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sabato 17 ottobre 2015

18 OTTOBRE 2015 - CANONIZZAZIONE DI LUIGI MARTIN E ZELIA GUERIN - GENITORI DI SANTA TERESA DI LISIEUX .




18 Ottobre 2015 
Canonizzazione 
 di 
 Luigi Martin e Zélia Guérin 

 Genitori di Santa Teresa di Lisieux 


PREGHIERA 

O Dio nostro Padre, ti ringraziamo di averci donato 
i Santi Luigi Martin e Zelia Guérin i quali, nell'unità e fedeltà gioiosa del matrimonio, ci hanno offerto la testimonianza di una vita cristiana esemplare, compiendo i loro doveri quotidiani secondo lo spirito del Vangelo e da figli della Chiesa. 
Educando una numerosa famiglia alle virtù cristiane e senza scendere mai a compromessi con le lusinghe del mondo, anche attraverso le prove, i lutti e le sofferenze hanno saputo sempre manifestare la loro fiducia in Te ed aderito generosamente alla tua volontà.

Signore, accordami la grazia che ti chiedo (…....), se questa è la tua volontà, per l’intercessione dei Santi coniugi Luigi e Zelia Martin, autentico modello per le famiglie cristiane del nostro tempo. Amen 


Il 18 ottobre, durante l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2015 sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, Papa Francesco canonizzerà i coniugi Louis Martin (22 agosto 1823-29 luglio 1894) e Zélie Guérin (23 dicembre 1831- 28 agosto 1877). Quale modello viene quindi offerto oggi agli sposi? Santi genitori, che vissero cattolicamente, ovvero, ogni loro pensiero ed ogni loro azione erano sempre posti, per loro stessa volontà, sotto lo sguardo di Dio. Santa Teresina di Lisieux nacque e crebbe in questa famiglia. 
Le persone interagiscono continuamente con l’ambiente che le circonda: si nasce, si cresce, ci si forma in base agli stimoli che si ricevono da coloro con cui si coabita. Lo spiega bene la Psicologia dell’età evolutiva: Jean Piaget, nell’Introduzione all’epistemologia genetica del 1951, analizza l’evoluzione dell’infante in stretto rapporto con l’ambiente che lo circonda, evidenziando come avvenga un processo diviso in «assimilazione» (il bambino incorpora nelle sue strutture mentali le informazioni del mondo esterno) e in «accomodamento» (il bambino rinnova gli schemi conoscitivi preesistenti attraverso la rielaborazione del materiale acquisito). 
Nel bambino è inscritta una legge affettiva: avere una madre (femmina) ed un padre (maschio), non esistono alternative, neppure nel mondo contemporaneo, perché ci sono realtà che non sono legate al tempo in cui si vive, ma all’essenza dell’esistere. Da sempre, ancor prima che nascesse la scienza della Psicologia, si è coscienti di un fatto ineludibile: ciò che avviene nei primi sei anni di vita non si cancella più. Persino l’illuminista Rousseau come prima frase dell’ Émile o dell’educazione (1762) scrive: «Ogni cosa è buona lasciata nelle mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo». 
Di fronte alle degenerazioni odierne, che cosa scriverebbe il pensatore svizzero di lingua francese che influenzò le linee dell’ideologia egualitaria, quella che fu alla base della Rivoluzione francese del 1789 e segnerà profondamente tutta la riflessione politica, sociologica, morale, psicologica e pedagogica successiva (alcuni elementi della sua visione etica saranno ripresi, in particolare, da Kant)? E qualcuno, nella Chiesa, propone la Santa Comunione ai risposati divorziati? Profanazione di Nostro Signore; peccato contro la propria anima; scandalo per gli altri; diseducazione infantile e giovanile. 
«Il Buon Dio mi ha dato un padre e una madre più degni del Cielo che della terra», scriveva santa Teresina in una lettera del 26 luglio 1897. Louis Martin e Zélie Guérin (beatificati il 19 ottobre 2008 a Lisieux) sono stati genitori secondo il Cuore di Dio: la loro testimonianza, oggi più che mai, diventa essenziale per rieducare una civiltà occidentale che ha smarrito principi, valori, risposte razionalmente e religiosamente corrette. 
Ambedue avrebbero desiderato consacrarsi al Signore, apprendiamo dalla bella ed attendibile biografia Storia di una famiglia. Una scuola di santità di Padre Stefano Giuseppe Piat O.F.M. (Edizioni OCD-Roma 1994), ma un giorno Zélie, passando sul ponte Saint Leonard di Alençon, incrociò un giovane uomo la cui nobile fisionomia, l’andatura riservata, l’atteggiamento pieno di dignità, la impressionarono. Nello stesso tempo, una voce interiore le mormorò in segreto: «È quest’uomo che ho preparato per te». A mezzanotte del 13 luglio 1858 si sposarono nella chiesa di Notre Dame in Alençon. A motivo della loro profonda religiosità e dell’amore per Dio, decisero insieme di non consumare il matrimonio. Tuttavia, con l’aiuto di un padre spirituale, i due sposi maturarono un diverso atteggiamento: la verginità venne integrata in un giusto orientamento del sacramento del matrimonio, che ha per suo specifico fine la procreazione. Nasceranno nove figli. Scriverà Zélie nella lettera del 4 marzo 1877: «[…] quando abbiamo avuto i nostri figlioli, le nostre idee sono un po’ cambiate: non vivevamo più che per loro, questi erano la nostra felicità e non l’abbiamo mai trovata se non in loro. Insomma, tutto ci riusciva facilissimo, il mondo non ci era di peso». Dio, nel focolare dei Martin, sarà sempre «il primo servito». Il carteggio di Zélie è una vera e propria cronaca familiare, dove si evince che la Santa Messa e la preghiera erano la fonte della loro esistenza. Zélie era una mamma tenerissima; scrisse nella lettera datata 4 aprile 1868: «è un lavoro così dolce occuparsi dei propri bambini!», così i figli sentivano che erano stati desiderati e che i genitori vivevano per loro: far piacere a Cristo e far piacere ai genitori divenne per essi un tutt’uno. 
Tratto caratteristico della grande fede dei Martin era il pieno abbandono alla Divina Provvidenza, ecco che, nonostante lo straziante dolore per la perdita di ben quattro figli, essi non caddero nella disperazione. In un tempo in cui l’aborto volontario (omicidio volontario) è diventato ordinaria consuetudine, le parole di Zélie percuotono le coscienze; scriveva, infatti, ad una cognata reduce da un aborto spontaneo: «Che il buon Dio vi accordi la rassegnazione alla sua santa volontà. Il vostro caro piccolo bambino è presso di Lui; vi vede, vi ama, e voi lo ritroverete un giorno. È una grande consolazione che io ho provato e che provo ancora. 
Quando ho chiuso gli occhi ai miei cari piccoli bambini e li ho seppelliti, ho provato un grande dolore, a cui mi sono tuttavia rassegnata. […] Molti mi dicevano: “Sarebbe stato meglio non averli mai avuti”. Non potevo sopportare questo linguaggio. Non trovavo affatto che le pene e le preoccupazioni potessero essere messi sulla bilancia con la felicità eterna dei miei figli. Inoltre, essi non erano perduti per sempre, la vita è corta e piena di miserie, li si troverà lassù» (17 ottobre 1871). 
Louis fu per Zélie un eccezionale sostegno. «Cara Amica – le scriveva l’8 ottobre 1863, in occasione di un viaggio d’affari a Parigi – non potrò arrivare ad Alençon che lunedì; il tempo mi sembra lungo e non vedo l’ora di essere vicino a te». Era sempre attento a non vederla troppo affaticata e le raccomandava la calma e la moderazione nel lavoro. Quando rimase vedovo a 54 anni, dopo 19 di matrimonio, si consacrò interamente alla felicità delle figlie, felicità per l’eternità, non per l’effimero inglobato nell’attimo fuggente. 
Confessione frequente, adorazioni notturne, attività parrocchiali, esami di coscienza sulle ginocchia della mamma e il catechismo imparato in braccio al papà fecero sì che le figlie si ponessero al servizio della Chiesa. Louis morirà a 71 anni dopo un umiliante declino, causato dall’arteriosclerosi e da una progressiva paralisi, avendo prima, comunque, la gioia di donare tutte le cinque figlie al Signore: quattro nel Carmelo di Lisieux e una fra le Visitandine di Caen. 
Louis pretendeva l’ordine e la pulizia in tutto e si mostrava dispiaciuto quando, per distrazione o negligenza, si sprecava, si perdevano le cose, si deteriorava qualcosa… Testimonierà la figlia, suor Geneviève: «Noi non avevamo che una domestica, ma era lui che faceva il lavoro grosso». Giocava con le figlie, le portava in pellegrinaggio, in vacanza e organizzava viaggi insieme a loro… ma al primo posto c’era sempre la Trinità, con i suoi diritti: le ragazze Martin vissero in una famiglia dove era stata innalzata la vittoriosa Croce di Cristo. Se la Chiesa di Roma, oggi, propone i coniugi Martin come modello genitoriale e familiare, è necessaria una coerenza di base: se essi sono esempio-insegnamento di vita, sono esempio-insegnamento anche e soprattutto di dottrina, che, dunque, non può essere mutata. 

Autrice: Cristina Siccardi (Testo tratto da Santi e Beati.it) 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano 

venerdì 16 ottobre 2015

IL CAMMINO DI FEDE DI SAN GIUSEPPE DEL SERVO DI DIO FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO CARMELITANO SCALZO - QUARTA ED ULTIMA PARTE.




IL CAMMINO DI FEDE DI 

SAN GIUSEPPE 

DEL SERVO DI DIO 

FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO 

CARMELITANO SCALZO 




Dal Vangelo secondo Luca (2,15-19) 
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, 
i pastori dicevano fra loro: 
«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che 
il Signore ci ha fatto conoscere». 
Andarono dunque senz'indugio e trovarono 
Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 
E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato 
detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono 
delle cose che i pastori dicevano. 
Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose 
meditandole nel suo cuore. 


Se guardiamo a San Giuseppe come modello esemplare della nostra vita di preghiera, vediamo di aver molto da imparare dalla sua devozione a Gesù e a Maria. 

Da lui possiamo imparare prima di tutto ad onorare la Madonna, perché nessuno l’ha onorata, venerata e amata come lui. Egli è stato veramente un grande devoto di Maria, nel senso più forte della parola. Ha visto in lei la creatura tutta santa, tutta sacra a Dio e la ragione della sua fedeltà e del suo affetto era proprio l’elezione di cui questa creatura era stata oggetto da parte di Dio.

Le è rimasto accanto fin quando essa ha avuto bisogno di lui e della sua presenza e il suo andarsene è stato un estremo atto di devozione e di amore: come aveva preparato la dimora terrena per Gesù e per Maria, così eccolo andarsene per primo, quasi per preparare loro la dimora eterna. 

Quando Gesù è tornato al Padre, certamente la prima creatura umana che gli è andata incontro è stata San Giuseppe. Giuseppe ci insegna poi la devozione e il servizio al Signore e alla Madonna. Abbiamo tanto bisogno di tradurre la nostra devozione in servizio, in un’operosità dove, invece di cercare il nostro tornaconto, cerchiamo solo il compimento dei disegni di Dio e la sua gloria. 

Facendo così, diventiamo i collaboratori del Signore, diventiamo veri strumenti nelle mani di Dio per l’avvento del suo Regno. 

Da San Giuseppe impareremo anche ad onorare la Madonna proprio nelle cose che essa preferisce. Prima di tutto il servizio di Gesù benedetto e poi quel silenzio, quel rispetto, quel nascondimento con cui essa stessa ha accolto il mistero del Figlio di Dio e col quale è stata custodita dal suo sposo Giuseppe.

Quando egli ha saputo le meraviglie che Dio operava nella sua vergine sposa, non le ha rivelate a nessuno, non è andato a pavoneggiarsi con le sue grandezze. Ha custodito tutto nel segreto del cuore, come Maria che conservava dentro di sé il mistero del Figlio suo. 

Dobbiamo intendere così la nostra vita, se vogliamo che il mistero di Gesù, di Maria e di Giuseppe diventi la nostra ricchezza, quel piccolo paradiso terrestre dove noi, giorno per giorno, custodiamo la beata speranza della gloria. 

Mettiamoci per questa strada, proprio con il desiderio di entrare nell’intimo del mistero di Nazareth, mistero che è anticipazione del Paradiso. 

FONTE: Card. Anastasio Ballestrero OCD, Il Cammino di Fede di San Giuseppe, Ed. OCD, 1993.

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Cari amici, termino così la pubblicazione di alcune pagine del bel testo su San Giuseppe scritto dal Servo di Dio Padre Anastasio del Santissimo Rosario. Quanti desiderano approfondire la lettura di questa preziosa e utile opera spirituale, troveranno il libro nelle librerie cattoliche o presso le edizioni dei Carmelitani Scalzi. 

Ho voluto rendere omaggio devotissimo al grande Cardinale Anastasio Ballestrero di cui è iniziata la causa di beatificazione. Il Carmelo Teresiano continua a donarci dei maestri spirituali per il nostro cammino di fede. Vi ricordo che Sua Santità Papa Francesco, il 18 ottobre canonizzerà i genitori di Santa Teresa di Lisieux: Luigi e Zelia Martin! Nel mio Blog ho già dedicato alcune pagine alla vita della sorella maggiore di Santa Teresina, Paolina (Madre Agnese di Gesù). Il mio auspicio, se è volontà di Dio, è quello di poter vedere beate le sorelle Martin, sorelle di Teresa di Lisieux: una famiglia di santi da proporre come modelli di virtù cristiane a tutti i credenti della Santa Chiesa di Dio.

Scriveva il monaco Trappista americano Thomas Merton che tutta la Chiesa è debitrice al Carmelo Teresiano! 

Un saluto a tutti voi e Pace e Bene! 
Francesco di Santa Maria di Gesù, Terziario Cappuccino.

mercoledì 14 ottobre 2015

15 OTTOBRE SANTA TERESA DI GESU' DOTTORE DELLA CHIESA RIFORMATRICE DELL'ORDINE DEL CARMELO FIGLIA DELLA CHIESA.



 15 ottobre 

SANTA TERESA DI GESU’ 

DOTTORE DELLA CHIESA 

 Riformatrice dell’Ordine del Carmelo 

 Figlia della Chiesa 


L'orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimento, da solo a solo, 
con Colui da cui sappiamo d'essere amati. 
(S. Teresa d'Avila) ... 

la porta per cui mi vennero tante grazie fu soltanto l'orazione. 
Se Dio vuole entrare in un'anima per prendervi le sue delizie 
e ricolmarla di beni, 
non ha altra via che questa, perché Egli la vuole sola, 
pura e desiderosa di riceverlo. 
(S. Teresa d'Avila) 

Chiedetegli aiuto nel bisogno, sfogatevi con Lui e non lo dimenticate 
quando siete nella gioia, parlandogli non con formule complicate ma con spontaneità e secondo il bisogno. 
(S. Teresa d'Avila)
 
Quelli che sanno rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, 
ove abita Colui che la creò e che creò pure tutto il mondo, 
e si abituano a togliere lo sguardo e a fuggire 
da quanto distrae i loro sensi, vanno per buona strada
e non mancheranno di arrivare all'acqua della fonte. 
(S. Teresa d'Avila) 

Per cominciare a raccogliersi e perseverare nel raccoglimento, 
si deve agire non a forza di braccia ma con dolcezza. 
Quando il raccoglimento è sincero, l'anima sembra 
che d'improvviso s'innalzi sopra tutto e se ne vada, 
simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico, 
si rifugia in una fortezza. 
(S. Teresa d'Avila) 

 Dobbiamo ritirarci in noi stessi, anche in mezzo al nostro lavoro, e ricordarci 
di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, 
dell'Ospite che abbiamo in noi, persuadendoci 
che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. 
(S. Teresa d'Avila) 

 La preghiera non è qualcosa di statico, è un'amicizia che implica uno sviluppo e spinge a una trasformazione, 
a una somiglianza sempre più forte con l'amico. 
(S. Teresa d'Avila)


 RICORDIAMOCI SEMPRE DELL’AMORE DI CRISTO 
Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, Vergine 
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6-7, 14) 
Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; 
Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. 
Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. E' da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. 
Egli ci istruirà. Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l'aveva ben fisso nel cuore. 
Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi 
molto contemplativi, 
come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, 
Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. 
Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci 
nelle mani di Dio. 
Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia. Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell'accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci 
in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: 
amore infatti domanda amore. 
Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica. 
Súbdita tibi família, Dómine Deus noster, quam cælésti pane satiásti, fac ut, exémplo beátæ Terésiæ, misericórdias tuas in ætérnum cantáre lætétur. 

Cari amici, un augurio speciale di buona festa a tutto 
l’Ordine del Carmelo Teresiano e al Terz’Ordine Teresiano in modo particolare. E’ un giorno di grazia la memoria liturgica della Santa Madre Teresa di Gesù e ricordo come San Pio da Pietrelcina consigliava alle sue figlie spirituali la lettura e la meditazione delle Opere di Santa Teresa d’Avila! 
Pace e Bene! 

Francesco di Santa Maria di Gesù, Terziario Cappuccino.

martedì 13 ottobre 2015

IL CAMMINO DI FEDE DI SAN GIUSEPPE DEL SERVO DI DIO FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO CARMELITANO SCALZO - PARTE TERZA.



IL CAMMINO DI FEDE 
DI SAN GIUSEPPE 
DEL SERVO DI DIO 
FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO 
CARMELITANO SCALZO 




Dal Vangelo secondo Luca 

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando 
Quirinio era governatore della Siria. 
Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, 
salì in Giudea alla città di Davide 
chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 
Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 
 Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei 
i giorni del parto. 
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, 
vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 
Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore
li avvolse di luce. 
Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: 
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, 
che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, 
è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 
Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, 
 adagiato in una mangiatoia». 
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, 
che lodava Dio e diceva: 
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli 
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». 


Abbiamo contemplato la docilità di Giuseppe di fronte agli interventi misteriosi di Dio. Gli vengono dette cose impossibili, paradossali, e << Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’Angelo >> (Mt 1,24). 
L’insegnamento vale anche per noi: nella nostra esistenza dobbiamo vivere di fede. Ma il grande ostacolo a credere è la superbia del nostro spirito, che si manifesta sia a livello delle nostre idee, sia a livello dei nostri capricci. 
Avremmo ormai dovuto imparare – specie oggi che ascoltiamo tanta parola di Dio – che Dio è buono, che è Padre, ma che non rinuncia ad essere il Signore. 
 << Io sono il Signore >>: l’ha detto e lo dice ancora, anche a noi. Per credere, bisogna lasciarsi condurre, chinare il capo, non si può discutere con Dio. 
Bisogna essere docili, umili e accettare che il Signore sia più grande di noi, ci trascenda, sia al di là delle nostre viste, al di sopra della nostra volontà e dei nostri desideri. 
Questo impegno di conversione alla docilità è impegno di ogni giorno e quando la fede è viva è sempre pronta a lasciare il posto a Dio, a lasciare che il Signore sia il Signore della nostra vita. San Giuseppe è un mirabile esempio per la nostra fede: la sua vita è stata veramente travolta dalle iniziative di Dio, iniziative misteriose, iniziative al di là della possibilità di capire. Giuseppe si è lasciato condurre perché era giusto e << giusto >> è l’uomo che vive di fede. 
Dove lo porta il Signore? Non lo sa, Dio non glielo dice, non gli spiega niente e lui obbedisce lo stesso. Ha sempre detto di sì con la vita, non con le parole. 
Non ha mai avuto questioni da sollevare, dubbi da proporre. E in questo è stato, potremmo dire, più silenzioso della Madonna. 
Lei qualche parola l’ha detta, lui no. 
La sua risposta al dono di Dio è la sua stessa vita, sono le sue opere, il suo consenso. E la sua obbedienza immediata è il suo modo concreto di credere. 
Questo atteggiamento di fede semplice, silenziosa e obbediente non soltanto ha reso Giuseppe cooperatore preziosissimo nel mistero dell’Incarnazione, ma gli ha anche donato la serenità e la pace del cuore. 
San Giuseppe è un pacifico e un pacificatore, avvolge la vita di tutti con una presenza rasserenante e consolatrice. 
Mentre lo contempliamo, così invitante per la nostra pietà, impariamo da lui affinché la nostra fede diventi semplice e obbediente come la sua, così da poter essere anche noi delle creature serene e pacifiche, balsamo di consolazione nella vita degli altri. 

FONTE: Card. Anastasio Ballestrero OCD, Il Cammino di Fede di San Giuseppe, Ed.OCD, 1993. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

lunedì 12 ottobre 2015

IL CAMMINO DI FEDE DI SAN GIUSEPPE DEL SERVO DI DIO FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO CARMELITANO SCALZO - PARTE SECONDA.



IL CAMMINO DI FEDE DI SAN GIUSEPPE 
 DEL SERVO DI DIO 
FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO 
 CARMELITANO SCALZO 





Dal Vangelo secondo San Matteo 
(Mt 1,16.18-21.24) 
 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, 
chiamato Cristo. 

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, 
essendo promessa sposa di Giuseppe, 
prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta 
per opera dello Spirito Santo. 
Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, 
pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, 
ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: 
«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere 
con te Maria, tua sposa. 
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 
ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: 
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. 

Guardiamo come questo santo Patriarca, l’ultimo del Vecchio Testamento e il primo del Nuovo, ha interpretato la sua vita.

La vita è quella che è e gli uomini la interpretano attraverso la varietà delle ideologie e hanno tutti da proporre un loro vangelo. Noi abbiamo un solo Vangelo, quello di nostro Signore Gesù Cristo, che è venuto dal Padre per portarci al Padre. Ma bisogna che ci lasciamo portare, bisogna che viviamo continuamente l’esperienza dell’esodo, dimenticando le cose terrene per andare verso Dio. 

San Giuseppe si è lasciato travolgere dal Signore e condurre per strade misteriose. Ha rinunciato a capire e ha accettato di credere; ha rinunziato a possedere e ha accettato di essere posseduto; ha rinunziato a comandare e ha accettato di obbedire.

Una creatura che potremmo definire << senza pretese >>.

Eppure, credendo, si è lasciato condurre dal Signore e questi lo ha introdotto in un mondo particolarmente intimo nel mistero 
dell’Incarnazione e della salvezza. 

Lasciandosi portare dal Signore, San Giuseppe è diventato il contemplativo dell’Incarnazione del Cristo. L’ha contemplata nella verginità meravigliosa, incorrotta e feconda della sua Sposa; ha visto fiorire da questo roveto ardente il frutto benedetto dello Spirito, Gesù Salvatore, e così è stato vicino, anzi bene addentro al mistero del Dio fatto uomo. 

In questo mistero si è lasciato coinvolgere ciecamente. E in effetti, che altro poteva fare? Si è fidato,, con una libertà interiore ammirabile, con una umiltà felice e stupenda, che non ha mai avuto pretese. In questa disposizione interiore, si potrebbe dire che non ha mai dovuto fare distacchi, poiché non aveva attacchi da rimuovere. 

Lo stesso mistero dell’Incarnazione, possiamo dire che non lo ha voluto: vi è stato coinvolto, ma per gli altri. Lui è stato come un’ombra che, finché è stata utile, è rimasta lì a temperare il mistero sovrumano; poi se ne è andato nelle braccia di Dio. 

Un bell’itinerario che non si può raccontare, perché è inesprimibile, ma del quale si percepisce la ricchezza veramente consolante per la nostra vita. 

FONTE: Card. Anastasio Ballestrero, OCD, 
Il Cammino di Fede di San Giuseppe, Ed. OCD, 1993. 


LAUS  DEO

 Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano 

sabato 10 ottobre 2015

IL CAMMINO DI FEDE DI SAN GIUSEPPE DEL SERVO DI DIO FRA ANASTASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO CARMELITANO SCALZO - PARTE PRIMA.



Il Cammino di Fede di San Giuseppe 
del Servo di Dio 
Fra Anastasio del Santissimo Rosario 
Carmelitano Scalzo 



Vangelo secondo Luca 1,26-38. 
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città 
della Galilea, chiamata Nazareth, 
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, 
chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, 
il Signore è con te». 
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia 
presso Dio. 
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno 
non avrà fine». 
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? 
Non conosco uomo». 
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, 
su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. 
Colui che nascerà sarà dunque santo 
e chiamato Figlio di Dio. 
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, 
ha concepito 
un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 
nulla è impossibile a Dio». 
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, 
avvenga di me quello che hai detto». 

E l'angelo partì da lei. La parola di Dio ci aiuta a vedere San Giuseppe inserito nell’unico disegno di salvezza, con il quale Dio benedetto, attraverso il suo Figlio Gesù Cristo, nato da Maria, usa misericordia agli uomini peccatori e li riconduce alla sua amicizia.

San Giuseppe in questo piano di Dio ha un suo posto, ossia una vocazione. Nessun uomo è al di fuori del disegno di Dio, siamo tutti dei chiamati da Dio. Dobbiamo essere persuasi di questa fondamentale verità per poter interpretare la nostra vita. Essere chiamati da Dio vuol dire appunto essere collocati da Lui nel disegno di salvezza per esserne ad un tempo beneficiari e collaboratori. Infatti non siamo soltanto dei salvati, ma siamo anche chiamati ad essere a nostra volta salvatori. 

Gli uomini si interrogano spesso sul senso della vita, ed è bene, perché nessuna domanda è più essenziale e fondamentale di questa. Non bisogna però dimenticare che l’uomo resta realtà indecifrabile quando lo si separa da Dio e lo si pensa fuori dal suo piano di salvezza. 

San Giuseppe è un esempio di come la creatura deve rispondere al piano di Dio nei suoi confronti. Dalla iniziativa di Dio egli si trova inserito in modo estremamente compromissivo nel mistero dell’Incarnazione del Verbo: è lo sposo di Maria, sarà il padre putativo di Gesù e porterà avanti l’Incarnazione come avvenimento 
storico, come fatto umano e societario. 

Sarà lui a presiedere la famiglia di Nazareth, a sostenerla con il suo lavoro, a difenderla e a proteggerla, senza fare la parte del protagonista, ma lasciando a Dio di esserlo. 

Noi, a volte, pecchiamo di intemperanza e ci facciamo quasi concorrenti di Dio, dimenticando che la dignità dell’uomo consiste 
proprio nell’essere creatura di Dio, di esserlo.

Giuseppe questo l’ha capito tanto bene, non attraverso tanti filosofici ragionamenti, ma perché ha compreso la cosa essenziale: che a Dio si dice sempre di sì, e si dice sì in umiltà e si dice sì in obbedienza. 

In questo modo si è realizzato anche come uomo e noi lo vediamo oggi ai vertici della storia umana della salvezza, con il suo sì pieno di fede e di abbandono. 

A questo Santo tributiamo onore e gloria, ma dobbiamo farlo cristianamente. I Santi sono onorati non tanto dalle parole e dalle devozioni, quanto dalla nostra configurazione spirituale. 

Da San Giuseppe dobbiamo imparare soprattutto a convertirci, cioè a diventare sempre più dei poveri di Dio, creature semplici, piccoli figli del Padre, con una certezza in cuore che si chiama fede, con una libertà dell’anima che è la speranza filiale. Quella fede e quella speranza che furono la sostanza più profonda dell’amore e del servizio del giusto Giuseppe. 

Fonte: Cardinale Anastasio Ballestrero, 
Il Cammino di Fede di San Giuseppe, Edizioni OCD, 1993.


LAUS DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano  

venerdì 9 ottobre 2015

IL SERVO DI DIO FRA ATANASIO DEL SANTISSIMO ROSARIO - CARMELITANO SCALZO - CARDINALE DI SANTA ROMANA CHIESA, PADRE ANASTASIO BALLESTRERO.

Pace e Bene! 
Cari amici, come vi ho già scritto, continua sul mio blog la presentazione di scritti o santi del Carmelo Teresiano in prossimità della memoria liturgica della santa Madre Teresa d’Avila. 
Dopo la breve biografia sul venerabile Fra Lorenzo della Resurrezione, vi presento oggi alcune meditazioni su San Giuseppe composte dal Servo di Dio il Cardinale Anastasio Ballestrero, Carmelitano Scalzo, il padre Ballestrero fu davvero un grande maestro spirituale e un autentico figlio di Santa Teresa di Gesù. 
Prima di pubblicare le preziose meditazioni su San Giuseppe, vi lascio alcune note biografiche sul Cardinale Ballestrero e per quanti lo desiderano possono approfondire la conoscenza del padre Anastasio, come anche sul venerabile Fra Lorenzo della Resurrezione, attraverso recenti e belle biografie reperibili nelle librerie cattoliche. 
Buona lettura. 
Francesco di Santa Maria di Gesù, Terziario Cappuccino. 




 Il Servo di Dio 
Fra Anastasio del Santissimo Rosario 
Carmelitano Scalzo 
Cardinale di Santa Romana Chiesa 

Padre Anastasio Ballestrero nacque a Genova il 3 ottobre 1913. Manifestò subito un temperamento vivace e capacità di cogliere gli aspetti positivi della vita. Papà Giacomo, lavorava come magazziniere nel porto di Genova, mentre la mamma Antonietta, donna dolcissima, accudiva i cinque figli nati tra il 1913 e il 1922, due dei quali morti dopo pochi mesi di vita. L’ultimo parto fu difficile e la mamma, non ancora trentenne, iniziò un calvario che si concluse con la sua morte nell’anno 1923. 
L’incontro con il cappellano del collegio “Bellimbau”: un prete “felice di essere prete”, che per primo gli parlò del Carmelo fu all’origine della sua vocazione… Dirà: “Il Signore mi ha preso presto, perché ero un bel tipo! Ho capito poco, ma ho capito che dovevo dirgli di si”. A partire da questa esperienza, fu assertore della necessità di scoprire e far sviluppare i germi di vocazione che spesso si trovano nei cuori dei ragazzi. 
Vestì l’abito dei Carmelitani Scalzi il 12 ottobre 1928 a Loano e prese il nome di Fra Anastasio del SS.mo Rosario. “Ero giovane, dirà, ricordando il tempo del noviziato, avevo 15 anni! Ma la certezza, la chiarezza, la felicità della mia vocazione l’ho avuta”. Visse il noviziato intensamente, si nutrì della spiritualità del Carmelo, lasciandosi trasformare dall’esperienza della presenza di Dio. Nel 1932 passò a Genova, dove proseguì gli studi. Il 6 giugno 1936 fu ordinato sacerdote, non aveva ancora 23 anni. 
La prima esperienza pastorale di P. Anastasio fu come cappellano, presso la clinica Bertani, a Genova. Fu un’esperienza vissuta tutta d’un fiato, fin dopo la guerra. Si dedicò con slancio e comprensione verso i sofferenti, lasciandosi amare per la sua generosità. Si narra che, in quegli otto anni di cappellania, nessuno morì senza sacramenti. Fu chiamato ad insegnare teologia presso lo studentato dei Carmelitani Scalzi, a Genova e, dopo qualche anno, ad assumere l’ufficio di maestro di formazione. In questo tempo, P. Anastasio continuò ad approfondire gli studi teologici. Dirà: “ho studiato, ho studiato molto”. In quegli anni, partecipò a Parigi ai lavori che si tenevano presso il circolo dei Maritain. Nel loro cenacolo parigino, il P. Anastasio ebbe modo di incontrare Bergson, Bernanos, Van der Meer, personaggi di grande statura umana e culturale. A Genova, invece, seguì le lezioni magistrali di Mons. Giacomo Moglia, figura di spicco e precursore delle riforme liturgiche del Vaticano II. Ricorderà quegli anni come un tempo di fermenti ed entusiasmi, con prospettive che avrebbero inciso sul suo pensiero, sulla sua vita. 
Il Signore gli concesse il dono della parola, come ebbe modo di dirgli personalmente Paolo VI. La sua parola era pacata, vibrante di fede, capace di allargare gli orizzonti del Mistero; penetrava nel più profondo centro dell’anima, non lasciava indifferenti, rincuorava. Il suo parlare era intriso di Parola rivelata, memoria dell’esperienza teologica ed ecclesiale di S. Teresa di Gesù e S. Giovanni della Croce. Dal 1948 al 1954, fu Provinciale dei Carmelitani Scalzi della Provincia di Genova. In questa esperienza la sua paternità si allargò ed il suo apostolato si estese. Nel Capitolo Generale dei Carmelitani Scalzi, celebrato a Roma nel 1955, a soli 42 anni, P. Anastasio fu eletto Preposito Generale. Venne rieletto, per un secondo sessennio, nel Capitolo del 1961. Il suo impegno, in questo nuovo ministero, fu quello di animare i Carmelitani Scalzi e le Carmelitane Scalze, a vivere con coerenza e gioia gli ideali dei Fondatori, con la testimonianza di vita, senso di equilibrio, concretezza, richiamando, con orgoglio, il compito e il ruolo del Carmelo Teresiano nella Chiesa e nel mondo. Partecipò, come Padre Conciliare, al Vaticano II, collaborando come perito, membro della Commissione teologica e dei diversi gruppi di studio; sostenne, con esortazioni e lettere, la riforma del Vaticano II nell’Ordine, a cominciare dalla riforma liturgica. Il 21 dicembre 1973, “L’Osservatore Romano” pubblicò la notizia che Paolo VI aveva elevato alla sede arcivescovile di Bari, il P. Anastasio Ballestrero. Gli costò molto lasciare l’attività e la vita dell’Ordine. Doveva iniziare un’altro capitolo della sua vita, ed aveva 60 anni. Non fu facile, ma P. Anastasio non era uomo da mezze misure. Coinvolse tutta la sua persona in questo percorso di “conversione vocazionale”. Venne consacrato vescovo il 2 febbraio 1974 nella Basilica di S. Teresa, a Roma. Da quel giorno tutta la sua azione pastorale fu un impegno perché il Concilio potesse diventare vita, come titola uno dei suoi libri. A Bari, Ballestrero incontrò una Chiesa diocesana che viveva un forte processo di transizione, di rinnovamento, di “comunione pastorale creativa”, come la definì Mons. Mincuzzi, Ausiliare di Bari al tempo di Mons. Nicodemo. 
Quale fu la novità metodologica e di azione pastorale di Ballestrero? Sicuramente va ricercata nel suo modo di intendere la corresponsabilità ministeriale. Intraprese il lavoro di pastore partendo dalla ricostituzione del Consiglio presbiterale (15.07.1974) e del Consiglio Pastorale Diocesano. Il modello adottato fu quello che aveva già sperimentato come Preposito Generale dell’Ordine: un Consiglio che svolgesse la funzione di organismo fondamentale per la riflessione e la programmazione dell’azione pastorale, con una funzione di raccordo tra l’intero presbiterio, riunito in modo assembleare, e gli altri organismi pastorali. La positività di questa scelta, che potremmo definire di ecclesiologia di comunione, favorì ulteriori esperienze ed iniziative di comunione e di corresponsabilità pastorale nella Chiesa di Bari. A questa opzione va collegata, sicuramente, quell’attitudine carmelitana del ministero episcopale di P. Anastasio. La spiritualità carmelitana caratterizzò, in modo determinante, la sua persona, il suo pensiero, la stessa azione pastorale. L’attitudine contemplativa, il fiducioso abbandono alla Signoria di Dio, il primato della Parola, lo zelo missionario, l’ascesi umanizzante, la capacità di saper ascoltare, valutare persone ed eventi in maniera sapienziale, abbracciando la realtà con sguardo teologale, curando i rapporti interpersonali. Qui si concentrò ed espresse la sua umanità, la sua spiritualità, il suo essere vescovo, teologo. A Bari, Mons. Ballestrero, rimase solo tre anni e mezzo. 
Infatti, quando cominciava a conoscere più in profondità quella realtà ecclesiale, Paolo VI lo volle arcivescovo nella Chiesa di Torino. Il 25 settembre 1977 fece ingresso nella sua nuova sede. Si mise subito all’opera con il suo stile, cercando di conoscere persone, ambienti, situazioni. 
Tutto osservando e valutando, passandolo al vaglio del discernimento orante. I suoi sacerdoti impararono a conoscere, un po’ alla volta, il suo cuore di padre. Con ciascuno di loro seppe usare tutte le sfumature dell’accoglienza, del dialogo, della comunicazione, della condivisione, dell’umorismo pur di conquistarli ad una serena e profonda comunicazione interpersonale. 
Nel 1979, fu nominato Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e, nel concistoro dello stesso anno, Giovanni Paolo II lo nominò cardinale. 
Gli anni della sua Presidenza CEI videro l’attentato al Papa, il referendum sull’aborto, il fenomeno della defezione sacerdotale e religiosa, il calo delle vocazioni, il nuovo Concordato tra S. Sede e Stato italiano, il faticoso iter per l’approvazione della seconda edizione del Messale Romano in lingua italiana, la revisione dei catechismi. Nel 1985, toccò a P. Anastasio Ballestrero promuovere il Convegno Ecclesiale di Loreto. 
Rimase alla guida della Chiesa di Torino fino al 1989. Il 19 marzo 1989 prese commiato dalla Chiesa torinese. Lasciò un clero unito e ben preparato pastoralmente, un laicato più partecipe della vita della Chiesa, grazie anche i Consigli pastorali zonali da lui promossi. I suoi 16 anni di servizio episcopale (1973-1989) furono senza sosta, quasi di corsa, aperti all’imprevedibilità di Dio, come lui amava ricordare: “Essere pastore significa vivere una vita non sistemata, non prevedibile, una vita abbandonata alle leggi della salvezza, alla logica della misericordia e alle sorprese della potenza di Dio. Farsi donatore instancabile di perdono, di verità, di amore, perché il gregge si componga nell’unità e nella fede e anche nella comunione cordiale degli spiriti, nella fraternità dei rapporti concreti”. Lasciata la Diocesi di Torino, Si stabilì a Bocca di Magra, presso il Monastero di S. Croce. Da questo angolo di cielo, seguì pregando, ascoltando, soffrendo e gioendo della vita della Chiesa e del suo Ordine. Gli ultimi anni furono una progressiva demolizione, da parte di Dio, di quel corpo che non aveva avuto regole e per il quale il P. Anastasio aveva riservato ben poco riguardo. La sua aspirazione fu tutta racchiusa nel voler restare nelle mani di Dio. “Alla sera della vita” volle assomigliare, anche in questo abbandono, al suo amato San Giovanni della Croce, di cui lui stesso disse: “Una creatura che ha veramente consumato la vita”. 
Il Card. Anastasio Ballestrero morì il 21 giugno 1998, a Bocca di Magra (SP), consapevole di aver raschiato il fondo della vita, di averla totalmente donata, di aver spinto al massimo l’acceleratore dell’esistenza, di averla consumata la sua vita, senza sciupare nulla. Ora il suo corpo riposa nell’Eremo del Deserto di Varazze (GE). Il ministero di Mons. Ballestrero sta tutto in questa passione ecclesiale, sacramento di una passione ulteriore: quella per l’amato Signore. Il suo è stato un servizio alla comunione ecclesiale, con una opzione tutta particolare alla vita dei “suoi” preti. Tutto in lui partiva da una profonda spiritualità, capace di approdare all’intimità con Dio e all’esperienza più semplice dell’amicizia, della convivialità, della cordialità. Sotto questo aspetto l’episcopato di Mons. Ballestrero è stato un momento di grande recezione del Vaticano II, un tempo di discernimento ed individuazione degli orientamenti pastorali fondamentali, una felice esperienza di comunione ecclesiale. 

Autore: P. Luigi Gaetani, ocd 


LAUS  DEO

Pax et Bonum 


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano

mercoledì 7 ottobre 2015

FRA LORENZO DELLA RESURREZIONE CARMELITANO SCALZO - VENERABILE.

Cari amici, Pace e Bene! 
Il Santo Padre Papa Francesco ha voluto dedicare un anno alla vita consacrata. La Chiesa tutta è infinitamente debitrice ai tanti religiosi/e, missionari/e, ai monaci e alle monache, ai contemplativi e agli eremiti: 
la vita consacrata è davvero un dono grande e lo è la Sequela del Signore che continua a far germogliare tanti buoni frutti di santità tra il Popolo di Dio. 
Mentre si avvicina la festa liturgica di Santa Teresa di Gesù (d’Avila), il prossimo 15 ottobre, ho pensato di presentarvi la vita di un frate Carmelitano Scalzo, degno figlio della santa Madre Teresa di Gesù, forse poco conosciuto nel nostro territorio italiano. Leggendo la vita di Fra Lorenzo della Risurrezione, ne sono rimasto profondamente edificato per la virtù dell’umiltà vissuta e testimoniata da Fra Lorenzo della Risurrezione. 
Egli fu un autentico contemplativo del Carmelo Teresiano, immerso con tutto il suo cuore nel carisma del suo Ordine: 
fu un amico di Dio e un amico fedele del Signore. 
Possa la testimonianza di vita di Fra Lorenzo della Risurrezione, illuminare i passi di ciascuno di noi e rammentarci quanto preziosa e bella è la via dell’umiltà, la quale, se praticata e vissuta con sincerità, ci immette nel Cuore misericordioso del Signore e ci dona la vera pace interiore e la libertà di figlioli di Dio. 
Buona lettura. 
Francesco di Santa Maria di Gesù, Terziario Cappuccino. 




FRA LORENZO DELLA RESURREZIONE (1614-1691) 
Venerabile 
Quarto centenario della sua nascita 


In occasione del Capitolo Generale tenutosi ad Avila nel 2009, i frati Carmelitani Scalzi chiesero che nell’anno 2014 e sulla soglia del quinto centenario della nascita della nostra Madre Teresa di Gesù, noi commemorassimo il quarto centenario della nascita di uno dei suoi figli spirituali, nato nel 1614. Un umile frate carmelitano non-sacerdote, umile ma amatissimo da molti cristiani nel mondo intero e persino dai non-cristiani: fra Lorenzo della Resurrezione. I suoi scritti semplici ma pertinenti e luminosi, sono stati tradotti e rieditati fino ad oggi in molte lingue. 
Nel 1991, in occasione del terzo centenario della sua morte, il nostro P. Camilo Maccise, allora Preposito Generale, scrisse una lettera di grande valore sulla spiritualità e la missione di fra Lorenzo (cf. Acta OCD, 1991-1992, pp. 451-458). Anch’io vorrei parlarvi brevemente di questo figlio del Carmelo a partire dalle due grandi tappe della sua vita, entrambe significative. Dapprima, il “giovane laico” Nicolas Herman – tale era il suo nome civile – quindi “il fratello laico OCD” Lorenzo della Resurrezione.

I. NICOLAS HERMAN, GIOVANE LAICO 
Già dal punto di vista semplicemente umano e cristiano, questo primo periodo della sua vita è stimolante per noi che camminiamo alla luce di Cristo e del Carmelo, sia nella vita laicale, sia come religiosi o religiose. 
Nel 1614 – in data sconosciuta – Nicolas viene battezzato nell’umile chiesa del piccolo villaggio di Hériménil nella Lorena, attualmente regione francese ma all’epoca Granducato indipendente. Non sappiamo quasi nulla della sua famiglia e della sua educazione in quest’ambiente rurale. Ma un avvenimento lo segna per tutta la vita. A diciotto anni, durante l’inverno, contemplando un albero spoglio e pensando al risveglio cosmico che riaccade nella natura ad ogni primavera, Nicolas è afferrato da un’intuizione profonda della Presenza e della Provvidenza divina, fonte di Vita che non cessa mai di manifestarsi. La sua intelligenza è invasa da una luce completamente nuova, da una fede ridestata. Dio si fa vicino, presente in tutte le cose. Quest’esperienza del Dio vivente s’imprimerà profondamente nella sua anima. 
Ma la vita è dura nella Lorena di quel tempo, coinvolta nella terribile “guerra dei Trent’Anni” così distruttiva, omicida, immorale. Nicolas è arruolato nell’esercito del Granduca. In questo periodo tormentato, la sua anima perderà la bella visione dei suoi diciotto anni; più tardi si lamenterà dei peccati commessi (ma non sappiamo esattamente a che cosa si riferisca). Più volte si trova a faccia a faccia con la morte. Nel 1635 è gravemente ferito durante l’assedio della città di Rambervillers, che il Granduca di Lorena cerca di riconquistare. Nicolas è ricondotto al suo villaggio natale. E mentre il suo corpo si ristabilisce, pian piano guarisce anche la sua anima. 
Qualche tempo dopo, entra in contatto con un gentiluomo eremita e decide di condividere la sua vita solitaria. Ma non è la sua strada. Intuisce certamente il valore di Dio, ma la fonte della preghiera non fluisce così come se l’immaginava. Emigra a Parigi, dove lo ritroviamo a servizio di un notabile. Ma nemmeno questo è il posto dove Dio lo vuole. 
Soffermiamoci ancora un attimo presso Nicolas giovane laico. In circostanze dure ha imparato a “conoscere la vita” e a “conoscere il mondo”. Nel “combattimento per la vita”, ha vissuto lo sconvolgimento di una lunga e terribile guerra, l’irritazione e lo sgomento di tante situazioni angosciose, l’esperienza della povertà e della carestia. Ha scoperto anche la debolezza della propria natura umana, dei suoi “peccati” di cui conserverà per tutta la vita l’umile consapevolezza, come l’aveva fatto prima di lui la sua madre spirituale, santa Teresa di Gesù. 
Ma l’amore vincerà. Nicolas non meriterà il biasimo dell’Angelo dell’Apocalisse: “Ho da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore” (Ap 2,4). Soldato, ferito, emigrante, operaio, il giovane laico ritrova la fiamma della luminosa divina Presenza dei suoi diciott’anni. Nel cuore del mondo e in piena lotta, lentamente si sviluppa in lui quest’anima cristiana e carmelitana che si apre senza limiti a Dio, alla sua grazia, ai suoi desideri concreti. 
Nicolas resta un esempio di risveglio spirituale, di lenta resurrezione: egli è per noi tutti un silenzioso appello, un dolce invito. 

II. FRA LORENZO DELLA RESURREZIONE 
A Parigi, Nicolas Herman entra in relazione col convento San Giuseppe dei Carmelitani Scalzi in rue de Vaugirard, una grande e fervente comunità. Nel giugno 1640, all’età di 26 anni, vi entra come “fratello converso” (“frater donatus”, dicono le Costituzioni) e due mesi dopo riceve l’abito (che a quel tempo era abbastanza diverso da quello dei frati chierici, poiché non aveva cappuccio né mantello bianco; i frati conversi occupavano allora gli ultimi posti in refettorio e in coro). D’ora innanzi porterà il nome di “fra Lorenzo della Resurrezione”. 
Dopo due mesi di postulandato e due anni di noviziato, il 14 agosto 1642 – vigilia della festa dell’Assunzione della Santa Vergine – Lorenzo (che ha ormai 28 anni) pronuncia i suoi voti perpetui come “frate converso”. Le Costituzioni dell’Ordine dichiaravano che questi frati “non chierici” devono essere “devoti, semplici, fedeli e dediti al lavoro, poiché sono chiamati al lavoro”; non hanno voce nel capitolo conventuale, non partecipano alla recita dell’Ufficio corale e quando non possono presenziare all’orazione mentale a motivo dei loro impegni domestici, devono pregare in altri momenti stabiliti dal Superiore, spesso la sera o durante la notte (cfr. Const. – ed. 1631, parte II, cap. 4). 
Su di loro ricade perciò molto lavoro manuale; ritroveremo fra Lorenzo come cuoco della grande comunità, poi come ciabattino, spesso come aiutante in chiesa (per esempio per servire le numerose Messe dei fratelli sacerdoti, dato che a quel tempo non esisteva la concelebrazione) ma anche per via, per le commissioni necessarie e talvolta per la questua, nonché in viaggio fino in Borgogna e nell’Auvergne a far provviste. 

Un inizio difficile, poi la grande gioia 
Ecco dunque Nicolas Herman catapultato in un nuovo ambiente: un cambiamento incisivo come quelli che ognuno di noi può sperimentare nella propria esistenza, sia secolare che religiosa: un trasloco, un nuovo impiego, una nuova situazione di lavoro, di abitazione, d’inserimento nella vita comunitaria, familiare, sociale… Entrando in una nuova vita con nuove sfide, nuovi compagni e nuovi doveri, fra Lorenzo non si tuffa alla cieca. Sa che il Dio della grazia lo attende e lui vuole realmente donarsi a Dio senz’alcun limite. A una religiosa che conosce bene, egli scrive (parlando alla terza persona): “Voi saprete che la sua cura principale, in più di quarant’anni dacché si trova nella vita religiosa, è stata quella di essere sempre con Dio, di non fare nulla, di non dire nulla e di non pensare nulla che possa dispiacergli, senz’altro scopo che quello del suo puro amore”. 
Ma a un religioso sacerdote, probabilmente il suo confessore (“pienamente istruito” sulle sue “grandi miserie” come anche sulle “grandi grazie” di cui Dio favorisce la sua anima) – in ogni caso un consigliere spirituale –, egli ricorda un altro aspetto: 
Quando entrai in religione presi la risoluzione di darmi tutto a Dio in riparazione dei miei peccati e di rinunciare per amor suo a tutto ciò che non era Lui. Durante i primi anni, nelle mie preghiere mi dedicavo ordinariamente ai pensieri sulla morte, sul giudizio, sull’inferno, sul paradiso e sui miei peccati. Ho continuato in questo modo per qualche anno, applicandomi con cura durante il resto del giorno e anche durante il mio lavoro alla presenza di Dio, che consideravo sempre presso di me, spesso anche nel fondo del mio cuore. Ciò mi diede una così alta stima di Dio, che su questo punto solo la fede poteva soddisfarmi. Feci insensibilmente la stessa cosa durante le mie preghiere, e questo mi procurava grandi dolcezze e grandi consolazioni. Ecco da dove ho iniziato. 
Ma ecco il rovescio, doloroso, della sua esperienza spirituale : 
Le dirò tuttavia che durante i primi dieci anni ho sofferto molto. La causa di tutti i miei mali erano l’inquietudine che avevo di non appartenere a Dio come l’avrei desiderato, i miei peccati passati sempre presenti ai miei occhi e le grandi grazie che Dio mi concedeva. Durante tutto questo tempo cadevo spesso ma mi rialzavo subito. Mi sembrava che le creature e Dio stesso fossero contro di me e che soltanto la fede fosse a mio favore. Ero talvolta turbato dal pensiero che ciò era solo un effetto della mia presunzione, che pretendevo di essere subito là dove gli altri non arrivano che a prezzo di fatica; altre volte pensavo che ero bell’e dannato, che non c’era alcuna salvezza per me. Quando ormai ero rassegnato a terminare i miei giorni in tali turbamenti e inquietudini – che non hanno affatto diminuito la fiducia che avevo nel mio Dio e che non sono serviti che ad aumentare la mia fede –, mi ritrovai improvvisamente cambiato e la mia anima, che fino ad allora era stata sempre turbata, si sentì in una profonda pace interiore, come nel suo centro e in un luogo di riposo. 
Da questa lettera si può facilmente dedurre che fra Lorenzo – che si trova “in religione da oltre quarant’anni” – ha attraversato un’intensa notte dell’anima durante i “primi dieci anni” della sua vita religiosa, e che in seguito “vi sono trent’anni” di “grandi gioie interiori”, come dice lui stesso nella lettera alla religiosa che abbiamo già citato, nella quale c’informa maggiormente sulla sua “pratica” costante della Presenza di Dio e sugli effetti positivi che ne trae: 
Attualmente si è così abituato a questa divina presenza, che ne riceve continui soccorsi in ogni occasione. Sono circa trent’anni che la sua anima gode di gioie interiori così continue e così grandi, da poterle moderare a mala pena. Se talvolta si assenta un po’ troppo da questa divina presenza, Dio si fa subito sentire nella sua anima per richiamarlo; ciò gli accade spesso quando è più impegnato nelle sue occupazioni esteriori. Risponde con grande fedeltà a queste attrattive interiori: con un’elevazione verso Dio o con uno sguardo dolce e amoroso, oppure con qualche parola che l’amore produce in questi incontri. […] L’esperienza di queste cose lo rende così certo che Dio è sempre nel fondo della sua anima, che non può concepirne alcun dubbio, qualunque cosa faccia e gli accada. 

Lo spirito del Carmelo 
Sottolineiamo il fatto che, entrando al Carmelo, fra Lorenzo ha trovato una comunità fervente nella quale lo spirito della Riforma teresiana era ben vivo. Proprio a Parigi i confratelli di Lorenzo hanno tradotto le opere della santa madre Teresa e di Giovanni della Croce. Nel corso di prediche e conferenze, oppure nei consigli dei suoi superiori e confessori, al nostro cuoco è certamente accaduto spesso d’intendere le parole della nostra santa madre Teresa che ci ricorda che non bisogna affatto affliggersi “quando l’obbedienza vi chiede di applicarvi a cose esteriori: vi mettesse pure in cucina, siate persuase che il Signore è in mezzo alle pentole e verrebbe ad aiutarvi, interiormente ed esteriormente, […] tanto più che il vero amante non cessa mai d’amare e pensa sempre all’amato! […] Però è necessario che nelle nostre opere, anche se non agissimo che per obbedienza e carità, cerchiamo sempre di non distrarci e di volgerci interiormente verso Dio” (Fondazioni, cap. 5) Per quanto riguarda l’armoniosa e fruttuosa unione di contemplazione e azione, il nostro fra Lorenzo – anch’egli intensamente attivo e profondamente contemplativo – offre dei suggerimenti pertinenti ai sacerdoti e agli studenti carmelitani, ma anche alle nostre sorelle contemplative e ad ogni cristiano laico o religioso, quando ci accade di essere chiamati agli impegni quotidiani e al servizio apostolico, umile e nascosto oppure glorioso e riconosciuto. 

L’uomo e la guida 
Per conoscere fra Lorenzo, la cosa migliore da fare è leggere le sue “Massime spirituali” e le “Lettere”, il cui testo autentico è stato recentemente ritrovato in modo provvidenziale. Si scopre in fra Lorenzo un uomo intelligente, assolutamente onesto; ha lo spirito limpido e va all’essenziale; la sua dottrina è fondata sia sulla fede che su una profonda esperienza di Dio; la sua parola è semplice ma convincente; ciò che dice è sempre ricco e dotato di senso; consulta talvolta dei “libri”, come dice lui stesso, perché non trascura la sua nutriente lettura spirituale; si sente che ha un cuore aperto e una natura retta; ha un buon senso dell’umorismo e non mena il can per l’aia. 
Ha degli amici celebri che lo stimano molto. Il futuro biografo di Lorenzo, Joseph de Beaufort, vicario generale di Mons. Antoine de Noailles (vescovo di Châlons-sur-Marne e più tardi cardinale di Parigi, nuovamente con il de Beaufort come vicario generale), è venuto spesso a consultare il frate e racconta che il nostro cuoco mistico gli disse in occasione del loro primo colloquio: “Dio illumina coloro che hanno il vero desiderio di essere suoi; se ero mosso da questo intento, potevo chiedere di lui ogni volta lo volessi, senza temere d’importunarlo; in caso contrario, che mi astenessi dal venire a trovarlo…”. 
Alcuni testimoni dicono che Lorenzo era rozzo, non nel senso di maleducato ma di diretto, di campagnolo, di semplice operaio, insomma di uno che non perde tempo con i complimenti e le belle formule… Beaufort abbozzerà così il ritratto del suo buon ‘staretz’: “La virtù di fra Lorenzo non lo rendeva affatto selvatico. Aveva un’accoglienza aperta, che suscitava fiducia e faceva intuire immediatamente che si poteva rivelargli tutto e che in lui si aveva trovato un buon amico. Da parte sua, quando conosceva coloro con i quali aveva a che fare, parlava con libertà e mostrava una grande bontà. Quel che diceva era semplice, ma sempre adatto e pieno di senso. Attraverso un’esteriorità rozza, si scopriva una singolare saggezza, una libertà superiore alle capacità ordinarie di un povero frate converso, una penetrazione che superava tutto ciò che ci si sarebbe aspettato da lui”. Ancora: egli aveva “il cuore più buono del mondo. La sua gradevole fisionomia, il suo aspetto umano e affabile, il suo tratto semplice e modesto gli guadagnavano rapidamente la stima e la benevolenza di tutti coloro che lo vedevano. Più lo si frequentava, più si scopriva in lui un fondo di rettitudine e di pietà che non s’incontra quasi in nessun altro. […] Lui, che non era di quelle persone che non si piegano mai e che considerano la santità incompatibile con dei modi di fare genuini, lui che non ostentava nulla, si umanizzava con tutti e agiva con bontà verso i suoi fratelli e amici, senza pretendere di distinguersene”. 
Il grande Fénelon, altro ammiratore del nostro cuoco mistico, lo ha conosciuto personalmente e testimonia: “Le parole proprie dei santi sono ben diverse dai discorsi di coloro che hanno voluto dipingerli. Santa Caterina da Genova è un prodigio d’amore. Fra Lorenzo è rozzo per natura e delicato per grazia. Io l’ho visto ed ho avuto con lui un’eccellente conversazione sulla morte, mentre era molto malato e… molto allegro”. E rivolgendosi a Bossuet nel corso delle loro sottili dispute sulla vera mistica, scriverà: “Si può apprendere tutti i giorni studiando le vie di Dio negli ignoranti esperimentati. Non si sarebbe potuto imparare praticamente, conversando per esempio col buon fra Lorenzo?”. 

Alcune idee-guida del suo insegnamento 
Senza dilungarci sulla sua vita teologale, intessuta di fede desta, di fiducia incrollabile, di carità incondizionata, ascoltiamo fra Lorenzo che ci comunica le sue forti e mature convinzioni, così come le troviamo nelle sue “Lettere” e “Massime spirituali”. 
* Una lunga esperienza personale ha convinto il nostro fratello che la pratica della Presenza di Dio è un mezzo eccellente per intensificare l’unione con Dio. Alla sua guida spirituale ha spiegato – lo abbiamo già letto sopra – in qual modo sia passato progressivamente da un’“orazione” più meditativa a un contatto affettuoso col Signore, presente “nel fondo del mio cuore”, continuando ad agire nella stessa maniera durante il “resto della giornata e perfino durante il mio lavoro”. Prosegue: 
Non percepisco alcuna fatica né dubbio sul mio stato, poiché non ho altra volontà che quella di Dio, che cerco di compiere in tutte le cose e alla quale sono così sottomesso che non vorrei sollevare da terra un filo di paglia contro il suo ordine, né per altro motivo che non sia il suo puro amore. Ho abbandonato tutte le mie devozioni e le preghiere non obbligatorie e mi dedico solo a mantenermi sempre alla Sua santa presenza, nella quale rimango con una semplice attenzione e uno sguardo generale e amoroso in Dio, che potrei chiamare presenza attuale di Dio, o meglio ancora un colloquio muto e segreto dell’anima con Dio, che non si interrompe quasi più e che mi provoca talvolta degli appagamenti e delle gioie interiori, e spesso anche esteriori, così grandi che fatico a moderarli. 
* Lorenzo diventa quindi un autentico profeta e apostolo della via della Presenza di Dio. Scrive a una religiosa: 
Se fossi un predicatore, non predicherei nient’altro che la pratica della presenza di Dio ; e se fossi direttore, la consiglierei a tutti, tanto la ritengo utile e necessaria. Secondo me, tutta la vita spirituale consiste in questo e mi sembra che, praticandola come si deve, si diventa spirituali in poco tempo. 
* Ma senza sforzo non si ottiene molto. Già al momento di entrare al Carmelo, Lorenzo era convinto che bisogna “dare tutto per il Tutto”. Per imparare a vivere “die ac nocte”, notte e giorno, nella Volontà e nella Presenza di Dio, come ci invita a fare la Regola del Carmelo, ci vuole quella “determinada determinación” di cui parlava santa Teresa di Gesù. Il carmelitano Lorenzo, figlio spirituale di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce, la pensa allo stesso modo. Nella lettera già citata, scrive: 
So che per questo bisogna che il cuore sia vuoto di tutte le altre cose, poiché Dio solo vuole possederlo; e poiché Egli non può possederlo esclusivamente senza svuotarlo di tutto ciò che non è Lui, così non può agirvi né fare ciò che vorrebbe, se noi non gli abbandoniamo interamente il cuore affinché ne possa fare quel che desidera. 
Ma, prosegue Lorenzo, l’unione con Dio ricercata per “amore puro” diventerà sorgente di grande felicità: 
Non c’è al mondo modo di vita più dolce o delizioso che la conversazione continua con Dio; soltanto coloro che la praticano e la gustano possono comprenderlo. 
* Questa pratica della Presenza bisogna dunque apprenderla, magari riapprenderla tutta la vita. Lorenzo confessa che anche lui, all’inizio, ha dovuto faticare: 
In quest’esercizio feci non poca fatica, ma perseveravo nonostante tutte le difficoltà che vi incontravo, senza spaventarmi né inquietarmi quando mi distraevo involontariamente. Non mi occupavo meno del mio Dio durante la giornata che durante le mie preghiere, […] perfino quand’ero immerso nel mio lavoro. […] Ecco la mia pratica ordinaria da quando sono entrato in religione. Benché non l’abbia praticata che con molta codardia e imperfettamente, ne ho ricavato tuttavia grandi vantaggi. […] Infine, a forza di ripetere tali atti, essi ci diventano più familiari e la presenza di Dio diviene come naturale. 
* L’apprendimento di questa pratica della Presenza sarà dunque progressivo, ma costante. Ecco ciò che Lorenzo, da buon pedagogo, consiglia a una signora con tatto e lungimiranza: 
Questo Dio di bontà non ci chiede molto: un piccolo ricordo ogni tanto, una piccola adorazione, talvolta domandargli la sua grazia, qualche volta offrirgli le vostre fatiche, prendervi la vostra consolazione con lui; durante i pasti e le vostre conversazioni, elevate qualche volta verso di lui il vostro cuore: il minimo ricordo gli sarà sempre graditissimo. Per far questo non bisogna gridare forte: è più vicino a noi di quanto pensiamo. Non è necessario essere sempre in chiesa per essere con Dio; possiamo fare del nostro cuore un oratorio nel quale possiamo ritirarci ogni tanto per intrattenerci con lui, umilmente e amorosamente. Chiunque è capace di questi colloqui familiari con Dio, gli uni più, gli altri meno. Egli sa che cosa possiamo fare. 
* A poco a poco si formeranno in noi la volontà e l’abitudine di volgerci frequentemente verso il Dio presente. Lorenzo ci raccomanda: 
una grande fedeltà alla pratica di questa presenza e allo sguardo interiore di Dio in sé, che bisogna fare sempre con dolcezza, umilmente e amorosamente. […] Bisogna curare particolarmente che questo sguardo interiore preceda anche d’un solo attimo le vostre azioni esteriori, che ogni tanto le accompagni e che sempre le concluda. Poiché ci vuol tempo e molto lavoro per acquisire tale pratica, non bisogna perciò scoraggiarsi quando vi si manca, poiché l’abitudine non si forma che con fatica; ma quando essa sarà formata, si farà tutto con piacere. 
* Fra Lorenzo vuole condurci alla profonda unione con Dio; all’anima fedele, egli apre degli orizzonti bellissimi e gioiosi: Questa presenza di Dio, un po’ faticosa all’inizio, se praticata con fedeltà produce segretamente nell’anima degli effetti meravigliosi, vi attira in abbondanza le grazie del Signore e la conduce insensibilmente a questo semplice sguardo, a quest’amorosa percezione di Dio presente ovunque, che è la più santa, la più solida, la più facile e la più efficace maniera di pregare. Tramite la presenza di Dio e questo sguardo interiore, l’anima si familiarizza con Dio a tal punto che essa trascorre pressoché tutta la vita in atti continui di amore, d’adorazione, di contrizione, di fiducia, di rendimento di grazie, di offerta, di domanda e di tutte le più eccellenti virtù. E talvolta essa può diventare un solo atto che non finisce più, perché l’anima è sempre nell’esercizio ininterrotto di questa divina presenza. 
Tre mesi prima di morire, il nostro fratello scrive: 
Ciò che mi consola in questa vita è che vedo Dio attraverso la fede. E lo vedo in un modo che potrebbe farmi dire talvolta: ‘Non credo più ma piuttosto vedo, esperimento ciò che la fede ci insegna’. E con questa certezza e questa pratica della fede, vivrò e morirò con lui. [E ancora, parlando della “fiducia”:] Non ne avremo mai abbastanza verso un amico così buono e fedele che non ci abbandonerà mai, né in questo mondo né nell’altro. 
* Dopo aver evocato un orizzonte così luminoso, Lorenzo rivolge a tutti quest’ultimo incoraggiamento, col quale terminiamo la nostra piccola antologia: 
So che si trovano poche persone che arrivano a questo livello: è una grazia di cui Dio favorisce soltanto alcune anime elette, perché in fin dei conti questo semplice sguardo è un dono della sua mano munifica. Tuttavia, per consolare coloro che intendono abbracciare questa santa pratica, dirò che egli la dona ordinariamente alle anime che vi si dispongono. E se non la dona, si può almeno – con l’aiuto delle sue grazie ordinarie – acquisire tramite la pratica della presenza di Dio un modo e uno stato di preghiera che si avvicinano molto a questo semplice sguardo. 

Una scoperta provvidenziale 
Fino ad oggi non disponevamo che di un solo testo stampato degli scritti di Lorenzo, edito dal sacerdote de Beufort nel 1691 e dal quale dipendevano tutti i lettori e gli scrittori. Ora, in modo assolutamente provvidenziale è stato scoperto un manoscritto del 1745 contenente la trascrizione delle opere di alcuni autori religiosi del diciassettesimo secolo, alla fine delle quali si trovano… anche le Lettere e le Massime spirituali di fra Lorenzo della Resurrezione. Su questa base verrà condotta una nuova edizione critica dei testi di fra Lorenzo. Il nostro fratello ne uscirà ancor più vero, libero, “teresiano”, dato che sono stati messi in evidenza alcuni tratti stilistici agiografici del de Beaufort, propri della sua epoca. Ciò non diminuisce affatto la nostra immensa gratitudine nei confronti di Joseph de Beaufort: senza di lui, i posteri non avrebbero conosciuto questo semplice fratello laico. Egli ha subito intuito la ricchezza spirituale del cuoco mistico da lui frequentato per un quarto di secolo, così come ha compreso l’importanza della sua dottrina e l’irraggiamento apostolico che i suoi scritti e il suo esempio avrebbero potuto avere. Lorenzo è un profeta del Sole di Dio che illumina la nostra vita, a condizione che noi stessi non preferiamo restare nell’ombra. 

La missione di fra Lorenzo continua 
Fra Lorenzo occupa un posto privilegiato nel cuore di molti cercatori di Dio nel mondo intero, anche presso i nostri fratelli protestanti, anglicani e ortodossi. Molti cristiani lo amano, lo ascoltano e lo venerano come una guida luminosa e un vero santo. Con la sua vita esposta al Sole di Dio e la sua testimonianza radiosa, fra Lorenzo della Resurrezione, vero figlio del Carmelo, prosegue oggi la sua benefica missione. Egli ci conduce a Dio, presente in tutta la vita, con la semplicità e l’amore. Non esistiamo a frequentarlo… 

Festa dell’Esaltazione della Croce Roma, 
14 settembre 2014 

P. Saverio Cannistrà, O.C.D. 
Preposito Generale 

FONTE: testo tratto dal sito della Provincia Veneta dei Carmelitani Scalzi. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano