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sabato 22 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CEROSINI SAN BRUNO - PARTE SESTA seconda.


 

Ora in Certosa egli non giungeva solo; vi conduceva sei compagni, coi quali già componeva un gruppo d'una assai rilevante omogeneità ed intima armonia: due << maestri >>, Bruno stesso e Laudino, avrebbero assicurato allo spirito di quegli uomini votati alla vita  contemplativa un nutrimento dottrinale solido, forte, sostanziale, attinto direttamente dalla Sacra scrittura; due laici, Andrea e Guerrino, pur conducendo una vita di solitudine simile più che possibile a quella degli eremiti, avrebbero alleggerito questi delle innumerevoli servitù della vita materiale ed umana e consentito loro di attendere alla preghiera pura, partecipandovi anch'essi a misura del possibile; infine, almeno uno degli eremiti era sacerdote ed incaricato dal gruppo delle funzioni sacerdotali; egli veniva chiamato con un nome che di per sé ha un senso comunitario: << il cappellano >>. 

Rigore dell'eremo da una parte, e dell'altra armonia intima, pienezza del piccolo gruppo di eremiti: v'è in questo contrasto che c'introduce profondamente nel disegno di Bruno. Se egli avesse riconosciuto di non poter attuare detto tipo di eremo nel deserto di Certosa, di certo non vi sarebbe stabilito. Ma quel luogo corrispondeva troppo bene alla sua unica intenzione da poter esitare: lui stesso ed i suoi compagni potevano sperare di vivervi insieme la vita eremitica in tutta la sua esigenza e tutta la sua ricchezza, almeno nella misura consentita delle forze umane. A sua volta il deserto di Certosa avrebbe contrassegnato con forte e durevole impronta la concreta attuazione del disegno di Bruno. 

I limiti del territorio dai donatori concesso agli eremiti ci sono noti dall'atto della donazione del 1086. << I limiti del luogo solitario che abbiamo donato passano al di sotto della località chiamata la Cluse, continuano lungo la rupe che chiude la valle ad oriente seguendo la cresta che chiude e divide Come-Chaude e che si estende fino a mezzo la rupe che sovrasta il Bachais; sussuegue un'altra arida cresta che va discendendo fino alla rupe di Bovinant; di lì un'altra cresta che lungo il limitare  del bosco discende da Bovinant verso al rupe che sovrasta la Follie; quindi la rupe che va da la Follie alla montagna d'Alliénard e che da  l'Alliénard scende verso la morte, dal lato occidentale, fino alla rupe di Cordes che prolungasi verso Perthuis. I limiti seguono quindi una cresta di rocce fino al fiume chiamato Guier-Mort, il quale serve il limite fino a la Cluse >>. 

Tale descrizione, da sola, ci fa intendere che cos'era la proprietà di Certosa: una terra circondata da montagne, con un punto di passaggio obbligato, la Cluse...  Il suolo è costituito di roccia calcarea ricoperta qua e là, soprattutto nel fondovalle, da un sottile strato di terra; ed in contesto terreno sì poco profondo si abbarbicano alberi che formano delle zone boscose. Rari prati tra quelle rocciose formano possibilità di pascolo per poco bestiame. Coltivare a vigna detto terreno, piantarvi grano, alberi fruttiferi non conviene pure pensarci: l'altitudine ed il clima l'intercedono. Dissodando con la perseveranza si riuscirebbe ad ottenere una scarsa raccolta di legumi. Porre quindi in un simile deserto dei contemplativi era votarli all'austerità: avrebbero vissuto frugalmente. Sfruttare razionalmente le selve? Impossibile: come portar via il legname? Per quali vie? Solo nel XVII secolo i Certosini potranno attendere alla silvicultura in modo redditizio. 

Per poter vivere rimanevano dunque la coltivazione dei campi nel modo limitato che si è detto e l'allevamento di pochi greggi...  Più in là si scopriranno giacimenti di ferro in quelle montagne. Ma per lunghissimi anni si considerò cosa illusoria far vivere in quel deserto più di trenta persone; inoltre conveniva che i << Fratelli >> fossero più numerosi dei << Padri >>; gli operai più numerosi dei contemplativi. Nel tempo in cui stendeva le Consuetudines, Guigo fissava il numero dei componenti la Comunità a tredici padri e a sedici fratelli. Quando poi si volle accrescere il numero dei << Certosini >> di Certosa fu necessario acquistare delle terre più giù, verso la pianura. Ecco dunque un primo, importante aspetto primitivo della Certosa. La sua fondazione non aveva nulla in comune con quella forma di eremo sostenuto da qualche cenobio abbastanza saldamente costituito, quale in quel tempo diffondevasi sotto l'impulso dell'Ordine Camaldolese. 

Bruno voleva l'eremo puro, vale a dire la solitudine in senso stretto, attenuata solo da un pò di vita comune: inoltre la comunità sarebbe stata poco numerosa, ed anche negli esercizi comuni gli eremiti avrebbero serbato il sentimento d'esser il << parvus numerus >>. Il clima, soprattutto la neve particolarmente abbondante in Certosa, ed il freddo rigido imporranno a Bruno una risoluzione riguardo ad un punto importante dell'abitazione. Per armonizzare le esigenze della solitudine con la regolarità della vita comune, due soluzioni gli si presentavano: distanziare il più possibile una cella dall'altra, al fine di favorire la solitudine; oppure raggrupparle per facilitare la vita comune. Il clima indusse Bruno a prendere una via di mezzo: le celle sarebbero state nettamente separate, ma vicine le une alle altre e collegate tra loro o coi luoghi destinati agli atti conventuali da un chiostro coperto, al fine di poter circolare al riparo dalla pioggia e dalla neve. 

Ciò dimostra che nel pensiero di Bruno gli eremiti avrebbero dovuto esser chiamati a radunarsi abbastanza spesso, più volte al giorno, per qualche Ufficio o capitolo od anche per un pasto in comune. Se detta disposizione della casa non avesse corrisposto al suo disegno di vita contemplativa, Bruno avrebbe potuto modificare il sito delle celle senza abbandonare il deserto di Certosa: egli, ad esempio, non temerà di fare prender dimora ai conversi a più di tre chilometri dalle celle degli eremiti, ad un'altitudine di 300 metri più bassa, maggiormente soleggiata ed ove più presto fonde la neve.

Continua...

Andrè Ravier 


                                                                        LAUS  DEO 


                                                        Francesco di Santa Maria di Gesù 

                                                                Terziario Francescano

domenica 16 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE SESTA prima.


                                                              IL DESERTO DI CERTOSA 

<< Maestro Bruno ed i suoi confratelli cominciarono ad abitare l'eremo in cui era fissato i limiti e ad innalzare gli edifici l'anno 1084 dell'Incarnazione del Signore e quarto dell'episcopato di Mons. Ugo di Grenoble >>. Lo studio critico dei documenti pone detta presa di possesso verso la festività di San Giovanni Battista, vale a dire nella seconda metà del mese di giugno: d'altronde, per stabilirvisi era quello il tempo più opportuno, imposto dalle condizioni climatiche. Guigo nella sua Vita di sant'Ugo di Grenoble con una relazione troppo sobria per i nostri gusti, ma molto precisa, così narra l'arrivo di Bruno e dei suoi compagni: << ... Ecco arrivare maestro Bruno, celebre per il suo religioso fervore e la sua scienza, quasi una personificazione dell'onestà, della gravità e della piena maturità. 

Aveva come compagni maestro Landuino (che dopo di lui fu priore di Certosa), Stefano di Bourg e Stefano di Die (i quali erano stati canonici dell'Ordine di San Rufo e, desiderosi di vita solitaria, si erano a lui uniti col consenso del proprio abate); inoltre Ugo, da essi soprannominato il cappellano, perché nel gruppo egli solo adempiva le funzioni sacerdotali; due laici che chiamiamo conversi, Andrea e Guerrino. Essi cercavano un luogo adatto alla vita eremitica e non erano ancora a trovarlo. Con la speranza di riuscirci ed attratti altresì dalla fama di santità di lui, erano venuti dal virtuosissimo pastore (Ugo). Egli li ricevé non solo con gioia, ma anche con sentimenti di deferenza; si interessò di essi ed appagò il loro desiderio. Infatti col consiglio, l'aiuto e la guida di lui entrarono nella solitudine di Certosa e vi stabilirono. 

Verso quel tempo invero il vescovo aveva visto in sogno Dio erigere a sua gloria una dimora in detta solitudine ed altresì sette stelle indicargliene il cammino. Sette: tale precisamente era il numero dei componenti il drappello formato da Bruno e dai suoi compagni. Pertanto di buon grado egli raccolse i progetti non solo di codesto primo gruppo, ma altresì di coloro che successero ad essi; e fino alla morte coi suoi consigli e benefici favorì gli eremiti di Certosa >>. 

Il testo riferito, conviene riconoscerlo, non soddisfa la nostra curiosità; ci lascia nell'incertezza riguardo a parecchi punti per noi interessanti. In particolare, non ci dice se i compagni di Bruno erano venuti con lui da Sèche-Fontanie: la qual cosa ci sembra più probabile, tanto l'idea di eremo strettamente solitario era estranea all'ideale religioso di Bruno. Nondimeno può darsi che l'uno o l'altro si sia unito al gruppo durante il viaggio. Non è escluso, ad esempio, che i due canonici dell'Ordine di San Rufo abbiano conosciuto Bruno soltanto il giorno in cui sostò nel priorato di detto Ordine e la Cote Saint-André, lungo la strada che da Sèche-Fontanie conduce a Grenoble. Ma, nonostante le cose omesse, il testo di Guigo rimane per noi estremamente prezioso. 

Esso ci conferma che Bruno nel giungere a Grenoble non aveva alcuna idea della ragione in cui avrebbe fondato il suo eremo; cercava solo << un luogo adatto alla vita eremitica >>. Egli cerca l'idea della vita eremitica è chiara, ma non sa dove l'attuerà. << Spera di trovar detto luogo nella diocesi di Ugo, ricca di montagne e di foreste, ma non ne è certo. Per altro è convinto che troverà in Ugo un autentico uomo di Dio, il quale comprenderà il suo disegno, il cui contatto e le conversazioni, a pari di quelle di Roberto di Molesmes stimoleranno il suo fervore. Bruno ed i suoi compagni prendono infine dimora nel deserto di Certosa non per aver essi medesimi scelto quel luogo, bensì perché Dio stesso glielo determina mediante il Vescovo Ugo. Il sogno profetico di questi resiste infatti alle più esigenti analisi critiche. 

Guigo è a tal riguardo un testimone autorevolissimo, poiché per ventisei anni fu l'amico ed il confidente di Ugo di Grenoble: egli ha appreso tale particolarità dal vescovo stesso, senza intermediario. D'altro canto Guigo appare allo storico come il tipo perfetto del testimone critico e sincero; la sua sincerità è incontestabile: egli si mostra sempre ponderato, prudente. Riguardo poi ai miracoli è estremamente riservato: la vita di Sant'Ugo, che redige per espressa richiesta dal Papa Innocenzo II, le scrive precisamente come una vita santa priva di miracoli. Se si riferisce il sogno delle sette stelle, lo fa perché non ha potuto crederci lui stesso. Possono, dunque, non ammettere detto sogno solo coloro che a priori dichiarano impossibile ogni fenomeno mistico straordinario. 

Il seguito degli avvenimenti, tutta la storia spirituale dell'Ordine dei Certosini attestano d'altronde l'importanza del compito che ha avuto il paesaggio di Certosa sullo stile stesso di vita Certosina. Profonde e determinanti relazioni si stabilirono tra quel paesaggio e detta vita. Abbiamo già seguito il piccolo drappello che un mattino di giugno del 1084 lasciò la residenza episcopale di Grenoble dirigendosi per la strada  del Sappey e del Colle di Portes verso Saint-Pierre de Chartreuse. Lo abbiamo visto oltrepassare la Cluse all'ingresso del deserto e spingersi fino alla punta estrema della stretta valle di Certosa. Fu la presenza d'una o più sorgenti  a indurre Bruno e i suoi compagni a risalire fino a quell'angusto fondovalle? Fece forse Bruno, come han detto alcuni, scaturire la sorgente là dove antecedentemente aveva risolto di stabilirsi? 

Probabilmente né l'uno né l'altra cosa. Sorgenti poteva trovarne altre e più abbondanti nella valle, ad esempio quella bella e ricca di Mauvernay che determinò la scelta da parte di Guigo del sito dell'odierna Certosa. quanto al miracolo della sorgente, esso fa parte del folclore della santità; nessun documento lo attesta. Al contrario ha non poca importanza l'aver Bruno accettato, ricercato quell'ambiente, il clima, l'atmosfera, quel succedersi di stagioni e temperature di cui si è fatto parola: ciò manifesta in modo singolare la sua intenzione. La sua intenzione? 

Nel deserto di Certosa la si legge, con un'evidenza che stupisce, sul suolo stesso, in tutto lo scenario, nella foresta e nelle nevi. Quel fondovalle nel cuore del Massiccio di Certosa, dagli accessi difficili anche per i villaggi più vicini, dai lunghi inverni con frequenti e abbondanti cadute di neve, dai terreni poco fertili, non poteva offrire che un vantaggio: una quasi totale separazione dal mondo, una solitudine spinta all'estremo limite. Era dunque quello l'eremo in senso stretto che Bruno cercava. Ma un eremo a più eremiti: un uomo assolutamente solo non avrebbe potuto durare in simili condizioni di vita. Per accettare poi di porre in detto luogo la sua << terrena dimora >> occorreva che dal canto suo Bruno avesse un piano in cui gli scambi spirituali e umani di un gruppo servissero di contrappeso ai rischi non trascurabili della solitudine...

Continua....

Andrè Ravier 


                                                                               LAUS  DEO


                                                                Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                         Terziario Francescano

 

mercoledì 12 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - QUINTA PARTE quinta fine.


 

Quando Bruno, Pietro e Lamberto giungevano da Roberto era da poco stata donata all'abbazia una località chiamata Sèche-Fontanie, e non era utilizzata. Trovavasi a circa 8 chilometri dal monastero: abbastanza lontana da poter i suoi abitatori sentirsi ben distinti dai Benedettini di Molesmes e abbastanza vicina da facilitare la relazione con l'abbazia e soprattutto col suo santo abate. La foresta poi di Fiel che circondava Sèche-Fontanie non offriva foorse grande possibilità di condurvi vita eremitica? Eremiti o gruppi di eremiti già si erano rifugiati in più punti di essa. 

A Sèche-Fontanie quindi, col consenso di Roberto, Bruno prendeva dimora coi compagni, conducendovi vita eremitica: ivi << heremitice vixerant >>, dice une delle due Carte di Molesmes che riferiscono gli inizi di Sèche-Fontanie. Quanto Tempo durò detta fase della vita di Bruno? Al massimo tre anni, al minimo un anno, secondo quando avvenne la partenza di Reims. In ogni ipotesi un tempo abbastanza lungo da permettere ad altri discepoli di raggiungerli ed anche alle relazioni spirituali e temporali con l'abbazia di Molesmes di presentarsi ad essi in un modo nuovo. Difatti, Molesmes si sviluppa sia l'abbazia , così bene governata da Roberto, attragga gli eremiti che han preso dimora nelle foreste circostanti e ne provochi l'aggregazione a se stessa, sia che per accogliere le numerose vocazioni fondi nuovi priorati nelle vicinanze. 

Inevitabile sarebbe giunto il giorno in cui Molesmes con lo stesso suo modo di crescenza avrebbe posto agli eremiti di Sèche-Fontanie la scelta tra la vita cenobitica, mediante il loro congiungimento con l'abbazia, e la vita eremitica. Difatti, l'opzione non tardò ad essere posta, e gli eremiti, ai quali si erano uniti alcuni discepoli, non si trovarono d'accordo sulla risoluzione da prendere. Pietro e Lamberto scelsero Molesmes; essi rimasero nel territorio di Sèche-Fontanie ove costruirono, sul modello del priorato benedettino, una chiesa, che sarà solennemente consacrata dal vescovo di Langres nel 1086, ed altri edifici per la vita di comunità. 

Risoluzione libera, saggia, presa seguendo gl'impulsi dello Spirito Santo, e conforme a tante evoluzioni di quel tempo. Il passaggio dall'eremitismo al cenobitismo, come del resto il movimento inverso, non era cosa rara in quel tempo. Ma Bruno ha in sé un altro ideale di vita religiosa: lo Spirito di Dio lo spinge verso il << deserto >>; sceglie quindi l'eremo. Ed eccolo che, certamente con alcuni compagni, lascia Sèche-Fontanie e va in cerca di un luogo adatto all'attuazione del suo disegno. Detta separazione si fece nella verità e nella carità. Roberto e Bruno non cessarono di serbare l'uno per l'altro una profonda stima. Dopo la morte di Bruno in Calabria il rollifero passerà per l'abbazia di Molesmes che tributerà al già eremita di Sèche-Fontanie un caloroso elogio; nel Titolo Funebre che stenderanno per lui (n. 40) i monaci neri chiameranno Bruno: << familiarissimus noster >>, << nostro grandissimo amico >>. E forse non è vietato di scorgere dietro quel superlativo la mano stessa di Roberto: difatti questi, che nel 1098 avevano lasciato Molesmes e fondato Citeaux, nel 1099 aveva fatto ritorno a Molesmes, ove doveva rimanere fino alla morte che avvenne nel 1110 o 1111. 

Nel 1111, anno della morte di Bruno, trovavasi dunque lì allorché veniva affidato al rotolo funebre l'attestato dell grandissima amicizia dell'abbazia di Molesmes per Bruno... Checché ne sia, la nuova partenza di Brunoi, la partenza da Sèche-Fontanie, illumina in modo singolare per noi la sua vocazione: monaco, egli non è fatto per la vita cenobitica, vuole la solitudine, il  << Mònos sun Mòno >>, la solitudine con Dio: ecco quel è il vero appello dello Spirito Santo che si fa udire nella sua anima e nella sua vita. Egli riprese quindi il cammino verso sud, dirigendosi alla volta di Grenoble e delle Alpi, a più di 300 chilometri da Molesmes. Si ignorano le ragioni di tale scelta. L'unica cosa che verosimilmente possa affermarsi e che Ugo, vescovo di Grenoble, e Bruno senza essersi mai incontrati si conoscevano e si stimavano. Ugo era stato a fianco di Ugo de Die, Legato del Papa al Concilio di Lione, ove venne giudicato e deposto Manasse, arcivescovo di Reims, al principio del 1080; ed il nome di Bruno dové esser assai sovente pronunziato in presenza del giovane vescovo di Grenoble. 

D'altro canto Bruno, che attentamente seguiva tutto ciò che concerneva l'azione del Legato Ugo de Die, doveva aver sentito parlare di Ugo di Grenoble, della lotta coraggiosa del giovane vescovo ingaggiata in diocesi per riformarla secondo gli intenti di Gregorio VII e del suo Legato.  Con la sua abituale concisione Guico ci dà la vera ragione che spinse Bruno a cercare un luogo eremitico nelle foreste del Delfinato: << suavi sanctae conversationis eius odore trahente, ad virum sanctum (Hugonem) venerunt (Bruno et socii eius )... Attratti dalla sua fama di santità, Bruno ed i suoi sei compagni si recarono dal piissimo vescovo di Grenoble >>. Ai primi di giugno del 1084 Bruno ed i suoi sei compagni giungevano a Grenoble. Una meravigliosa e misteriosa avventura cominciava per essi... 

Andrè  Ravier 


                                                                          LAUS  DEO


                                                           Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                    Terziario Francescano


domenica 9 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - QUINTA PARTE quarta.


 

Scelta radicale, assoluta, che va ben ponderata se si vuol conoscere la grandezza del cuore di Bruno. Osar da solo affrontare un prelato che è riuscito a giustificarsi dinanzi alle autorità della Chiesa Romana, dinanzi al Papa, e che, con una mano che sembra sincera, vi offre la possibilità d'una riconciliazione è dar prova d'un singolare amore della verità, della giustizia, dell'onestà. Chi così agisce è un uomo che sa già contentarsi  di Dio: per lui la solitudine non è più un esilio, bensì la pienezza della fede viva e della carità: << Il Signore renderà il suo deserto ameno come un Eden e la sua solitudine come un giardino di Dio. Vi si troverà la gioia e l'allegrezza, l'inno di ringraziamento e voci di lode ( Is 51, 3 ) >>.

 Conoscendo il carattere e la grazia di Bruno, non è cosa certa che un giorno gli sia costato di più il rifiuto della sede arcivescovile di Reims che il troncar le relazioni con l'arcivescovo trionfante. In ogni modo, la sua coscienza il problema si poneva in altri termini. Egli aveva lottato per la giustizia e la verità. Manasse scacciato da Reims, per Bruno la lotta era terminata; ora che le circostanze erano favorevoli bisognava che sciogliesse il voto fatto nel giardinetto di Adamo e partisse per una nuova solitudine, la solitudine monastica, più precisamente la solitudine del deserto. 

Come avvenne la sua partenza da Reims? Tace al riguardo la storia. Alcuni biografi dicono che per sottrarsi all'episcopato dovette nascostamente << fuggire >> dalla città. Altri ( la cui affermazione purtroppo sembra gratuita ) lo mostrano che distribuisce  tutti i suoi averi ai poveri prima della partenza, e gli fan prender commiato dal clero r dal popolo remese con un magnifico sermone: << Egli commentò la massima che aveva fatto sua: " Ho volto in mente gli anni eterni, son fuggito lontano e mi son fermato nella solitudine " . Parlò con tanta forza, unzione ed autorità, l'impressione che produsse fu sì viva e profonda che alcuni degli uditori si mostrarono pronti a seguirlo. Tra gli altri la storia fa il nome di Pietro di Béthune e Lamberto di Borgogna che sostituirono così Fulcius ( Fulcoio ) e Rodolfo Le Verd >>. 

Certo è che rinunziando alla sede arcivescovile remese offertagli e scegliendo la solitudine  e << le cose eterne >> Bruno agiva con piena cognizione di causa. Egli aveva esperienza di quanto lasciava, e quale esperienza! E fuor di dubbio che la tremenda crisi di Reims si profilerà nello sfondo delle esortazioni, in apparenza troppo severe, che farà a Rodolfo Le Verd: << Non ti trattengono le fallaci ricchezze che non riescono a sopprimere la nostra indigenza, né la dignità di prevosto che non può essere esercitata senza gran pericolo per l'anima. Poiché convertire in proprio uso beni altrui, di cui sei solo amministratore e non proprietario, è - sia detto con tua pace - un atto tanto odioso quanto ingiusto. 

Che se sarai desideroso di splendore e di gloria e vorrai avere servitù numerosa, quando verranno a mancare i tuoi beni legittimi non sarà forse necessario che in un modo o nell'altro debba sottrarre agli uni quel che darai agli altri? >>. In tal consigli riecheggia ancora tutta la storia dell'episcopato di Manasse I.... ed in certo senso la storia d'una gran parte della Chiesa di quel tempo. Quale precisamente era l'intenzione di Bruno nel far voto coi due compagni nel giardinetto di Adamo, o alcun tempo dopo nell'allontanarsi da Reims? Qual forma di vita si era risolto di abbracciare? Il suo disegno era già preciso? Per farci luce sui codesti delicati quesiti non abbiamo che le parole della lettera a Rodolfo Le Verd ( scritta più di dieci anni dopo la fondazione della Certosa ): << Disposuimus... fugitiva saeculi renquere et aeterna captare, necnon monochicum habitum recipere >>. 

Se ci si ricorda che quest'ultima espressione in quel tempo non significava che << abbracciare la vita monastica >>, senza alcuna determinazione della sua forma cenobitica od eremitica, la lettera a Rodolfo Le Verd ci indica solo due punti certi dell'intenzioni di Bruno e dei suoi compagni: il proposito di << abbandonare le vanità del mondo per conseguire i beni eterni >>, vale a dire la volontà di lasciare da parte ogni occupazione e relazione secolare per consacrarsi unicamente alla vita divina della Grazia. Certo avremmo desiderato di sapere se Bruno fin dalla partenza da Reims o, meglio ancora, fin dalla conservazione nel giardinetto di Adamo avesse determinato lo stile di vita che doveva essere il suo in Certosa: Tale certezza farebbe luce in modo singolare sulla tappa << Séche-Fontaine >> del suo itinerario verso la Certosa, di cui fra breve trarremo; ma conviene che ci contentiamo di quel che abbiamo, cioè dei documenti riguardanti Séche-Fontanie: essi ci illumineranno al contrario del suo disegno. 

Nondimeno, già siamo certi di un fatto: Bruno non sceglierà una forma di vita monastica che lo avrebbe lasciato in contatto con i fugaci beni del secolo - << fuggitiva saeculi >> - ed i cui obblighi avrebbero potuto distoglierlo dall'<< aeterna captare >>, dal conseguire quelli eterni. Nella sobrietà stessa di codeste due espressioni vi è un'intransigenza, un desiderio di assoluto che rimuove dal suo disegno tutto ciò che potrebbe compromettere la purezza della vita monastica. Un giorno con esattezza non precisabile, ma che va posto tra il 1081 ed il 1083, Bruno con due compagni Pietro e Lamberto, lasciava Reims avviandosi verso sud in direzione di Troyes. Lì alla distanza di circa 150 chilometri da Reims - 40 chilometri a sud-est di Troyes - a Molesmes dalla fine del 1075 v'era un'abbazia il cui abate, Roberto, godeva gran reputazione di saggezza e di santità. Egli aveva raggruppato a sé alcuni eremiti della foresta di Collan ( presso Tonnerre ) formandoli alla vita benedettina. L'abbazia era povera: nel 1083 il vescovo signore di Langres doveva rivolgersi ai suoi vassalli per salvare il monastero dalla miseria condizione in cui era caduto. E nondimeno detta povertà favoriva il fervore dei monaci...

Continua...

Andrè ravier 


                                                                             LAUS  DEO


                                                              Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                       Terziario Francescano

giovedì 6 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - PARTE QUINTA terza

 


L'ultima dote che sembra aver colpito coloro che lo han visto vivere a Reims e dal conte Ebal è la << probità >>: egli è << vir egregiae probitatis >>, l'uomo d'una singolare probità; mai si coglie in fallo tale probità ed essa conferisce a Bruno una reputazione d'integrità, di rettitudine, d'equilibrio, di fedeltà, di onestà che nessuna prova, neppure la sua contesa con Manasse, riesce a compromettere; << il suo spirito era inaccessibile allo scoraggiamento nelle prove come alla presunzione nella prosperità >>. Egli era veramente il << giusto di Dio >>. Codesto equilibrio tra la sua celebrità di Dottore e la propria vita morale va cercato, senza tema di sbagliare, nella sua fede, una fede viva che lo riempie di amor di Dio, una pietà nel puro senso del termine << purae pietatis amator >> : << Ipse pius, simplex, plenus Deitatis amore, impiger et mundus fuit, omni dignus onore >>. Egli domina il suo tempo; è l'Uomo secondo Dio, perché, al di sopra delle cose del mondo aderisce a Colui che ha creato il mondo: << Exit ex mundo Vir, mundi spretor,  ad Illum qui mundum fecit >>. una sola espressione sintetizza tutta codesta ammirazione: egli fu l'onore del clero tutto, << totius cleri decus >>. Ancora una volta, in tali elogi va tenuto conto del genere letterario e dell'amplificazione poetica. Ma se si rileggono i 178 Titoli Funebri, non si può non notare una tonalità e soprattutto delle dominanti che s'impongono; tanto più che i commossi e più commoventi di detti Titoli sono precisamente quelli mediante i quali gli autori, senza usar la forma poetica, han detto in semplice posa quanto volevano esprimere. Di fronte a tali attestati si comprende quale spirituale irradiazione  bruno esercitasse sui propri discepoli. Non solo la sua erudizione o la profondità del pensiero attiravano attorno alla sua cattedra la gioventù studiosa remese o lo univano in amicizia con tanti contemporanei, ma altresì la sua vita, la sua persona. Da lui attendevasi quella << scienza che si volge in amore >>. con una espressione semplicissima, ma quanto mai ricca e significativa allorché si conoscono gli atti di severità di Ugo di Die, il Legato manifestava le doti, si potrebbe dire il carisma, la grazia particolare di Bruno: << Dominum Brunonem... in omni honestate magistrum >>. La si potrebbe tradurre: << Il signor Bruno è Maestro in tutto ciò che onora " l'uomo nell'uomo >>; od anche: << Il signor Bruno è Maestro in tutto ciò a cui gli uomini rendono omaggio in un uomo >>. Dette doti di Bruno, già manifestatesi in tutto il suo modo di condursi durante l'episcopato di Gervasio assunsero ovviamente maggior risalto - a così dire, per contrasto - dopo l'occupazione della sede episcopale in Reims da parte di Manasse. Bruno << in omni honestate magistrum >> faceva tanto più contrasto al prelato simoniaco e prevaricatore in quanto lo stesso prevosto dei canonici, Manasse non era indenne da simonia e se n'era pubblicamente accusato. Dello stato di cose in cui, suo malgrado, si trovava preso, Bruno non poteva non avere coscienza, Né poteva non soffrirne profondamente, anzitutto nel suo amore per la povertà, la carità, la giustizia, l'onestà, ed altresì nel suo amore per la Chiesa: la miseria morale di un Manasse I, quel decadimento dello spirito evangelico in un arcivescovo responsabile di una delle Chiese più importanti della Francia non poteva provocare nell'illibato, intransigente Bruno che una delle sue reazioni: la resistenza o l'evasione verso una vita più pura. Sulle prime scelse la lotta, ma, una volta che questa avesse ristabilito pressa poco l'ordine , quell'esperienza dell'umana mediocrità non lo avrebbe forse spinto a cercare nella solitudine, dico, senza che venga necessariamente precisata la forma secondo cui essa sarebbe vissuta. La necessità in cui egli si trovò di dover lasciare Reims per le terre del conte Ebal, le nuove audacie dell'arcivescovo Manasse, le astuzie mediante le quali questi riusciva a ritardare la punizione che lo minacciava, tutto quell'insieme d'intrighi dovette singolarmente confermare Bruno nei suoi sentimenti. Più lo stato di cose si aggravava, più egli si sentiva ad un tempo obbligato a condurre la lotta e attirato dalla solitudine. Tale intima tortura giunse di certo al parossismo verso la fine del 1079, tempo in cui il prevosto Manasse accettò di riconciliarsi con l'arcivescovo, traendo con sé tutti i canonici esuli, tranne Bruno e Ponzio, come ci è reso noto dall'apologia. Restar solo con Ponzio in esilio, nella resistenza all'arcivescovo, quando questi sembrava nuovamente riconciliato con Roma e quindi vittorioso di tutti i suoi oppositori!... quale caso di coscienza! Ma Bruno è troppo avveduto da poter cadere nelle insidie dell'arcivescovo, troppo onesto da poter accettare checché abbia parvenza di compromesso, meno ancora di atto compromettente... Egli ricusa; si ricusa a rischio di perdere definitivamente i propri beni, gli amici, i discepoli, i vincoli che lo univano alla Chiesa remese e forse la stima del Vicario di Cristo. 

Continua....

Andrè Ravier 


                                                                                    LAUS  DEO 

                                                                    Francesco di Santa Maria di Gesù
                                                                              Terziario Francescano

martedì 4 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - QUINTA PARTE seconda

 


Checché ne sia, la conversazione riferita da Bruno è una vetta nella storia della sua vocazione, uno di quei momenti sublimi e pieni, uno di quei tempi forti a cominciare dai quali si può contemplare l'interiorità di un'anima e rilevarne le diverse modalità. Per Bruno ed i suoi due compagni detto momento è un momento << di fuoco >>: << accesi di Divino Amore >> - << Divino Amore ferventes >> - i tre uominis'impegano di abbandonar ogni cosa per << aeterna captare >>, per << cercare di conseguire l'eterno >>. Ma a tale fervore Bruno non giunge senza che la sua anima vi sia disposta sotto l'azione della Grazia di Dio... A voler supporre- cosa ci stupirebbe non poco - che la conversazione nel giardino di Adamo siasi svolta prima che i canonici << oppositori >> si fossero rifugiati dal conte Ebal, non si potrebbe ragionevolmente farla risalire oltre l'anno 1076. Orbene, in detto tempo nella vita di Bruno tutto manifestava e confermava l'orientazione della sua anima verso un'assoluta ricerca di Dio. Di fronte a parecchie e gravi opzioni della sua esistenza egli aveva deliberatamente scelto Dio con una intransigenza  ed un'integrità significativa: aveva consacrato gli anni della giovinezza e della maturità allo studio, e poi all'insegnamento della Sacra Scrittura; non solo aveva abbracciato lo stato clericale, ma aveva altresì accettato il canonicato nella forma allora in uso della cattedrale di Reims, ed in tale carica aveva dato prova di virtù di cui è pervenuto l'attestato attraverso i Titoli Funebri. Molti di tali titoli provengono infatti da persone o gruppi di persone che non hanno conosciuto Bruno se non prima della sua partenza per Sèche-Fontaine; e dai loro elogi si può ricomporre un profilo donde, anche tenendo conto della esagerazione agiografica, spicca una personalità pura e forte. Codesta sua personalità sta tutta in un contrasto: Bruno era un << Dottore >> eminente, e nondimeno era molto buono, prudente, semplice e retto. Abbiamo già parlato di lui << Maestro >>; quasi tutti i Titoli lo celebrano << Doctor Doctorum >>, l'espressione ricorre più volte; egli è la gloria di coloro che insegnano: << decus magistrorum >> talvolta l'elogio assume una forma abbastanza ardita: egli è il Dotto Esegeta dei Salmi ed un filosofo chiarissimo: << Doctus Psamistam clarissimus atque sophista >>; la gloria di Platone rimane offuscata delle lodi meritate dell'insegnamento di Bruno; questi non solo superava tutti i dottori, ma << formava eccellenti Dottori, e non dottori dappoco; fu il Dottore tra i Dottori, e non tra i semplici docenti >>, << faciebat summos Doctores, non istituendo minores; doctor doctorum fuit, non clericulorum >>. Talune espressioni sono quasi intraducibili: << Lumen et ordo viae ducentis ad alta sophiae >>, << exemplar quoque veri >>; l'idea di << verità >> ricorre più volte: Bruno era la << norma veri dogmatis >>: con lui ci si sentiva di procedere con sicurezza di dottrina e di esser nella verità del domma; la sua parola toccava il cuore ancor più che lo spirito: egli fu lo splendore dell'eloquio << splendor sermonis >> e, di conseguenza, la << Luce della Religione >> << Lux Religionis >>; << per suo merito, afferma uno degli autori dei Titoli, son divenute dotte tante persone che la mia mente non riesce a ricordare né la mia penna ad esprimere >>. Ma a tanta scienza, a tanti prosperi successi, a sì grande gloria faceva contrasto il carattere di Bruno. Anzitutto la sua straordinaria bontà, << bonus >>, il termine ricorre come come un ritornello in detti componimenti poetici dedicati alla sua memoria; << bonus >> per lui è quasi un soprannome << dictus Bruno bonus >>; la sua sua gioia sta nell'amicizia, egli desidera di essere amato << se cupiebat amatum >>; abbiamo altrove citato il magnifico attestato di fedeltà di Maynard di Corméry. Alla bontà Bruno univa la prudenza: << prudens >>, << prudentia >> son questi altresì dei termini che veramante qualificano; prudenza nelle parole, il che conferiva ad esse un accento incantevole: << floruit in mundo vir prudens ore profundo >>; prudenza nei consigli, prudenza nel modo di condursi, che creava attorno a lui come un clima morale elevatissimo: << informatio morum >>, << decus et prudentia mundi >>, << integritas morum >>, e gli conferiva un tal quale primato nella città di Reims: << maior in urbe >>. E tutto questo in una grandissima semplicità: << vir semplex >> , << simplex ut agnus >>, si potrebbero spigolare tante espressioni del genere nei Titoli Funebri. Detta semplicità d'animo si manifesta in tutta la sua vita ed in particolar modo al momento della partenza da Reims: egli dimostra allora il suo distacco, la sua rinunzia: << calcator opum >>, per quelli che lo hanno conosciuto, Bruno rimane colui che calpestò tante ricchezze , tanti onori; anche qui l'ammirazione crea espressioni poetiche intraducubili: << Pauper Bruno factus iter, quorum fuit ante magister >>. 

Continua....

Andrè Ravier 


                                                                         LAUS  DEO


                                                                          Francesco di Santa Maria di Gesù

                                                                                    Terziario Francescano

sabato 1 febbraio 2025

IL PATRIARCA DEI CERTOSINI SAN BRUNO - QUINTA PARTE prima


 DAL GIARDINO DELLA CASA D'ADAMO A SECHE-FONTAINE

Scrivendo tra il 1096 ed il 1101 - pertanto una ventina di anni dopo il periodo di tempo di cui trattiamo - all'amico Rodolfo Le Verd, prevosto del capitolo metropolitano di Reims, Bruno ci dà indicazioni assai preziose sulla propria vocazione: << Ben ti rammenti, mio caro, trovandoci insieme io, tu e il Fulcoio il Monocolo nel giardino adiacente alla casa di Adamo ove ero allora ospitato, abbiamo un po' di tempo parlato, mi pare, dei falsi piaceri e delle caduche ricchezze di questo mondo, come altresì dei gaudi dell'eterna gloria. Per cui, accesi il Divino Amore, promettemmo , facemmo voto e disponemmo di abbandonare quanto prima i fugaci beni del secolo per conseguire quelli eterni, e di ricevere l'abito monastico. Avremmo presto messo in atto il nostro proposito, se non si fosse differito al ritorno di Fulcoio, che allora si era recato a Roma. Indugiando questi a tornare ed essendo sopravvenuti altri motivi, venne meno il coraggio ed il fervore svanì >>. tale relazione è tanto mirabile quanto più rari i documenti certi concernenti la vita di San Bruno. Ecco un irrefutabile attestato se uno dei momenti più determinati della orientazione spirituale di Bruno. Sovente avremo di riconoscere l'importanza di quanto ci rivela tale confidenza e, in generale, la lettera a Rodolfo La Verd; per altro occorre che dapprima ci rendiamo contodi ciò che essa non ci manifesta. Ed anzitutto Bruno non dice nulla che ci consenta di determinare il tempo in cui avvenne quella conversazione. << Il giardinetto adiacente alla casa di Adamo >> senza dubbio ricorda la disposizione delle abitazioni dei canonici di Reims. La conversazione, dunque, si sarebbe svolta o prima dell'esilio dei canonici presso il conte Ebal, ovvero al loro ritorno. Prima dell'esilio? E' poco propabile: che cosa avrebbe impedito a Bruno di attuare fin da quel momento il proprio disegno? Al ritorno dell'esilio? Nulla di probativo scarta tale ipotesi. Nondimeno il testo contiene una piccola frase che rimane ad un tempo significativa e misteriosa. Al momento dell'incontro Bruno è << ospite >> di Adamo: << ubi tunc hospitabar >>; ed è ospite un po' stabile, non venuto per una semplice visita: Adamo infatti non assiste alla conversazione e Bruno riceve liberamente i due amici, di cui uno, Fulcoio, potrebbe d'altro canto essere il fratello stesso di Adamo. Tutte codeste circostanze sembrano indicare che la conversazione non si svolse a Reims, bensì un luogo ove, per una ragione che ignoriamo - semplice riposo, viaggio od esilio? - Bruno in quel tempo era ospitato. Pertanto non è prudente determinare con troppa precisione il tempo in cui avvenne codesto elevato colloquio spirituale tra Bruno , Rodolfo La Verd e Fulcoio il Monocolo. Tutto quello che si può affermare è che le circostanze erano tali che, se non fosse stato per il viaggio di Fulcoio a Roma, i tre amici avrebbero rinunziato al mondo << in vicino >> , vale a dire poco dopo il loro incontro da Adamo. L'incertezza riguardo al tempo dell'incontro, se non infirma per nulla l'intrinseco valore del documento, presenta tuttavia alcuni inconvenienti per il biografo che vorrebbe cogliere in detta risoluzione la profonda psicologia di Bruno, conoscere l'insieme dei suoi motivi e come registrare l'azione della Grazia in lui. La conversazione dei tre amici è segnatamente di Bruno sui << falsi piaceri e le caduche ricchezze di questo mondo, ed i gaudi della gloria eterna >>, sui << fugaci beni del secolo e su quelli eterni >>, la loro promessa, il voto, la risoluzione presa: tutto codesto insieme evidentemente non ha la stessa risonanza per noi che siamo portati a  scorgere differenti stati d'animo sotto quelle espressioni, a seconda che: a) i tre amici godono ancora tranquillamente a Reims dei propri beni e delle prebende canonicali, b) ovvero si trovano in esilio privi di cariche e di beni, c) o, infine, hanno recuperato tutti gli onori e tutti i loro beni dopo la caduta del vescovo Manasse... Quanto a Bruno ci domandiamo più precisamente: era egli in quel tempo cancelliere  e direttore degli studi a Reims, ovvero insieme al prevosto ed alcuni canonici si opponeva all'arcivescovo prevaricatore? - gli si opponeva senza il prevosto e col solo Ponzio? - ovvero era alla vigilia d'esser stato eletto arcivescovo di Reims? Secondo la risposta data, qualora si potesse, a tali interrogativi è ovvio che la conversazione nel giardinetto di Adamo assumerebbe toni abbastanza differenti. E non solo la conversazione, ma altresì la storia della grazia nell'anima di Bruno. Bisogna che ci contentiamo di quanto oggettivamente ci offre il testo e che rinunziamo a datare il colloquio. Per quanto istantanea ci venga presentata tale tripice vocazione: << Accesi di Divino Amore, promettemmo, facemmo voto e disponemmo di abbandonare quanto prima... >>, sembra escluso, se trattasi almeno di Bruno, il cui equilibrio, saggezza e ponderatezza ci sono ben noti, ch'egli abbia preso una sì grave risoluzione - e l'abbia confermata con un voto - senza averla prima ponderata e maturata dinnanzi a Dio. Diversamente sarebbe stato necessario ch'egli - come altresì i suoi due amici - avesse ricevuto un impulso veramente straordinario della Grazia: cosa che certo non è impossibile; ma se tale fosse stato il caso, la narrazione verosimilmente ne avrebbe portato traccia.

Continua...

Andrè Ravier 


                                                                                            LAUS  DEO 


                                                                             Francesco di Santa Maria di Gesù


                                                                                     Terziario Francescano