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venerdì 11 novembre 2016

TERESA MARGHERITA REDI DEL SACRO CUORE DI GESU' - MONACA CARMELITANA SCALZA ( TERESIANA ) SANTA *1747 +1770 - PARTE TREDICESIMA.




Teresa Margherita Redi 
del Sacro Cuore di Gesù 
Monaca Carmelitana Scalza 
(Teresiana) 
Santa 
*1747 +1770 

Il 12 Marzo 1766 Suor Teresa margherita pronunziava i suoi voti ( Testo della professione della Santa. - Io Suor Teresa margherita del Cuore di Gesù faccio la mia Professione, e prometto Obbedienza, Castità e Povertà a Dio Nostro Signore e alla Gloriosa Vergine Maria del Monte Carmelo ed al R.mo Padre Fra Filippo di San Francesco, Preposito Generale della Congregazione di S. Elia della Madonna SS.ma del Carmine, ed ai suoi successori secondo la Regola primitiva di detto Ordine, quale e senza mitigazione, sino alla morte. Inoltre prometto di non procurare dirette né indirette per me, né per interposita persona, di essere superiora. 
SUOR TERESA MARGHERITA MARIA ANNA DEL CUORE DI GESU’ - SUOR TERESA VITTORIA DELLA SS.MA CONVERSAZIONE, Priora - SUOR MARIA TERESA ADELAIDE DELLA CROCE, Clavaria - SUOR MARIA MADDALENA, Clavaria ) nelle mani della Madre Teresa Vittoria della Sacra Conversazione ( Malaspina ) nuove Priora eletta il 4 Febbraio dello stesso anno. 
<< Nel momento della sua Professione - si legge nelle memorie di allora - sembrava trasformata in un Serafino; e fu tale e tanta la dolcissima impressione che il suo contegno esteriore fece nelle circostanti sorelle che, ammirate ed intenerite, non poterono trattenere il pianto >>. Per meglio effondere la sua riconoscenza al Signore, chiese ed ottenne di passare la giornata in completo ritiro. Gelosa come sempre di quel nascondimento che doveva essere uno dei tratti caratteristici della sua santità, non svelò ad alcuno le grazie di quel giorno memorando, che pur devono essere stati grandi ( Che sia così si rivela anche da due lettere del Cav. Ignazio in risposta a quelle confidenziali inviategli dalla figlia. La prima, in data del 6 Marzo 1776 dice: << Iddio vi assista al grande atto cui veggo che anche anticipatamente Egli vi ricompensa >> la seconda, del 20 Marzo dello stesso anno: << Mi sono al più alto segno consolato con la Professione da voi fatta con le circostanze che mi divisate e spero per sempre più godrete delle Divine Misericordie >>). Ma certo, rialzandomi da quell’altare ai piè del quale aveva giurato a Gesù di seguirlo fino al Calvario, avrà ripetuto col suo Santo Padre Giovanni della Croce: 
 << Non curo altro né penso 
Che d’arder tutta in quell’amore immenso! >>. 
L’amore di Gesù! Ecco, come dicemmo altrove, tutta la vita della carmelitana; ecco il segreto del suo apostolato nascosto, ma così facendo; ecco la sorgente di quella gioia che brilla sul volto delle figlie di Santa Teresa anche in mezzo alle più dolorose immolazioni. E Suor Teresa Margherita, nello studio assiduo delle opere della sua Santa Madre e del suo Santo Padre, aveva intraveduti gli orrizzonti luminosi e infiniti di questa vita d’amore, a cui doveva tendere con tutte le energie della sua anima verginale. La sacra Velazione, che avvenne il 7 Aprile dello stesso anno, fu come l’ala protettrice del Signore, sotto la quale ella si raccoglieva sicura per essere sempre di Lui. L’unione era ormai completa. Lo spirito che la dovrà ispirare in tutto, non sarà d’ora innanzi che quello stesso che ispirato Gesù ad eleggerla Sua Sposa. Egli l’ha eletta per amore, per eccesso d’amore, dunque l’amore sarà il suo spirito, sarà come la base di tutta la sua vita; non sarà pago il suo cuore, finchè non si sarà tutto consumato nell’amore. E i fatti cominciò subito a mostrare tale raccoglimento da edificare quanti la miravano. Dopo la Professione, le giovani religiose rimangono ancora in Noviziato due anni per meglio, formarsi, sotto la direzione della Maestra, alle monastiche discipline e allo spirito del Carmelo. Suor Teresa Margherita, avida di soggezione e di umiltà, vi rimase anche il terzo anno, e continuò ad essere la più docile e sottomessa delle novizie, esercitandosi negli uffici minori della comunità. Essa era sollecita ed esattissima - ci dicono le memorie del Monastero - e disimpegnava le sue incombenze col miglior garbo del mondo; ma insieme sapeva, senza affettazioni, circondarsi di non so qual velo d’umiltà che en nascondeva il finissimo accorgimento. 
Sottomessa a tutte, da tutte volentieri riceveva suggerimenti e ammonizioni, anche dalle converse che, o per ignoranza o incoraggiante dall’umile contegno della Serva di Dio, la trattavano con una certa qual libertà. 
Fu in quest’anno 1766, dopo la sua Professione, che ella - come attesta la Madre Teresa Maria della SS. Concezione ( Ricasoli ) - << si diede di proposito alla pratica ed esercizio della Divina presenza, conforme appariva dal suo operoso operare. Apprese il modo di riformare le potenze dell’anima circa gli atti di queste, perché venga ad unirsi con Dio, da un libro intitolato “ La Riforma dell’uomo ”; a questo fine erano indirizzate le sue mire; i suoi discorsi privati e le sfide spirituali che frequentemente faceva con le compagne. Si privava d’ogni propria soddisfazione sebbene la più innocente, come nel mirare, nell’udire e parlare, sebbene spesso la trovavano che lavorava ( in cella ) con la finestra socchiusa con tano solo di luce quanto richiedeva la più rigida necessità; teneva sempre un libro aperto avanti agli occhi ed il suo tavolino era sempre ben fiorito di stampe rappresentanti la Passione di Nostro Signore >>. 
Spesse volte trovandosi sola con la Madre Maestra, con umiltà e a bassa voce le diceva: << Si ricordi che io sono la sua novizia, e che ella è la mia Madre Maestra: ciò non mi sia piacevole, ma si corregga e mi mortifichi >>. Abbiamo già detto in qual conto tenesse gli avvisi e le correzioni della Superiora, e come ella si considerasse la sola imperfetta e colpevole del Monastero. Questa sincera convinzione della propria inferiorità le infondeva nell’animo un vivo desiderio di servire a tutte e una santa alacrità nel sollevare caritatevolmente le consorelle. Per compiacerla le venne affidato, oltre gli uffici di robiera bianca, che consisteva nell’aver cura della biancheria ad uso delle Religiose, e di aiuto sagrestana, che esercitava fino dal mese di Maggio, quello di sagrestana San Paolino; doveva cioè pensare a tutto ciò che occorreva alla conservazione della biancheria e dei parati di quella Chiesa; e nel Maggio seguente 1767, l’altro di sagrestana della Chiesa del Monastero. Con quale diligenza attendesse a queste nuove occupazioni ciascun può immaginare. Andava spesso a rivedere la lampada, e nello stesso tempo non tralasciava mai una visita e un affettuoso saluto al SS. Sacramento. 
Il suo amore per Gesù le suggerì il modo di passare presso il Santo Tabernacolo anche quel tempo in cui, nell’estate, le religiose sogliono alquanto riposarsi. Fu trovata più volte, in una stanza attigua al Coro, seduta sopra un piccolo panchetto di legno e col capo appoggiato sopra una pietra. E altre volte prendeva qual po’ di riposo seduta su di una scaletta di legno, che era nello stanzino degli attrezzi necessari al servizio della Chiesa. E tutto questo per essere più vicina a Gesù. Non paga di ciò che faceva per corrispondere all’amore di Dio, cercava tutti i mezzi perché fosse da tutti amato. Le sembrava poi impossibile che nel mondo vi potessero essere persone che offendono questo nostro buon Padre; onde, quando alle preghiere della Comunità venivano raccomandate persone traviate, prorompeva in sospiri e diceva alle religiose: << E’ mai possibile che nel mondo vi siano tante offese di Dio! Che si facciano questi mali! >>. E, dicendo così, gli occhi le brillavano di lacrime. 
Era tanto ardente il suo zelo per trovare anime che amassero Dio, che un giorno, leggendo insieme a Suor Teresa Crocifissa di Gesù la vita della Venerabile Suor Maria Angelica Azzi Cappuccina, non fu contenta finchè l’altra non le ebbe promesso di fare a gara con lei nel santo amore di Dio. Essa stessa trovò il mezzo di tener sempre viva nella memoria questa promessa. Ad esempio di quella Venerabile Serva di Dio, stabilì che a vicenda di settimane dovesse ciascuna applicare tutte le azioni dell’altra, per supplire a tutti gli oltraggi di almeno cinque peccatori, e in suffragio di cinque anime del Purgatorio. << Mi stava sempre alle costole - ci lasciò scritto Suor Teresa Crocifissa - poiché avrebbe voluto che fossi stata un Serafino d’Amore e piena di virtù come era lei. Accadde che, nell’essere io stata ripresa con severità dai Superiori in occasione di visita, in presenza a tutta la Comunità, me ne accorai a tal segno, che la mia umanità soffrì molto. Suor Teresa Margherita sopraggiunse nel tempo che io stavo in una stanza del Convento sola, tutta smaniante ed afflitta. Mi disse: << Ora è il tempo di accumulare meriti per la beata eternità, con fare a Gesù un’offerta del dispiacere avuto e farne un mazzetto per offrirglielo e non ci pensare mai più, scusando e perdonando tutti e prendendo questa mortificazione in penitenza di tutte quelle trasgressioni che si sono fatte in religione >>. 
Per non mancare al silenzio, scriveva spesso sopra alcuni pezzi di carta tutto ciò che bramava dire alla sua compagna; e quando la incontrava nei corridoi del Monastero, le consegnava quelle letterine tutte piene di umiltà e dello zelo più ardente per l’amore di Dio. Questi foglietti si conservano ancora in Monastero e sono una prova perenne della bellezza di quell’anima tanto ricca delle più elette virtù. 
Un giorno venne a trovarla il padre col fratellino Saverio. Fece loro grande accoglienza, specialmente al fratello che ella, vedendolo più intimamente unito a Dio, amava a preferenza degli altri, e per il quale già aveva chiesto ed ottenuto la grazia della vocazione allo stato ecclesiastico. Avendole questi domandato, prima di lasciarla, se non le dispiacesse di non vedere più il padre che era stato sempre sì caro, con la maggiore disinvoltura rispose: << Dopo che ne feci un sacrificio a Dio, vuoi che io gli ritolga il dono? >>. Ed infatti, essendo il padre alla grata vicina a parlare con la Madre Priora, andò subito là, s’inginocchiò, gli chiese la Benedizione, e poi gli disse: << Addio mio caro padre; faccia buon viaggio! >>. Interrogata perché amasse più il padre della madre, rispose che lo amava di più << perché lo vedeva più di Dio, e più consapevole alla sua massima, e perché la trattava con maggior confidenza >>. Ma una volta il Cav. Ignazio, prima di licenziarsi da lei, la chiamò col nome che portava al secolo, Anna Maria, senza rispetto umano, gli fece una gentile correzione e disse: << Ah! Padre mio; io non sono più Anna Maria, ma Suor Teresa del Sacro Cuore di Gesù >>. Questo fatto lo raccontava spesso il Cav. Ignazio Redi e, sorridendo, diceva che col suo angelo bisognava pesare tutte le parole. 
Il Padre Ildefonso, Confessore della Santa, dopo aver descritto la condotta che ella menò durante il santo Noviziato, ci lasciò questa bella testimonianza: << Traeva in tutto al sublime e al perfetto, dolente e mesta solo se i voli del suo spirito, per fare alcun atto interno ed esterno, non l’avessero portata fino a quel segno di perfezione che ella si era posto in cuore. Questo mi è sembrato il suo continuo lavoro interno, questo il suo segreto e nascosto martirio, questa la materia dei suoi continui esami tanto nella vita privata quanto nei vari uffici che ebbe nella religione, specialmente in quelli di sagrestana e di infermiera >>. Sapendo che la legge la quale rende santa una religiosa è la Regola professata, osservò sempre con la massima perfezione non solo ciò che comandano la Regola e le Costituzioni, ma perfino ogni minima lodevole e virtuosa costumanza del Monastero. Nonostante le tante e continue sue occupazioni di obbedienza e carità, non tralasciò mai d’intervenire e di assistere a tutti gli atti comuni e specialmente al Coro, se non per espresso comando della Superiora. Anzi, nei primi tempi, cogliendola facilmente il sonno, e specialmente, quando, essendo infermiera, era costretta ad andare a riposo una o due ore dopo le altre, si raccomandava tanto alla svegliatrice perché la chiamasse per tempo, che, nonostante riposasse pochissimo, pure la mattina era sempre la prima in Coro, come se nulla avesse fatto il giorno avanti. Questa sua prontezza e diligenza nell’adempire i propri obblighi giovava molto ad un altro suo fine: a tenersi cioè sempre quanto più potesse lontana da quelle esenzioni e dispense, che i Superiori sogliono dare secondo la necessità e fatiche particolari di ciascuno. Quindi ogni volta che si trovava debole di forze, e non era in perfetto stato di salute, lo simulava con abile destrezza, affinchè non accorgendosene la Superiora e le altre religiose, non la rendessero esente da qualche comune osservanza. 
Palesò al suo Confessore, per ottenerne l’approvazione, il fermo proposito da lei fatto nel giorno della sua vestizione, di volere usare tutti i modi possibili di seguitare le osservanze comuni senza alcuna esenzione, finchè le forze naturali e l’obbedienza le avessero in qual modo permesso di stare in piedi; e ciò per imitare tante altre Serve di Dio che nel Carmelo usarono tutti i mezzi e fecero tanti sacrifici per essere sempre presenti agli atti della Comunità. 
In quanto all’osservanza regolare aveva sentimenti sì alti ed eroici, quali si leggono nei primi istitutori degli Ordini Religiosi. Diceva di essere obbligata anche per la minima osservanza e che sarebbe stata pronta per questa a dare anche tutto il suo sangue e la vita, perché credeva che l’obbligo della professione religiosa si stendesse anche a questo e che nessuno professa veramente un istituto di vita, se non ne comprende tutte quante le più piccole parti. Quindi soggiungeva che tanti dei secolari stessi, per motivi temporali, possono in ciò servire d’esempio ai religiosi; specialmente quelli che per puro onore, servendo ai principi di questa terra, non guardano a qualunque disagio per essere inappuntabili anche nelle più piccole incombenze. 
Un giorno, nel tempo in cui la Comunità si doveva spazzare il Monastero, venne al parlatorio una nobile giovane già accettata per religiosa corista. Invitata Suor Teresa Margherita da una consorella a portarsi alla grata per congratularsi con la nuova postulante, non volle in nessun modo desistere dal suo ufficio e con buona maniera rispose: << Dalla Sposa posso andare un’altra volta senza che vi sia alcuna perdita; ma se lascio quest’obbligo d’osservanza, non ho più maniera d’adempierlo >>. Due fanciulle, le signorine Ugolini, che si trovavano in Monastero per prepararsi alla Prima Comunione, tentarono distogliere la Serva di Dio da quella sua invariabile e singolare compostezza. Profittando del tempo in cui ella era rimasta a refettorio per avere avanti servito a mensa, la maggiore di esse va sulla porta, e quivi, con ogni sorta di scherzi fa di tutto perché ella desista dalla sua compostezza e dica qualche parola. Ma la Serva di Dio non alza neppure gli occhi, non atteggia la bocca al sorriso, e seguita tranquilla la sua refezione. 
La sua volontà era sì conforme a quella della Madre Priora e della Madre Maestra, che al più piccolo cenno si sarebbe come suol dirsi, gettata nel fuoco. Tutto ciò che esse dicevano, per lei erano espressi comandi; onde obbediva prontamente con ilarità e semplicità. Anzi, era così amante delle virtù dell’obbedienza, che teneva sempre presenti non solo i comandi, ma anche i consigli uditi ed i buoni sentimenti in lei inculcati fin da bambina. E al Confessore che una volta le faceva osservare che a ciò non era più obbligata, essendo il dovere della religiosa di osservare con ogni perfezione la Regola e di mettere in pratica gli avvisi e i comandi della Superiora, rispose con umiltà che era tanta l’abitudine presa da riuscirle difficilissimo il non farlo; pure, se glielo avesse comandato, sarebbe stata prontissima ad obbedire. 
Era solita dire, con santa sincerità, che a lei bastava fosse imposto qualche cosa per obbedienza, per non sentire più alcuna pena e difficoltà. Perciò, nelle cose più manegevoli, aveva sempre l’avvertenza di pregare Dio affinchè le Superiore le imponessero il merito dell’obbedienza, attribuendo a ciò quella facilità gioviale che provava nell’eseguirle. Si era anche protestata davanti al Signore di voler vivere di pura obbedienza, e per questo in tutto quel che faceva cercava sempre di poter ripetere a se stessa: << Io opero per l’obbedienza >>. << Questa virtù - così il Padre Ildefonso - fu la più bella, la più continua e per lei la più ricca di merito, perché in essa costantemente e meravigliosamente abituata, tanto nell’osservanze comuni che ne’ comandi particolari non udiva altro se non la voce espressa di Dio, tenendo sempre scolpite nel cuore quelle divine parole di Gesù Cristo: Chi ascolta voi, ascolta me , e, nell’atto di eseguire qualche comando de’ superiori o qualche atto di osservanza regolare, quelle altre che sono proposte nei costumi del santo noviziato: Cristo comanda, basta ; protestandosi di più, come si è più volte protestata ai miei piedi, di voler vivere unicamente in tutti gli atti suoi interni ed esterni di pura obbedienza, con riferimenti spesso le sue sopradette sentenze che aveva e voleva aver sempre per regola di tutta la sua vita a costo ancora del proprio sangue >>. 
Attesta lo stesso Padre d’averla trovata sempre mirabilmente esatta nel mettere in pratica minutamente non solo tutti i comandi e i consigli che le dava, ma perfino ogni proposizione e parola attenente al più sublime di qualunque virtù, che per un medesimo consiglio; anzi, la trovò sempre avanzata nell’esercizio delle virtù e molte volte gli convenne raffrenarla onde, per la troppa preoccupazione, non ne risentisse qualche danno nella salute. Era stato osservato dalla Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova ( Piccolomini ), che Suor Teresa margherita aveva l’abitudine di portare spesso, senza accorgersene, le mani la capo. << Seguitando così - le aveva detto scherzando - chissà quanti velo consumerà! >>. La Serva di Dio ricevè con piacere l’ammonizione, e le monache poterono notare che da quel momento in poi, quando inavvertitamente le veniva fatto di alzare la mano, tosto la riteneva come sospesa e in un attimo la riponeva sotto la scapolare. 
Durante i Santi Esercizi che, come vedemmo, intraprese con tanto fervore prima di pronunziare i santi Voti, venne a far visita alle religiose la Contessa Piccolomini, madre di Suor Anna Maria, la quale espresse il desiderio di vedere le novizie. La Maestra, allora la Madre Teresa Maria di Gesù ( Guadagni ), approfitto di questa occasione per esercitare nella virtù dell’obbedienza la Serva di Dio. Dovevano le novizie, secondo l’istruzione avuta, trattenersi in colloquio con la Contessa, ma alla Serva di Dio fu invece comandato di far solo una riverenza alla signora e di partirsene senza far parola. Suor Teresa Margherita compì con la massima puntualità il comando, con sorpresa della signora e grande edificazione delle novizie. 
Aveva reso, come suol dirsi, sì cieca la propria obbedienza che, persuasa essere la Superiora il mezzo per cui Dio trasmette i suoi ordini, bastava un cenno perchè subito inchinasse il suo giudizio. Si era nel 1769; alle religiose giunse notizia che in un giorno del Settembre, dopo la mezzanotte, sarebbe comparsa nel firmamento una cometa. Tutte mostrarono desiderio di vederla; ed anche la Santa, che mai aveva veduto comete, chiese il permesso alla Madre Priora. Non le fu concesso, perché premeva molto alla Superiora di non far perdere ore di sonno a quell’angelo che sapeva aver tanto bisogno di riposo. Non replicò, e tutta contenta andò a letto. Dopo la mezzanotte, le religiose che non sapevano del divieto della Madre Priora, andarono a svegliare la Serva di Dio, ma essa con cenni, per non mancare al silenzio, fece loro intendere che le era stato proibito e quindi se ne rimase a letto, contenta di poter offrire al Divin Cuore quella piccola mortificazione, per amore all’obbedienza professata. 
Condizione necessaria alla vita religiosa è la rinunzia. Al religioso che vuol piacere a Dio, è necessario prima abbandonare ogni cosa, e poi seguire Gesù. Ciò è il mezzo unico per giungere al possedimento di Dio. Questa bella virtù fu praticata da Suor Teresa Margherita fin dal momento che fu ammessa alle prove del Monastero. Col permesso della superiora, volle spropriarsi di varie cose che aveva portato dalla casa paterna, facendole dispensare a povere fanciulle che aspiravano alla vita religiosa. Le gioie e le perle che aveva ricevuto in dono dai propri parenti, furono destinate da lei ad ornamento della statua della Madonna. E quando un giorno, già religiosa, il Cavaliere Ignazio le mostrò il desiderio di farle qualche dono, richiedendola a questo fine qual cosa avrebbe più gradito. << Niente vorrei, mio caro babbo, e niente mi abbisogna >> rispose sorridendo: << E’ tanto grande il regalo che mi ha fatto col darmi il modo di vestire questo santo abito, che se dalla mattina alla sera stessi col la faccia per terra a ringraziarla, farei sempre meno di quello che le devo >>. 
Il profumo della Verna non aveva diminuito d’intensità nell’anima sua; e, povere come l’Assisiense, desiderava salire con la povertà fin sulla Croce. Amava i lavori manuali, essa di nobile stirpe, per poter, ( come diceva ) guadagnarsi il pane. Teneva conto anche delle più piccole cose, non permettendo che per sua colpa si perdesse né un filo di seta né una goccia di olio, e neppure un piccolo pezzo di carta. Era così attenta perché i frammenti del pane non perissero né di calpestarlo, che ogni giorno accuratamente li raccoglieva e li conservava per poi darli alle galline. 
A proposito di questa sua grande attenzione nel raccogliere i frammenti del pane, un giorno che le religiose, piacevolmente scherzando, le dissero esser quella una diligenza troppo accurata, con eguale affabilità rispose in modo da far comprendere che ella credeva che << dai religiosi, che sono poveri di Gesù Cristo, dovesse rendersi conto anche di tali minutezze, delle quali tanti poveri sono privi, e se non altro quelle briciole erano buone per alimento di tante creature irragionevoli e innocenti che stavano a questa divina provvidenza >>. E ad una religiosa che, avendola veduta portare sul terrazzo alcuni frammenti di pane, le domandò che cosa ne facesse, dette questa bella risposta: << Non potendo questi minuzzoli di pane servire gli altri, li porto sul terrazzo alle passere che li aspettano, e non mancano pertanto alla povertà >>. Non mostrò mai desiderio di qualche cosa benchè tenuissima, anzi procurò di essere mancante anche del necessario, << per provare - come era solita dire - alcun poco il peso della povertà religiosa >>. Quindi procurò sempre di avere per sé gli oggetti più vili, poveri e disprezzati. E il giorno di una vestizione, presentasi alla Madre Anna Maria di Sant’Antonio da Padova, allora Maestra, la pregò di toglierle tutta quella roba che la religione le aveva dato in uso, per darla alla nuova novizia, e disse che a lei bastava qualche cosa di vecchio, desiderando di essere di essere trattata da povera di Gesù Cristo. Ma la Maestra, ammirata dal suo spirito, le rispose che avesse tenuto quello che l’obbedienza le aveva assegnato, e che alla novizia avrebbe pensato lei a procurare il necessario. Umilmente insistendo nella sua domanda, le fu tolta solamente la lucerna ed in cambio gli ne fu data una usata e molto vecchia. 
Era così distaccata anche dalle più piccole cose, quali ad esempio oggetti di devozione, libricini, immagini, che spesso portava tutto alle Superiori perché la privassero di quegli oggetti e li dessero in uso a chi più loro piacesse. Memore in ciò del rimprovero che la Santa Madre Teresa rivolgeva a quelle religiose che si caricano d’immagini, di croci, di medaglie, come fanciulli al collo dei quali si appendono dei piccoli sonagli d’argento od altri giocattoli per divertirli; cose contrarie alla povertà, per causa dell’attaccamento che vi si professa. 
Quanto era distaccata dalle cose di particolare suo uso, altrettanto era meravigliosa nel conservare le comuni. Tutto raccoglieva e tutto riponeva nelle comuni officine. Dei pezzi di carta, anche già usati, se ne serviva per scrivervi i suoi pensieri, i suoi propositi e i suoi sfidi spirituali, come ancora si vede in alcuni di essi conservati dalle religiose. 
Era diligentissima dell’osservanza del silenzio, tanto raccomandato dalla Regola Carmelitana, che la bisogno manifestava le sue necessità scrivendole su piccoli pezzi di carta. E perché quella bella virtù stesse sempre scolpita nella sua mente, ne scrisse il concetto che se ne era formato e il proposito che aveva fatto sopra un cartellino che teneva attaccato dietro della sua cella. << Obbligo del Religioso Scalzo - diceva - è il non dire neppure una parolina senza necessità; il non guardare quello che fa bisogno; e se fa questo tutto il tempo di sua vita, sappia che non farà accesso di virtù, ma solo quello che è obbligo suo. Ed è certissimo che per una parolina inutile che dirà, per uno sguardo superfluo dovrà stare in Purgatorio >>. 
Quali sentimenti per un’anima che solo correva ma volava nelle vie della perfezione! Essa, così giovane, era divenuta l’esemplare e come lo specchio a cui le altre religiose volgevano gli occhi, per imparare che solo la perfetta osservanza delle Regole professate serve di scala alla santità. Dall’osservanza del silenzio essa aveva imparato perfettamente l’arte di vivere sempre in una continua comunione con Dio. Ed il suo spirito, anche nelle stesse occupazioni imposte dall’obbedienza, si sentiva mosso a rivolgere al Signore la mente e il cuore. La perfetta osservanza delle Regole e la continua presenza di Dio le erano come di norma alla propria perfezione. Che meraviglia dunque se, vivendo in Dio, era nel tempo stesso tutta fervore e tutta tenerezza per le creatura? I fatti che stiamo per esporre, provano chiaramente qual fosse il suo amore per le consorelle; i suoi modi e le sue parole non furono che un’effusione continua di soave carità. 

FONTE: Padre Stanislao di Santa Teresa, dell’Ordine Teresiano dei Carmelitani Scalzi. Un Angelo del Carmelo, Santa Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù. 1934. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano