolta: tutto si svolse come se il Capitolo metropolitano di Reims ed il Legato Ugo di Die avessero sentito l’urgenza di illuminare  Gregorio VII. Se si accetta quanto dice Marlot nella sua Histoire de l’Eglise de Reims, il Capaitolo della cattedrale avrebbe allora mandato Bruno stesso ( e forse anche Manasse ) a Roma per testimoniare direttamente dinanzi al Papa degli eccessi dell’arcivescovo… Checché ne sia, un resoconto ( o due lettere secondo certi autori ) di Ugo di Die ci mostrano la posizione del prevosto e di Bruno nella resistenza del vescovo. 

<< Raccomandiamo alla benevolenza di Vostra Santità, scrive il Legato a Gregorio VII, Manasse, amico nostro in Cristo, il quale nel Concilio di Clermont rassegnò a noi la carica di prevosto della Chiesa di Reims, da lui mal acquistata; lo raccomandiamo il signor Bruno, maestro onestissimo della Chiesa di Reims. Ambedue meritano di essere dalla vostra autorità confermati nelle cose di Dio, poiché sono stati fatti degni di patir contumelie per il nome di Gesù. Vogliate pertanto servirvene come di consiglieri che potranno in avvenire giovare alla causa di Dio, e di cooperatori per quel che riguarda la nazione francese… >>.

In tale documento possediamo un valido e preziosissimo  attestato della stima di cui godeva Bruno presso il Legato e presso tutti ( tranne l’arcivescovo simoniaco ) a Reims . Perché Ugo di Die tributasse a qualcuno un elogio sì formale: << La sua è irreprensibile >> o << maestro onestissimo della Chiesa di Reims >> occorreva che nessun’ombra avesse mai offuscato la sua condotta. La fede e le virtù, come altresì l’integrità di Bruno erano dunque incontestabili… Al di sopra di quel fosco tempo della Chiesa remese egli si arse come un essere puro, non intaccato da alcun compromesso. 

In realtà Gregorio VII non confermò immediatamente il giudizio del Concilio d’Autun: la Chiesa romana, egli scriverà poco dopo, suole agire secondo << la giusta misura  della discrezione  piuttosto secondo il rigore dei canoni >>. Inoltre al Papa è nota la tendenza del suo Legato alla severità. Non ha forse questi giudicato con troppa rapidità, spento il lucignolo di cui avrebbe potuto ravvivare la fiamma? Gregorio VII risolse pertanto di prender personalmente in esame la causa di Manasse come anche quelle di altri sei vescovi condannati da Ugo di Die. A tal fine li convocò a Roma e li invitò a giustificarsi. Il conte Ebal di Roco e Ponzio, uno dei canonici di Reims, vi si recarono anch’essi, al fine d’informare direttamente il Vicario di Cristo di quel che avveniva a Reims. Difficile fu a Roma la discussione. Il principale argomento che Manasse osò addurre in propria difesa fu che la sua condanna rischiava di causare uno scisma nello stesso regno!… In fine Manasse prevalse sui suoi accusatori. A costo d’un giuramento prestato << sul corpo di San Pietro >>, egli ottenne perdono da Gregorio VII, il quale il 9 marzo 1078 inviava al Legato la lettera seguente:

<< Poiché è consuetudine della santa romana Chiesa, cui sebbene indegni, per mandato divino prestiamo la nostra opera, di tollerare certe cose e dissimularne altre, usando moderazione piuttosto che attenerci al rigore dei canoni, abbiamo trattato non senza grande fatica le cause dei vescovi di Francia e Borgogna sospesi o condannati dal nostro Legato Ugo di Die. Di conseguenza restituiamo nel suo grado e ufficio Manasse arcivescovo di Reims - imputato di molte cose e che aveva ricusato di presentarsi al Concilio cui era stato citato dal vescovo Ugo di Die, non essendoci la sentenza pronunziata contro di lui sembrata conforme alla gravità ed alla consueta clemenza della Chiesa romana - dopo che egli ha prestato sul corpo di San Pietro il seguente giuramento: - Io Manasse, arcivescovo di Reims, non per orgoglio ho ricusato di venire al Concilio d’Autun al quale mi aveva citato il vescovo di Die. Se sarò chiamato per il tramite di un messo o mediante lettera della Sede Apostolica, non farò ricorso ad alcun ripiego o frode per esimermi dal presentarmi, ma verrò e lealmente mi sottometterò alla decisione ed al giudizio della Chiesa. Che se Papa Gregorio od il suo successore vorrà che risponda  dinanzi al suo Legato delle accuse mossemi, lo farò con la medesima sottomissione. Lealmente inoltre adopererò i tesori, le risorse ed i beni della Chiesa di Reims, a me affidata, ad onore di codesta stessa Chiesa e non li alienerò affinché non mi si possa accusare di mancare alla giustizia >>. In tal modo Manasse venne incluso nella sentenza d’indulgenza e di misericordia che chiuse l’inchiesta ed il processo dei vescovi. 

Codesta clemenza del Vicario di Cristo non andava a genio al Legato Ugo di Die; non ne avrebbe avuto forse discapito la sua autorità? Egli quindi, non senza una certa amarezza, scrisse al Papa, lasciando trapelare il suo dissapore: << Vostra Santità provveda a che non si faccia ingiuria più a lungo ed in un modo così obbrobioso: simoniaci o colpevoli da noi sospesi o deposti od anche condannanti corrono facilmente a Roma; e da detta città, ove avrebbero dovuto provare un maggior rigore di giustizia, ritornano quasi pienamente riconciliati; e coloro che prima non osavano peccare neppur lievemente, di poi si abbandonano ad un traffico molto redditizio, tiranneggiando le Chiese ad essi affidati. Santissimo Padre, pregate per me, inutile servo di vostra Santità >>.



Andrè Ravier


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LAUS DEO


Francesco di Santa Maria di Gesù

Terziario Francescano  



venerdì 12 agosto 2022

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO PARTE TERZA - quarta - fine.

 IL PATRIARCA DEI CERTOSINI

SAN BRUNO 

PARTE TERZA Quarta 




Il 4 luglio 1067 l’arcivescovo Gervasio moriva lasciando fama di virtù, e Manasse di Gournay gli succedeva col titolo di Manasse I. Questi venne consacrato nell’ottobre del 1068 ovvero 1069. Benché avesse ottenuto la sede arcivescovile di Reims per simonia, con la complicità del Re di Francia Filippo I, Manasse da principio amministrò la diocesi in un modo che lasciava sperare da lui un governo coretto e pacifico. Ma ben presto il suo vero carattere si manifestò: << Era un uomo nobile, scriverà venticinque anni dopo il cronista Guiberto di Nogent, ma gli mancava del tutto quella serenità che per prima cosa conviene all’onestà; l’elezione all’episcopato aveva destato in lui dei gusti talmente grandi da sembrare che volesse imitare la maestà dei re, anzi la ferocia dei principi barbari… 

Dato che amava le armi e trascurava il clero, si dice che un giorno abbia esclamato: “ L’arcivescovo di Reims sarebbe buona cosa, se non vi fosse più da cantar messa! ” >>. era un uomo sleale e faceva il doppio giuoco: per soddisfare la sua brama di ricchezze senza perdere tuttavia il seggio episcopale, univa in un abile alternarsi i gesti di prudente e caritatevole amministratore alle più audaci rapine. 

Le difficoltà sorsero nel dicembre del 1071 in occasione di Hérimar , abate della celebre abbazia di San Remigio. Dapprima Manasse impedì ai monaci eleggersi un nuovo abate nel termine previsto della Regola; di poi cercò ad ogni occasione di venire a contesa con essi, li molestò e s’impadronì di non pochi beni della ricca abbazia. Sicché nel corso dell’anno 1072 i monaci presentarono querela contro l’arcivescovo al Papa Alessandro II. Nei primi mesi del 1073 Alessandro II moriva. 

In aprile gli succedeva Gregorio VII, il quale il 30 Giugno 1073 inviava a Manasse una lettera severa: << Fratello amatissimo, se diligentemente considerassi la dignità del tuo stato, gli obblighi dell’ufficio, le prescrizioni delle leggi divine, infine la riverenza e l’amore cui sei tenuto verso la Santa Romana Chiesa, certamente non lasceresti tante volte senza effetto le richieste ed i moniti della Sede Apostolica, tanto più che è una grave colpa l’averli provocati… Quante volte il nostro predecessore di venerata memoria e noi stessi ti abbiamo supplicato di non far giungere al nostro orecchio tante proteste da parte dei frati costrette a farle! Dal rapporto di molti sappiamo che tratti di giorno in giorno sempre più aspramente quel venerabile monastero. Quale dispiacere per noi che l’intervento dell’autorità della sede Apostolica non sia ancor riuscito ad ottenere la pace e la tranquillità a coloro cui già da tempo sarebbe stato conveniente che tu avessi provveduto con paterno affetto! Nondimeno proviamo ancora una volta a piegare con dolcezza la tua ostinazione, pregandoti da parte dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e nostra, se ti è caro di poter in avvenire contare sulla  nostra fraternità e benevolenza, di… tutto riparare, di guisa che non giungano più lagnanze sul tuo conto. Che se di nuovo disprezzerai l’autorità di San Pietro e la nostra amicizia, per quanta modesta sia, provocherai, lo diciamo a malincuore, la severità e lo sdegno della Sede Apostolica. GREGORIO VII, Epistula XIII. >>.

Da codesta lettera del Papa si intuisce il giuoco sfrontato di Manasse; gesti d’obbedienza, promesse di sottomissione, proroghe, indugi si susseguono, al riparo dei quali astutamente egli opera… I messi dei monaci dell’abbazia di San Remigio ripartendo da Roma per Reims portavano con la memorata lettera a Manasse un’altra, anche del Papa, destinata ad Ugo, abate di Cluny: Ugo veniva incaricato da Gregorio VII di consegnare a Manasse la surriferita lettera di biasimo e gli era comandato di render conto a Roma dell’andamento della faccenda . Manasse aveva preveduto il colpo ed anticipatamente lo aveva parato. Ancor prima che gli giungesse l’ordine del Papa aveva imposto ai monaci dell’abbazia di San Remigio un abate di buona riputazione: Guglielmo, già abate del monastero di Sant’Arnulfo di Metz. In se stessa la scelta era eccellente; ma dall’estate del 1073 Guglielmo, sentendosi impotente a contenere le nuove estorsioni di Manasse, chiedeva a Gregorio VII le dimissioni della carica: Manasse, come egli diceva nella lettera, era << una bestia feroce dai denti aguzzi >>. Il Papa temporeggiò. Al principio del 1074 Guglielmo rinnovava la supplica; e questa volta gli venne concesso di assumere di nuovo il governo della sua antica abbazia. Il 14 marzo Gregorio VII ingiungeva a Manasse di procedere alla regolare elezione di un nuovo abate: venne nominato Enrico, già abate del monastero d’Humblières, il quale rimarrà in carica fino al 1095 ed assisterà impotente ai dolorosi avvenimenti che contrassegnarono gli anni successivi del governo di Manasse.

Nondimeno l’arcivescovo rimase press’a poco tranquillo fino al 1076. Riuscì persino a riguadagnar la fiducia di Gregorio VII; favorì ufficialmente la vita monastica in diocesi; per questo diede la propria adesione all’erezione dell’abbazia del monastero di Moiremont fondato dai canonici di Reims ( 21 ottobre 1074 ), prese parte nella fondazione dell’abbazia di canonici di Saint-Jean-des-Vignes ( 1076 ), e fece donazioni ai diversi monasteri. Senza dubbio in quel tempo nominò Bruno cancelliere della sua Chiesa in sostituzione di Ulderico morto da poco. Bisogna vedere in tale scelta un segno di stima personale, ovvero trattavasi solo d’un gesto diplomatico? 

Promuovere Bruno era secondare l’opinione pubblica e soprattutto quella universitaria, dar segni di buon volere, tanto era viva e diffusa la stima che godeva Bruno… Tre documenti permettono di determinare il breve periodo durante il quale Bruno esercitò la carica di cancelliere; una carta dell’abbazia di Saint-Blase dell’anno 1076 è al contrario firmata da Bruno; ma nell’aprile del 1078 il nome di Goffredo trovasi in luogo di quello di Bruno sui documenti ufficiali dell’arcivescovado. Si possono fissare al 1077 le dimissioni di Bruno, poiché precisamente al principio di detto anno ebbe inizio la dura lotta che parecchi anni avrebbe sconvolto la diocesi di Reims: lotta tra Gregorio VII , il suo Legato in Francia Ugo di Die e parecchi canonici della cattedrale da una parte, e dall’altra l’arcivescovo Manasse I, le cui prevaricazioni erano finalmente svelate. 

Prima di trattare il codesto triste periodo diamo uno sguardo alla persona di Bruno. Egli era allora sulla cinquantina. Dalle incertezze della storia alcuni tratti del suo carattere emergono ed assumono tanto maggior risalto quanto più l’insieme della persona rimane immersa in più densa ombra. Bruno, docente e direttore delle scuole remesi, si rivela anzitutto come un’anima tutta orientata verso gli studi sacri, di poi come un << Maestro >> e un perfetto amico, infine come un uomo la cui autorità morale s’impone a tutti. 

Anche se i due Commenti, quello delle Lettere di San Paolo e quello dei Salmi, un giorno non gli dovessero essere attribuiti dalla critica storica, rimarrebbe innegabile che Bruno apparve ai suoi contemporanei come un teologo di prima classe ed uno specialista riguardo ai Salmi: lo attesta la maggior parte dei Titoli Funebri. Orbene, detta propensione, la quale ovviamente può non essere altro che una curiosità dello spirito, detta propensione alle scienze sacre, segnatamente la predilezione per il pensiero paolino e l’interpretazione dei Salmi, sovente coincide con una orientazione dell’anima verso i più profondi misteri della salvezza. Codesta anima è portata con tutto il peso d’un intimo amore a concentrare la sua attenzione, le facoltà intellettive, lo sforzo della ricerca sulla Persona sì vicina, e ad un tempo sì misteriosa, di Gesù Cristo. 

Quando i Padri Certosini del XX secolo vollero compendiare il senso della propria vocazione in una breve formula da porre al centro del Museo della Correrie presero il testo della Lettera ai Colossesi: << Vita vestra abscondita est cum Christo in Deo… Ormai la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio >>. Ma atteniamoci ai dati storici; nella loro semplicità essi ci bastano: Bruno si era risolto a consacrare la propria vita allo studio ed all’insegnamento delle verità della fede; le cose di Dio avevano soggiogato il suo cuore e bastavano a colmare la sua vita. 

In tale insegnamento egli eccelleva; non solo come un eminente dottore, ma altresì come un maestro nel senso pienamente umano che Sant’Agostino dà al termine. La sua scienza non era solo erudizione: Bruno non avrebbe esercitato l’influsso spirituale che i Titoli ci manifestano, se il suo insegnamento non fosse stato animato da un profondo interesse per l’uomo e non avesse colto i suoi uditori  nel vivo della loro sensibilità religiosa, della loro inquietudine essenziale. Dei propri allievi egli faceva dei discepoli; sovente degli amici: in non pochi Titoli Funebri vi è un accento nel rimpianto, una commozione nel ricordo che supera l’ordine letterario e muove dal cuore : Bruno destava più che ammirazione, egli offriva e suscitava l’amicizia. Il seguito della seguente biografia lo proverà ancor meglio: erano tre amici nel giardinetto di Adamo il giorno in cui risolsero di darsi interamente a Dio… tre amici che univano un medesimo desiderio delle cose eterne.

Bruno infine appare in questa prima e lunga parte della sua vita come un uomo d’una rettitudine ed elevatezza morale incontestate. Il santo vescovo Gervasio ed il maestro Herimann non avrebbero ceduto a maneggi per conferire ad un giovane non ancora trentenne la carica di gran maestro e direttore delle scuole di Reims! E fu necessario che nei venti anni di esercizio della carica di Bruno, avesse acquistato una reputazione d’integrità ed un’autorità incontestabili perché Manasse I, agli estremi, lo scegliesse quale cancelliere allo scopo di rassicurare Gregorio VII riguardo le proprie intenzioni… 

La rapidità con cui Bruno si dimise dall’ufficio di cancelliere non è forse una nuova prova della sua onestà? Bruno era un giusto nel senso biblico del termine: come Guglielmo, abate del monastero di Sant’Arnulfo, egli avrebbe fatto presto a valutare l’arcivescovo concussionario, e sembra che non avrebbe avuto pace fintantoché non si fosse sottratto ad ogni rischio di compromesso e non avesse ripreso la libertà di giudicare e, qualora fosse stato necessario, di lottare. 

In ogni società, soprattutto quando lo stato di cose si altera, il culto della parola di Dio, l’amore della più elevata amicizia, l’integrità votano l’anima umana ad una certa solitudine. Un essere puro è sempre, sotto un certo aspetto, un essere solo. Bruno, siamone certi, un << Maestro >> lo è già non solo nel senso che ha piena la padronanza della materia d’insegnamento e si guadagna l’animo dei discepoli, ma ancor più nel senso che domina gli avvenimenti e gli uomini: egli sta al di sopra di essi, è più grande, li discerne della sua elevatezza, li vede e li giudica. E codesta potenza di personalità si affermerà nei gravi avvenimenti che sconvolgeranno la Chiesa di Reims, e dei quali dovremmo ora trattare.


Andrè Ravier

  

Fine terza parte.


LAUS DEO


Francesco di Santa Maria di Gesù

Terziario Francescano  


martedì 9 agosto 2022

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO PARTE TERZA - terza

 IL PATRIARCA DEI CERTOSINI

SAN BRUNO 

PARTE TERZA - terza

 


In tale prospettiva si risolverebbe un certo numero di difficoltà che, dopo otto secoli di unanime consenso, tale o altro critico ha creduto di dover opporre all’autenticità dei due Commenti. Così, per non addurre che questo esempio, nel confrontare le due opere bisognerebbe tener conto del fatto che Bruno aveva meditato, ruminato quei testi per una cinquantina d’anni; che ha potuto introdurre qua e la nelle sue cognizioni qualche allusione molto chiaramente determinata quanto al tempo, senza che detta determinazione risolva la questione del tempo in cui venne redatto l’insieme del Commento: tale l’allusione a San Nicola nel Commento del Salterio…. In ogni modo i due Commenti al presente sono oggetto d’uno studio critico molto severo da parte del V. P. Don Anselmo Stoelen; basta attendere i risultati di detto studio. 

Nella peggior ipotesi, vale a dire anche se l’esame concludesse contro l’autenticità dei due Commenti, il profilo spirituale che cerchiamo di tracciare non ne discapiterebbe molto: rimarrebbe vero che, secondo l’espressione di un Titolo Funebre, Bruno fu : << In Psalterio et coeteris scientiis luculentissimus… >> Un valente commentatore del Salterio ed un Dotto >>. 

Per un lettore moderno l’interesse del Commento dei Salmi è discutibile e, di fatto, è discusso. Se don Rivet nella Histoire Littérarie de la France affermava nel XVIII secolo: << Chiunque si prenda pena di leggere con un po’ d’attenzione detto Commento converrà che sarebbe assai difficile trovare uno scritto di tal genere che sia ad un tempo più solido e più luminoso, più conciso e più chiaro >>, l’autore di - Aux sources de la vie cartusienne - mostrasi più riservato: << Il Commento… dei Salmi è scritto in uno stile molto secco; la sua aridità ne rende difficile la lettura; inoltre è appesantito da interpretazioni che non sono più conformi al gusto del nostro tempo… >>. 

Forse è prudente starsene a mezza strada tra l’elogio e la riserva surriferiti. Non si può negare che oggidì nessun lettore cercherà nel Commento dei Salmi un godimento da letterato o anche un appagamento di devozione. Ma a chi avesse il coraggio di superare detta aridità il Commento di Bruno potrebbe ancora offrire dei << pensieri >> atti a stimolare la sua contemplazione ed il suo amore per Iddio. 

Eccone alcuni esempi: << Beati qui scrutantur testimonia eius: in toto corde exquirunt eum: cercano Dio dedicandosi alla contemplazione, e ciò con tutto il proprio cuore, coloro che, avendo messo da parte ogni sollecitudine per i beni di questo mondo, aspirano a Dio solo mediante la contemplazione, cercano e desiderano lui solo con tutto l’affetto del proprio cuore; cercano con tutto il loro amore i più reconditi segreti della sua Divinità. Ps, CXVIII >>.

<< Et benedicam Nomini tuo in saeculum et in saeculum saeculi: Ti loderò contemplando il tuo Nome che è il Signore; ti benedirò con una benedizione che durerà nei secoli dei secoli, cioè ti loderò mediante la lode della vita contemplativa, vita che durerà in questo secolo ed in quello futuro, conforme al detto evangelico: -- Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta -- La vita attiva solo quanto questo secolo. Ps, CXLIV  >>. << In meditatione mea exardescet ignis : Nella mia meditazione, l’amore che già possedevo ha cominciato a crescere sempre più, a somiglianza di fuoco che divampa. Ps, XXXVIII >>.

Commenti simili, esaltanti la vita contemplativa e la sua profonda gioia non mancano. Eccone altri:

<< O giusti, esultate nella gioia; e per questo cantate a Dio, vale a dire lodatelo nella contemplazione. Applicatevi alla vita contemplativa la quale consiste nell’attendere alla preghiera e alla meditazione dei Divini Misteri, lasciando da parte tutto ciò che è terreno. Ps, LXVII >>. << Jubilate Deo… Lodate Dio nell’intimo gaudio dello spirito, gaudio che né a parole né per iscritto può compiutamente esprimersi, vale a dire lodatelo con intensa devozione. Ps, LXV >>.

La predilezione di Bruno per il Salterio -- non dimentichiamo che alcuni dei testi Delfinato ed in Calabria , ma che la sua preferenza per il Salterio risale al tempo trascorso a Reims sì da essere considerato dai suoi allievi uno << specialista >> per quel che riguarda i Salmi -- pioggia, se si sta a quanto è detto nello stesso prologo del Commento, sul fatto che il Salterio è il libro per eccellenza della lode Divina: << Il Salterio risuona tutt’intero delle cose superne, cioè della lode di Dio. Molteplice è l’intenzione di tale opera… ma ogni argomento toccato vien presa in considerazione la lode di Dio…  A ragione detto libro dagli Ebrei vien chiamato libro degli Inni, cioè delle lodi di Dio >>. Orbene, secondo il parere di Bruno, il grande artefice della lode di Dio è Cristo: l’Incarnazione, la Vita, la Morte e la Risurrezione di Cristo:

<< Il titolo del Salmo LIV: In finem, in carminibus, intellectus ipsi David - lo si può così esporre: il senso di codesto salmo può essere applicato allo stesso Davide, vale a dire a Cristo perseverante in carminibus, cioè nella lode. Cristo loda Dio intenzionalmente, a voce e con l’azione; non desistendo dalla lode neppure nella sua Passione, nella quale in particolar modo Dio va lodato. In Carminibus: Egli persevera nella lode fino alla perfetta eternità; vi persevera sia nella prosperità che nell’avversità fino a che Dio lo adduca all’immortalità del tutto perfetta. Ps, LIV >>.

Detta lode essenziale di Cristo è prolungata quaggiù dalla Chiesa essa ne ha la responsabiltà ed il compito, ed adempie tale missione principalmente mediante le anime contemplative.

Commentando il salmo CXLVII, Lauda Jerusalem Dominum, Bruno scrive: << Tu, o Chiesa, loda il Signore, il Padre, con quello sguardo che Lo considera come Signore; loda sì da essere veramente Gerusalemme, vale a dire pacificata…; detta pace è per il Signore una grandissima lode. LodaLo inoltre considerandolo come tuo Dio e Creatore; loda sì da esser veramente Sion, vale a dire contemplante le cose celesti, la quale contemplazione è per Iddio una lode in cui grandemente egli si diletta. Ripeto, loda il Signore, tuo Dio >>.

Cristo, il Cristo storico, il Cristo mistico, la Chiesa: questo è il cuore di detto Commento dei Salmi. Già da lungo tempo codesta citazione di capitale importanza è stata notata dai conoscitori dell’opera di Bruno. Nel 1749 don Rivet scriveva: << San Bruno da per tutto nella sua opera mostra Gesù Cristo ed i suoi membri, Gesù Cristo è la sua Chiesa >>.

Qualora, come ne siamo convinti, i lavori critici in corso concludano in favore dell’autenticità del Commento dei Salmi, l’apporto, sebbene non essenziale, come si è detto, sarebbe nondimeno di grande interesse per l’esatta conoscenza dell’anima di Bruno. Se i citati testi risalgono al temp della dimora di Bruno a Reims, essi mostrano nell’anima di lui professore, gran maestro delle scuole una tendenza favorevole alla contemplazione, se non alla vita contemplativa. Se invece bisogna riservarli per il periodo di tempo trascorso nel Delfinato od in Calabria, essi aggiungono alle due lettere di Bruno una nota Cristologica ed ecclesiale preziosissima; pongono in modo assai chiaro la vita contemplativa nell’esistenza e l’azione della Chiesa.

Andrè Ravier


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LAUS DEO


Francesco di Santa Maria di Gesù

Terziario Francescano  





domenica 7 agosto 2022

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO PARTE TERZA seconda

 IL PATRIARCA DEI CERTOSINI

SAN BRUNO 

PARTE TERZA SECONDA



La scelta tornava a grande onere per Bruno. L’esser chiamato in sì giovane età ad assumere un ufficio tanto delicato significava che Herimann aveva scoperto in lui non solo singolari capacità per l’insegnamento, ma altresì doti di abilità e persino di governo. Bruno invero non aveva che ventisei o ventotto anni; ed Herimann non avrebbe così di proposito rivolto i suoi sguardi su un uomo di quell’età, se nel proporre la nomina di lui all’arcivescovo Gervasio non fosse stato certo di avere il consenso implicito del corpo insegnante e degli stessi studenti delle scuole remesi. Inoltre sapeva meglio d’ogni altro quale fosse la fama di dette scuole in tutto il mondo cristiano: in quel tempo Reims era uno dei centri intellettuali più celebri dell’Europa e doveva ad un giudizioso reclutamento dei docenti il mantenimento di quell’alta reputazione. Bisognava che Bruno avesse dato prova delle proprie attitudini nelle secondarie incombenze affidatigli per essere preposto, nonostante l’età giovanile, alle scuole di Reims quale << summus didascalus >>. La scelta dell’arcivescovo Gervasioera indovinata. Per circa vent’anni Bruno brillò a capo dell’insegnamento remese, sì da ricevere un giorno da Ugo di Die, Legato di Gregorio VII, il titolo molto onorifico di << Remensis Ecclesiae magistrum >>. Nel chiostro della cattedrale ove il maestro insegnava affluirono i discepoli, parecchi dei quali vennero elevati alle più alte dignità ecclesiastiche: Eudes di Chatillon che, al pari di Bruno, fu canonico di Reims, entrò nell’abbazia di Cluny e vi divenne priore, fu poi creato cardinale-arcivescovo di Ostia ed infine eletto Papa col nome di Urbano II; citiamo altresì tra i numerosi prelati ed abati: Rangerio, che sarà vescovo di Lucca; Roberto, vescovo di Langres; Lamberto, abate di Pouthières; Maynard, abate di Coméry; Pietro, abate dei canonici regolari di Saint-Jean-des-Vignes…

Tutti codesti personaggi più tardi nei Titoli Funebri riconosceranno di esser debitori a maestro Bruno del meglio della formazione. Leggiamo qualcuno dei propri attestati: << Io, Rangerio, desidero offrire le mie suppliche a Dio Onnipotente, affinché egli, che lo adornò di tanta grazia e di sì grande pietà, gli conferisca altresì la corona secondo il merito della sua fede. Inoltre per un particolare obbligo e speciale predilezione celebrerò l’anniversario…>>. << Io, Lamberto, abate del monastero di Pouthières, sono stato discepolo di codesto esimo maestro Bruno nell’apprendimento delle lettere fin dai primi anni della mia vocazione religiosa; non cesserò di serbar memoria di un padre sì buono, cui devo la mia formazione >>. << Nel venire a conoscenza del sereno transito del vostro santo padre e mio maestro Bruno, dal cui labbro ho appreso l’insegnamento d’una sana dottrina, dice Pietro, abate del monastero di Saint-Jean-des-Vignes a Soissons… mi son rattristato, ma ho altresì gioito perché egli ha trovato il riposo e vive con Dio, come mi viene dato di arguirlo dalla purezza e perfezione della sua vita passata, a me abbastanza nota >>. L’attestato di Maynard, priore del monastero di Corméry, è tanto più commovente in quanto allorché gli venne comunicata la notizia della morte di Bruno si accingeva a partire per la Calabria: desiderava di riveder Bruno ed << aprirgli il proprio animo >>. Tale proposito ci mostra quanto profondo fosse l’influsso di Bruno fin dal tempo della sua dimora a Reims. << L’anno 1102 dall’Incarnazione del Signore, alle calende di novembre ho ricevuto questo rotolo e vi ho letto come l’anima, spera beata, dal mio carissimo maestro Bruno, perseverando nella vera carità, abbia abbandonato la vita transitoria di questo secolo e raggiunto sulle ali delle sue virtù il regno dei cieli. Certo ho gioito della fine gloriosa di un uomo sì grande; ma dato che era mia ferma intenzione di recarmi quanto prima da lui per vederlo ed udirlo, per confidargli tutti i moti della mia anima e consacrarmi insieme con voi alla Santissima Trinità sotto la sua guida, mi son turbato oltre ogni dire alla nuova del suo inatteso transito, e non sono riuscito a trattenere le lacrime. Io, ripeto, Maynard, assai indegno priore di numerosi monaci nel monastero di Corméry, sono oriundo della città di Reims, ho seguito per alcuni anni i corsi di Bruno e con la grazia di Dio ne ho tratto gran profitto. Son grato a Bruno dei progressi fatti; e se in questa vita non ho potuto manifestargli la mia riconoscenza, almeno al presente desidero di farlo  per la sua anima. Finché avrò vita serberò, dunque, memoria di lui e di tutti coloro che lo hanno amato in Cristo….>>. A codesti meravigliosi attestati di riconoscenza e di fedeltà bisognerebbe aggiungere certi atti o gesti di suoi antichi allievi che da sé e senza bisogno di parole o di scritti manifestano l’influsso profondamente spirituale di maestro Bruno: tale la designazione del vescovo simoniaco Manasse; tale altresì la chiamata di lui a Roma da parte del Papa Urbano II … Riferiremo codesti fatti a suo tempo. Conteniamoci ora di spigolare nei Titoli Funebri qualche elogio tributato a Bruno da coloro che lo hanno conosciuto: << Superava i dottori ed era loro maestro >>… << Filosofo incomparabile, luminare in ogni scienza >>… << Ebbe, questo dottore, la forza del cuore e quella della parola sì da superare tutti i maestri; la sapienza risiedé tutta in lui; quanto affermo è noto a me e, con me, a tutta la Francia >>… << Maestro dal fine intuito, luce e guida nella via che conduce alle vette della sapienza >> … <<  Il suo insegnamento rifulse nel mondo >> … << Onore e gloria del nostro tempo >>. Anche tenendo conto delle amplificazioni letterarie, abituali in tal genere di elogi, Bruno ci viene presentato come un uomo che innegabilmente ha contrassegnato la cristianità del suo tempo. I Titoli insistono sul valore della sua dottrina: << Dottore dei dottori >>, << Fonte di dottrina >>, << Profonda sorgente di filosofia >>, -- sull’irradiazione del suo pensiero spirituale, della sua sapienza >>: << Perla di Sapienza >>, << Esempio dei buoni >>, << Modello di vera giustizia, di scienza e di filosofia >>, -- sulla conoscenza che aveva della Sacra Scrittura  ed in modo specialissimo del Salterio: << Dotto esegeta del Salterio e, filosofo chiarissimo >>, << Egli, ebbe la scienza del Salterio e, dottore, istruì non pochi discepoli >>, << In passato sommo maestro nelle scuole della Chiesa di Reims, perito autorevolissimo in ciò che riguardava il Salterio e nelle nostre scienze, fu per lungo tempo una colonna di tutta quella metropoli >>.

Oltre ai testi di capitale importanza e certamente autentici di cui parleremo più in là: la Lettera a  Rodolfo Le Verd, la Lettera alla Comunità di Certosa e la Professione di fede, due opere ci sono pervenute sotto il nome di Bruno: il Commento delle Lettere di San Paolo e il Commento dei Salmi. Se esse sono autentiche, come ci sembra certo, probabilmente appartengono al periodo della vita di Bruno docente. Ma sia l’una come l’altra opera, soprattutto il Commento dei Salmi, potrebbero non essere state altro che le note delle lezioni di Bruno professore di Teologia. E forse osar troppo se pensiamo che anche se dette note non fecero parte delle poche cose personali che Bruno conservò e di poi portò con sé nel lasciare Reims, almeno si ricordava dell’insegnamento impartito, -- ne abbia vissuto ancora in Certosa e parimenti in Calabria, -- e che senza dubbio non abbia cessato di migliorare le sue cognizioni e di perfezionarle per uso proprio e degli eremiti, suoi confratelli? E’ anche questa un’ipotesi? Siamo che fin dal tempo della docenza a Reims Bruno dinanzi ai discepoli eccelleva nella conoscenza dei sacri testi ed in modo specialissimo del Salterio; e siamo non meno certi che sia in Certosa, sia in Calabria abbia gioito d’aver dei confratelli << dotti >> ed abbia orientato i suoi eremiti verso lo studio della Bibbia. Ai conversi di Certosa al termine della sua vita scriverà queste mirabili parole: << Mi rallegro per il fatto che, sebbene non abbiate la scienza delle lettere, l’Onnipotente Iddio scrive col suo dito nei vostri cuori non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua santa legge….>>; anch’essi mediante l’obbedienza, l’umiltà, la pazienza, il << puro amore del Signore >> e << l’autentica carità >> raccolgono << saggiamente il frutto soavissimo e vivificante delle Divine Scritture >>. Nulla poteva farci meglio comprendere a qual punto Bruno facesse dipendere tutta la sua spiritualità e la santificazione dell’anima della conoscenza  della Scrittura. Senza dubbio in Certosa come nell’eremo di Calabria tale conoscenza era più nettamente orientata verso la contemplazione; ma poteva non continuare, prolungare, approfondire l’insegnamento di Reims?


Andrè Ravier


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Francesco di Santa Maria di Gesù

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venerdì 5 agosto 2022

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO PARTE TERZA - prima

 IL PATRIARCA DEI CERTOSINI

SAN BRUNO 

PARTE TERZA PRIMA



MAESTRO  BRUNO

Al termine degli studi fece forse Bruno un breve soggiorno a Parigi? Ricevè gli Ordini Sacri? Predicò? In quali regioni?… Tanti punti oscuri, riguardo siamo privi di documenti attendibili, salvo l’indicazione di un Titolo Funebre da cui sarebbe rischioso trarre conclusioni troppo precise: << Multos Faciebat sermones per regiones >>. Un semplice chierico aveva studiato ed era fornito di titoli della scuole di Reims poteva essere chiamato a predicare davanti al popolo. Allo storico Bruno certamente farebbe luce il sapere quando ed in quali circostanze egli fu promosso canonico della collegiata di San Cuniberto di Colonia. 

Purtroppo non conosciamo che il fatto stesso, trasmessoci da Manasse, arcivescovo simoniaco di Reims: << Questo Bruno, egli dice nella Apologia che indirizzo a Ugo di Die ed al Concilio di Lione nel febbraio del 1080, questo Bruno non appartiene al mio clero; non è pure nato né è stato battezzato nella mia diocesi: è canonico della collegiata di San Cuniberto a Colonia nel regno teutonico >>. Riguardo al tempo e alle circostanze di detta nomina si possono formulare delle ipotesi. La prima consiste nel riallacciarla alla riorganizzazione della collegiata di San Cuniberto, fatta dall’arcivescovo di Colonia Herimann II; detta collegiata fu di nuovo dotata di 24 canonici. Forsechè Herimann volle allora onorare la famiglia di Bruno e creare per bruno stesso, le cui doti già affermavano, un vincolo personale con la Chiesa di Colonia? 

In tale ipotesi Bruno sarebbe stato nominato canonico fin dalla prima giovinezza. Ovvero bisogna attendere il tempo in cui la bontà dell’insegnamento impartito lo renderà celebre? Colonia in tal caso avrebbe voluto partecipare all’omaggio che veniva reso ad uno dei suoi figli; da parte nostra propendiamo per detta opinione. Un’altra ipotesi sovente è stata avanzata: nel 1077 o poco dopo, al tempo della sua lotta contro Manasse, Bruno si sarebbe orientato verso Colonia; ma tale ipotesi no sembra vero simile: oltre che i documenti sembrano indicare ch’egli rimase dal conte Ebal di Roucy col gruppo dei canonici che si opponevano all’arcivescovo simoniaco, come si sarebbe potuto rifugiare a Colonia ove avrebbe trovato una condizione di cose ancor più grave di quella di Reims? Dal marzo del 1076 l’imperatore Enrico IV aveva imposto a Colonia un intruso, Ildufo, contro cui clero e popolo, fedeli a Gregorio VII, insorgevano invano… 

Allo stato presente delle ricerche bisogna che ci conteniamo del semplice fatto innegabile: Bruno è nato verso il 1030, come già si è detto -- ci si pone un problema: tra la fine dei suoi studi e la nomina alla carica di gran maestro e direttore delle scuole di Reims, verso il 1056, che cosa fece Bruno? Quale fu la sua vita? Come occupava il tempo? Sembra che una risposta sia necessaria. Non è concepibile che a Reims, meno che in qualsiasi altra città, la gravosa carica di << summus didascalus >>, di responsabile degli studi, sia stata conferita ad un professore che non avesse dato prova della sua capacità. Se Bruno soggiornò a Parigi od a Colonia, di breve durata furono i suoi soggiorni. Tanto più che Bruno, ancora prima di essere nominato maestro e direttore degli studi, od almeno lo stesso tempo, fu elevato ad un’altra dignità, cioè promosso canonico della cattedrale di Reims. Non era un onore dappoco l’appartenere a quell’illustre capitolo metropolitano. 

<< Bruno, Ecclesiae Remensis, quae nulli inter Gallicanas secunda est, canonicus… >>, la Chiesa di Reims in quel tempo non era superata da alcun’altra Chiesa di Francia, dice la cronaca Magister…. Tale gloria non è usurpata. Reims figurava allora come metropoli; celebre e potente era il suo capitolo cattedrale che contava 72 canonici ed era retto dalla Regola che nel 816, per suggerimento di Ludovico il Pio, il Concilio di Aix-la-Chapelle aveva elaborato per i canonici. Regola monastica e la libertà del chierico: il canonico sottomesso alla d’Aix rimaneva secolare, conservava i suoi beni, aveva casa propria e godeva di redditi; le prescrizioni concernenti il digiuno erano precise, ma abbastanza moderate; una certa vita in comune era imposta, senza essere assoluta né troppo rigorosa. 

Tale moderazione poteva forse in certi capitoli cattedrali far cadere nella mediocrità ma sembra che non fosse questo il caso di Reims. Verso il 980 il capitolo metropolitano remese era adottato quale esempio di perfezione << in castitate, scientia, disciplina, in correptione et exhibitione bonorum operum >>, ed al tempo di Bruno meritava tale elogio. Quando l’arcivescovo Gervasio in due delle collegiate della sua diocesi ( in quella di San Timoteo nel 1064 e in quella di San Dionisio nel 1067 ) i canonici regolari, che vivevano sotto più stretta osservanza, specialmente riguardo alla vita comune ed alla povertà, il capitolo della cattedrale non accolse tale riforma. 

Bruno pertanto fu canonico del clero secolare, e mai canonico regolare. Nel corso dei secoli gli arcivescovi di Reims ed altri benefattori avevano riccamente dotato il capitolo della loro cattedrale. Lo stesso San Remigio ( morto verso il 533 ) per primo ne aveva dato l’esempio: ai chierici della cattedrale --- aveva proprietà a sud della Loira ed in Germania fino alla Turingia. Ogni vescovo poi in occasione della sua intronizzazione s’impegnava di rispettare detto patrimonio. I redditi di tali proprietà ogni anno venivano divisi tra i canonici; Bruno pertanto, alla pari di tutti gli altri membri capitolari, dovette ricevere la parte che gli spettava di tale ricchezze…

Detti redditi venivano ad accrescere il suo patrimonio che molto verosimilmente non era trascurabile. Due Titoli Funebri della cattedrale di Reims ( 52 e 53 ) ci fan sapere che al momento della partenza da codesta città egli godeva di abbondanti proventi ed era << divitiis potens >>. Pertanto, se si giudica da quel che ci è dato di conoscere della vita dei canonici di Reims in quel tempo, ecco come viveva Bruno, canonico della suddetta città: abitava fuori dal chiostro della cattedrale, in una casa di sua proprietà; godeva di proventi che gli consentivano di condurre una vita confortevole ed agiata, aveva dei domestici e poteva facilmente ricevere a casa degli amici, tanto più che per i canonici non vigeva l’uso di prendere tutti i pasti in comune. 

Il loro obbligo principale era di partecipare regolarmente all’Ufficio canonico della cattedrale; e si può credere che Bruno non mancasse di adempiere puntualmente tale dovere. Frequentò forse i monaci delle vicine abbazie? Quella di  Saint-Thierry distava solo alcuni chilometri della città, quella di Saint-Remi era vicinissima alle mura cittadine. In ogni caso certamente li conobbe, e via via che in lui prendeva consistenza il progetto di vita monastica dovette informarsi del loro genere di vita. Quando lascerà Reims per Sèche-Fontaine di due cose non potrà dubitare: della sua grande stima ed amicizia per i monaci di San Benedetto e della convinzione di non essere dal Signore chiamato a quel genere di vita.

 E’ ovvio che ciascun membro capitolare fuori delle Ore canoniche era libero di disporre come meglio credeva del suo tempo. Ma, se fin d’allora Bruno fosse stato tentato di dedicarsi ad una lunga contemplazione e di far della sua dimora una solitudine, non avrebbe potuto adempiere gl’incarichi  affidatigli dall’arcivescovo, poiché nel 1056 fu maestro e direttore delle scuole della città di Reims. 

Ci sarebbe di grande utilità il conoscere con esattezza quando Herimann, gran maestro delle scuole remesi, si dimise dalla carica, poiché Bruno gli successe immediatamente. Tali dimissioni verosimilmente vennero date poco dopo l’elevazione di Gervasio di Chateau-du-Loir alla sede arcivescovile di Reims nell’ottobre del 1055, e senza gran rischio di sbagliare possono essere fissate alla fine del 1055 od al principio del 1056. La promozione di Bruno alla dignità di maestro e direttore degli studi sarebbe dunque avvenuta nel corso dell’anno 1056.


Andrè Ravier


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LAUS DEO


Francesco di Santa Maria di Gesù

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giovedì 19 ottobre 2017

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE SECONDA.


IL PATRIARCA DEI CERTOSINI
SAN BRUNO

I PRIMI ANNI DI BRUNO
I sei compagni lo chiamavano << maestro Bruno >>…
Non solo perché era maggiore di essi ed aveva un tempo isegnato a Reims, ma altresì per deferenza, per rispetto. Egli esercitava su di loro un’autorità morale che il suo solo passato non spiegava e che di fatto s’irradiava ad ogni istante da tutta la sua persona. Se essi eran venuti fino al Deserto di Certosa, se si slanciavano in quella audace impresa, era perché egli li aveva guidati, tratti al suo seguito, perché aveva chiarito per ognuno di essi la chiamata di Dio ed ispirava loro fiducia. Tanta bontà, tanto equilibrio, tal desiderio di cercar Dio con un amore assoluto e totale li avevano conquisi, li conquidevano ancora. Da lui poi era stato fatto ed attuato il progetto. Chi era, dunque, quest’uomo da esercitare sui suoi compagni un tale influsso?
Delle sue origini non si sa quasi nulla. Solo tre fatti sono certi. Nacque a Colonia - era pertanto di stirpe germanica - ed i suoi genitori non erano senza nobiltà od almeno senza una certa notorietà nella città. Verso la metà del XVI secolo si affermò che apparteneva alla famiglia von Hartenfaust, si giunse perfino a precisare che discendeva dalla << gens Aemilia >>; ma l’affermazione sembra gratuita: a stento poggia su una tradizione orale che trasmettevasi a Colonia. In una Carta, la cui autenticità è sfortunatamente contestata ( Carta del 2 Agosto 1099 ), Bruno viene presentato nell’atto di rifiutare un’importante donazione di Ruggero, conte di Sicilia e Calabria.
<< Egli rifiutò, dichiara il testo, dicendomi di aver abbandonato la casa paterna e la mia, in cui aveva occupato uno dei primi posti, al fine di poter, libero dalle cose di questo mondo, servire il suo Dio >>. Sovente i documenti apocrifi camuffano la loro non autenticità sotto particolari veri: sarebbe questo il caso?
Quando nacque Bruno? Non lo sappiamo, ma stando alla data - certa - della sua morte ( 6 Ottobre 1101 ) ed agli avvenimenti della sua vita della sua vita possiamo supporre, senza  gran rischio di errare, ch’egli nacque tra il 1024 ed il 1031; il che meglio s’armonizza con i fatti che contrassegnarono la vita di lui.
A Colonia stessa Bruno visse i suoi primi anni; e di tale periodo non ci è pervenuto alcun documento. Colonia! L’antica Colonia Claudia Ara Agrippinensis, che i Romani avevano creato tra il Reno e la Mosa, dal tempo di Ottone il Grande era indipendente dall’organizzazione comitale: Ottone aveva fatto ascendere al seggio arcivescovile il proprio fratello Bruno ( 953-965 ) e gli aveva trasmesso la suprema giustizia ed i diritti comitali per lui e gli arcivescovi, suoi successori. Quando nacque Bruno ( futuro fondatore della Certosa ) l’arcivescovo di Colonia chiamavasi Piligrim; nel 1028 egli incoronò Enrico III in Axi-la-Chapelle ed acquisì in tal modo per gli arcivescovi di colonia il diritto di incoronare l’Imperatore. Tra la storia di Colonia e quella di Reims al tempo di Bruno v’è una coincidenza che forse non è senza interesse far notare: verso lo stesso tempo in cui l’arcivescovo Manasse con la sua elezione simoniaca ed il proprio comportamento provocava a Reims i gravi disordini nei quali Bruno si trovo tragicamente impigliato, la Chiesa di Colonia versava in un’analoga condizione: l’arcivescovo Ildulfo ( 1076-1078 ) si affiancava all’imperatore di Germania Enrico IV contro il Papa Gregorio VII nella lotta delle Investiture; ed i successori di Idulfo, Sigewin ( 1078-1089 ) e Herimann III ( 1089-1099 ) continuarono la sua politica. Orbene, è poco verosimile che almeno nell’intervallo di tempo tra il 1072 ed il 1082 Bruno non abbia mantenuto relazioni con i suoi di Colonia; sarebbe stato quindi informato di ciò che avveniva nella sua città natale… Se tale ipotesi è ammissibile, la grande prova di coscienza che lo indusse a lasciar Reims ed a contrapporsi all’arcivescovo Manasse gli venuta dalle due Chiese a lui più care.
Ma ritorniamo ai primi anni di Bruno. L’arcivescovo Bruno I col suo genio organizzatore aveva fatto di Colonia non solo la prima città della Germania, ma atresì una città d’importanza mondiale. Codesto statista era al tempo stesso assai portato alle cose spirituale; favorì l’eremitismo ed il monachesimo, edificò chiese e fondò Capitoli di canonici, sicché la città venne chiamata << Santa Colonia >> o << Roma germanica >>. Quando Bruno, il futuro Certosino, era bambino, Colonia viveva ancora di detto incremento religioso datole dall’arcivescovo Bruno I: essa non contava meno di 9 collegiate, 4 abbazie, 19 chiese parrocchiali. In quel tempo solo i monasteri e le chiese avevano scuole in cui i giovani potessero avviarsi allo studio delle lettere. A quale di tali scuole Bruno venne affidato? Probabilmente non si saprà mai con certezza. Ma poiché un giorno fu nominato canonico della collegiata di San Cuniberto, legittimamente si può dedurne che con detta collegiata avesse avuto un particolare legame: e tale legame non sarebbe forse stato d’ordine familiare - oggidì diremo parocchiale - e, per conseguenza, scolastico?
Un fatto, per altro, sembra incontestabile: fin dai primi studi Bruno manifestò doni intellettuali abbastanza rari dato che ancora giovane - tenerum alumnum, diranno più tardi i canonici di Reims - da Colonia fu inviato alla celebre scuola della cattedrale di Reims. Lì vivrà ormai: i suoi soggiorni a Parigi, a Tourus od a Chartres sono creazioni della leggenda. Reims contrassegnerà veramente Bruno a tal punto che, trascurando le sue origini germaniche, più in là lo si soprannominerà << Bruno Gallicus >>, Bruno il Francese.
Le scuole remesi, e soprattutto quella della cattedrale che Bruno frequentò, da più secoli godevano gran fama. Gerberto, che un giorno sarebbe Papa Silvestro II, ne era stato rettore dal 970 al 990 circa, e dal suo genio erano state come illuminate. Verso la metà dell’XI secolo l’arcivescovo Guido di Chastillon diede agli studi un nuovo impulso. Quando Bruno andò a studiarvi, le scuole remesi erano giunte ad un certo qual apogeo: gli allievi affluivano dalla Germania, dall’Italia, da tutta l’Europa. Tra quella gioventù la personalità di Bruno s’impose all’attenzione dei suoi maestri. In quel tempo il sapere era enciclopedico, e le scienze profane servivano, per così dire, di preambolo alla teologia. Dopo aver appreso la grammatica, la retorica e la filosofia, - vale a dire dopo essere passato per il trivium - lo studente dedicavasi all’aritmetica , musica, geometria e astronomia, che costituivano il quadrivium. Allora solamente ci si applicava allo studio della teologia, considerata come il coronamento di tutto il sapere umano. Ma se un medesimo maestro, come sovente avveniva, doveva percorrere con gli stessi alunni l’intero corso degli studi, - fu questo segnatamente il caso di Gerberto, che eccelleva nelle matematiche come nelle lettere e la teologia, - gli era consentito di prendersi una certa libertà nella ripartizione delle discipline. Il metodo d’insegnamento era la lectio, la lettura commentata di autori antichi che facevano autorità in materia. La teologia stessa seguiva detto metodo: esso consisteva principalmente nella lettura della Bibbia che il maestro commentava poggiandosi sui Padri della Chiesa.
Tali furono gli studi di Bruno. In quel tempo l’<< écolàtre >> di Reims chiamavasi Hermann o Hermann. Non era dotato della vastità di genio d’un Geberto, aveva almeno fama di teologo di gran merito.
Si presta fede ai Titoli Funebri, Bruno si distinse in filosofia e teologia. Ma le lettere che abbiamo conservato di lui provano che non ignorava nulla della retorica… La cronaca Magister d’altronde dichiara che: << Bruno… fu bene istruito tanto nelle belle lettere, quanto nelle scienze divine >>. A tale periodo di studi risale, se si presta fede ad una tradizione che sembra fondata, una breve elegia Sul Disprezzo del Mondo, che per la prima volta ci manifesterebbe di lui, un’assai preziosa tendenza degna di nota. Detto componimento è scritto in eleganti e sobri distici, ben ritmati; esso è sul tipo di esercizi poetici che allora si facevano nelle scuole umanistiche. Ma qui ci interessa il pensiero più che la forma. 
Ecco l’elegia:
<< Il Signore ha creato tutti i mortali nella luce,
Affinchè mediante i loro meriti conseguivano le
                                   ( supreme gioie del Cielo.
Felice di certo colui che incessantemente tiene la
                                            ( mente rivolta lassù,
e, vigilante, si guarda da ogni male!
Ma felice altresì che si pente dal peccato commesso,
E chi sovente suol piangere la propria colpa.
Purtroppo gli uomini vivono come se la morte non
                                                     ( seguisse la vita,
e come se l’inferno fosse una favola vana.
Mentre l’esperienza insegna che ogni vita si dissolve,
                                                               ( con la morte,
e la divina Scrittura attesta le pene dell’Erebo!
Vive del tutto infelice e da insensato chi tali pene
                                                             ( non teme;
morto, ne patirà l’ardente rogo.
I mortali tutti cercano pertanto di vivere
sì da non temere la palude dell’inferno >>.

Essendo Bruno quasi ventenne ed ancora studente alla scuola della cattedrale accade un avvenimento che dovette avere una profonda ripercussione sulla sua sensibilità religiosa: il Papa Leone IX si recò a Reims e vi convocò un Concilio. ( Notiamo il passaggio che lo stesso anno Leone IX visitò Colonia ). Il 30 settembre 1049 il Vicario di Cristo giungeva a Reims. Il primo ottobre fece la traslazione delle reliquie di San Remigio, che durante le incursioni normanne Hincmar aveva fatto trasportare a Epernay e che venivano così riportate alla celebre abbazia remese omonima del santo; il dì seguente Sua Santità consacrava la nuova chiesa della stessa abbazia di San Remigio. Quale devozione ebbe per lui Bruno! Lo sappiamo per puro caso dalla lettera a Rodolfo Le Verd: quando scrisse tale lettera Bruno trovavasi in Calabria ed era al termine dei suoi giorni; egli aveva lasciato la Francia e l’eremo di Certosa da una decina di anni. << Ti prego, così termina la lettera all’amico, di farmi recapitare la Vita di San Remigio, dato che le nostre parti e impossibile trovarla >>.
Appena terminate le feste di San Remigio, il 3 ottobre Leone IX aprì il Concilio. Numerosi arcivescovi, vescovi ed abati vi partecipavano; in esso si trattò soprattutto della simonia che in quel tempo insidiava la Chiesa e che con urgenza occorreva estirpare. Ci comparirono in giudizio parecchi vescovi che, rei convinti di aver acquistato il vescovato, dal Papa e dal Concilio vennero deposti e scomunicati. Quindi furono prese risoluzioni disciplinari per arginare il male… Bruno assistè alle predette feste ed ebbe conoscenza dei provvedimenti e delle risoluzioni conciliari, alle quali la presenza del Vicario di Cristo conferiva una straordinaria autorità e solennità.
Così all’alba della sua vita d’azione i grandi problemi della Chiesa erano posti dinnanzi alla coscienza di Bruno. Profondamente religioso e retto, nutrito della Parola di Dio e convinto dei grandi principi della fede, era indotto a riflettere sulla condizione della Chiesa, sulle necessarie riforme, e sulle orientazioni che bisognava ch’egli disse alla propria vita perché giungesse alla sua pienezza di valore e di fedeltà. In quel momento sembravagli che il Signore lo facesse propendere verso gli studi sacri lì, a Reims.
Nulla ci autorizza a pensare che fin d’allora egli vagheggiasse l’eremo. Al contrario partecipa da presso alla vita della diocesi, dedicandosi al tempo stesso al sacro insegnamento. Egli non sospettava che per una trentina d’anni gli avvenimenti lo avrebbero fatto entrare in una crisi drammatica in cui quanto aveva veduto compiere da Leone IX e dal Concilio gli sarebbe stato di luce ed avrebbe orientato le sue opzioni.

Andrè Ravier 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano