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venerdì 25 settembre 2015

SAN PEDRO DE ALCANTARA - TRATTATO DELLA PREGHIERA E MEDITAZIONE - PARTE SECONDA.



SAN PEDRO DE ALCÁNTARA 
TRATTATO 
DELLA PREGHIERA E MEDITAZIONE 

Pietro d'Alcantara, (1499-1562), uno dei direttori spirituali di Santa Teresa d’Avila, fu Riformatore, e fondatore di alcune Province dei frati Scalzi di S. Francesco in Spagna. 
Il trattatello sull'orazione, fu tradotto quasi in tutte le lingue. 
Fu Canonizzato nel 1669 da Papa Clemente IX . 


COMPOSTO DAL PADRE FRA' PEDRO DE ALCANTARA FRATE MINORE DELL'ORDINE 
DEL BEATO SAN FRANCESCO, 
DIRETTO AL MAGNIFICO E DEVOTO 
SIGNORE RODRIGO DE CHAVES, 
ABITANTE DI CIUDAD RODRIGO

capitolo secondo 

 LA MATERIA DELLA MEDITAZIONE 

Visto quanto frutto portino la preghiera e la meditazione, vediamo ora quali siano le cose su cui dobbiamo meditare, al che si può rispondere che, poiché questo santo esercizio tende ad alimentare nei nostri cuori amore e timore di Dio e osservanza dei suoi comandamenti, sarà materia più conveniente di esso quella che più si confà a questo proposito. E sebbene sia vero che tutte le cose create e tutte le cose spirituali e sacre ci inducono a ciò, generalmente parlando, i misteri della nostra fede contenuti nel simbolo del Credo sono, a tal fine, più utili e vantaggiosi, poiché in esso si tratta dei benefici divini, del giudizio finale, delle pene dell'inferno e della gloria del paradiso, che sono grandissimi stimoli a muovere il nostro cuore all'amore e al timore di Dio e vi si tratta inoltre della vita e della passione di Cristo, nostro Salvatore, in cui consiste ogni nostro bene.

Queste due cose segnalatamente sono trattate nel simbolo e sono quelle che normalmente rimuginiamo nella nostra meditazione, per cui a ragione si dice che il simbolo è la materia più adeguata a questo santo esercizio, anche se, per ciascuno potrà esserlo ciò che maggiormente muove il suo cuore all'amore e al timore di Dio.

Stando così le cose, per introdurre su questa strada i neofiti e principianti (a cui conviene dare il cibo già masticato e digerito) segnalerò qui brevemente due maniere di meditazione per tutti i giorni della settimana, alcune per la notte e altre per la mattina, tratte in gran parte dai misteri della nostra fede, perché, come diamo al nostro corpo due pasti al giorno, così anche li diamo all'anima il cui cibo consiste nella meditazione e considerazione delle cose divine. 

Di queste meditazioni, alcune sono sui misteri della sacra passione e resurrezione di Cristo e le altre sui misteri che abbiamo detto. Chi non avesse tempo per raccogliersi due volte al giorno, potrà almeno meditare una settimana i primi misteri, un'altra gli altri, o limitarsi solo a quelli della passione e vita di Gesù Cristo (che sono i più importanti) sebbene non convenga trascurare gli altri, soprattutto agli inizi della conversione, perché sono i più adatti a questo tempo in cui si cercano principalmente il timore di Dio, il dolore e l'aborrimento dei peccati. 

Seguono le prime sette meditazioni per i giorni della settimana. 


Lunedì 

Potrai dedicare questo giorno all'esame dei tuoi peccati e alla conoscenza di te stesso, per vedere nell'uno da quanti mali sei affetto e nell'altra che non hai nessun bene che non provenga da Dio, che è il mezzo per raggiungere l'umiltà che è madre di tutte le virtù. Per questo, devi in primo luogo pensare alla moltitudine dei peccati della vita passata, soprattutto a quelli che hai commesso nel tempo in cui meno conoscevi Dio. Se sai guardare bene, infatti, ti accorgerai che si sono moltiplicati più dei capelli della tua testa e che sei vissuto allora come ateo che non sa nemmeno che cosa sia Dio. 

Passa quindi brevemente in rassegna i dieci comandamenti e i sette peccati mortali e ti accorgerai che non ce n'è nessuno in cui tu non sia caduto molte volte con l'opera, la parola o il pensiero. 

Pensa poi a tutti i benefici che hai ricevuto da Dio e al tempo della tua vita passata e guarda come lo hai impiegato, poiché dovrai renderne conto a Dio. Dimmi poi: come hai speso la fanciullezza? e l'adolescenza? e la giovinezza? e tutti i giorni della vita passata? In che cosa hai impegnato i sensi del corpo e le potenzialità dell'anima che Dio ti ha dato, perché tu lo conoscessi e lo servissi? In cosa hai adoperato i tuoi occhi se non nel guardare cose vane? In cosa i tuoi orecchi se non nell'ascoltare menzogne? In cosa la tua lingua se non in mille forme di imprecazioni e di mormorazioni? In cosa il tuo gusto, il tuo olfatto, il tuo tatto, se non nei piaceri e nelle blandizie dei sensi? 

Che vantaggio hai tratto dai santi sacramenti che Dio ha istituito per aiutarti? Come lo hai ringraziato per i suoi benefici? Come hai risposto alle sue chiamate? Come hai usato la salute, le forze, i doni di natura e i beni che si dicono della fortuna e le disposizioni e le opportunità di vivere rettamente ? Che cura hai avuto del tuo prossimo che Dio ti ha affidato e delle opere di misericordia che ti ha indicato? Che cosa risponderai il giorno della resa dei conti quanto Dio ti dirà: 

"Rendi conto di ciò che ti ho affidato, perché io non voglio più che te ne occupi” (Lc 16, 2) 

Oh, albero secco e pronto per l'eterno tormento! Cosa risponderai nel giorno in cui ti chiederanno conto della tua vita e di tutti i suoi istanti?

In terzo luogo, pensa ai peccati che hai fatto e fai ogni giorno da quando hai aperto gli occhi alla conoscenza di Dio e ti accorgerai che Adamo ancora vive in tè con molte delle sue radici e dei suoi vecchi costumi. Guarda come sei ribelle a Dio, quanto ingrato ai suoi doni, quanto restio alle sue ispirazioni, quanto pigro nelle opere del suo servizio, che non compi mai con quella prontezza e diligenza ne’ con quella purezza di intenzioni che dovresti avere se non altro per rispetto del mondo. 

Considera quanto sei duro con il prossimo e indulgente con te stesso, quanto amico della tua volontà, della tua carne, del tuo onore e di tutti i tuoi interessi. 

Guarda ancora come sei superbo, ambizioso, irato, impulsivo, vanaglorioso, invidioso, malizioso, amante dei tuoi comodi, volubile, volgare, sensuale, sollecito ai divertimenti e alle chiacchiere, alle risate e alle ciarle. Guarda quanto sei incostante nei buoni propositi, quanto sconsiderato nelle tue parole, sprovveduto nelle tue opere e quanto vile e pavido in ogni impresa importante. 

In quarto luogo, considera in quest'ordine la moltitudine delle tue colpe, esamina la loro gravità, per vedere come da ogni parte è cresciuta la tua miseria. 

A tal fine, devi in primo luogo considerare nei peccati della vita passata queste tre circostanze: Contro chi hai peccato, perché hai peccato e in quale maniera hai peccato. 

Se guardi contro chi hai peccato, ti accorgerai che hai peccato contro Dio, la cui bontà e maestà è infinita e i cui doni e la cui misericordia nei riguardi dell'uomo superano la sabbia del mare. E poi, perché hai peccato? Per un punto d'onore, per un bestiale piacere, per un filo d'interesse e, molte volte neppure per quello, per pura abitudine e disdegno di Dio. Ma in che modo hai peccato? Con tanta facilità, con tanta sfacciataggine, tanto senza scrupoli, quanto senza timore e a volte con tanta disinvoltura come se peccassi contro un Dio da burla, che non sa ne’ vede ciò che accade nel mondo. Era questo dunque l'onore che dovevi a così alta maestà? 

Questa la gratitudine per tanti doni? Così ripaghi il sangue prezioso che si sparse sulla croce e le percosse e i colpi che furono ricevuti per te? O miserabile per quello che hai perduto e ancora di più per quello che hai fatto e ancora, ancora di più se, con tutto ciò, non avverti la tua perdizione! Dopo di ciò, ti sarà di gran profitto fissare la tua attenzione sul tuo nulla, cioè sul fatto che tu, da parte tua, non hai altro che nulla e peccato, poiché tutto il resto è di Dio. 

È chiaro infatti che i beni di natura come quelli di grazia, che sono più grandi, sono suoi, sua è la grazia della predestinazione (che è la fonte di tutte le altre grazie), sua quella della vocazione, sua la grazia concomitante e sua la grazia della perseveranza e sua la grazia della vita eterna. Che hai infatti di cui poterti gloriare, se non nulla e peccato? Fermati un poco a considerare questo nulla e solo questo metti a tuo credito e tutto il resto attribuiscilo a Dio, per vedere chiaramente e tangibilmente chi sei tu e chi è lui, quanto sei povero tu e quanto è ricco lui e, di conseguenza, quanto poco devi confidare in te stesso e stimarti e quanto confidare in lui, amare lui e gloriarti in lui. 

Considera quindi tutte le cose suddette, valutati nel modo più infimo possibile. 

Pensa che non sei altro che una canna che oscilla ad ogni vento, senza virtù, senza fermezza, senza stabilità, senza nessuna consistenza. Pensa che sei un Lazzaro morto da quattro giorni, un corpo corrotto e fetido da cui tutti distraggono gli occhi per non vedere. Fa' conto di presentarti così di fronte a Dio e ai suoi angeli e sentiti indegno di alzare gli occhi al cielo, di essere sostenuto dalla terra e servito dalle creature, sentiti indegno persino del pane che mangi e dell'aria che respiri. 

Prostrati con la pubblica peccatrice ai piedi del Salvatore, col volto confuso e con la vergogna che dovrebbe patire una donna che avesse tradito il marito e, con tutto il dolore e il pentimento del tuo cuore, chiedigli perdono dei tuoi errori e implora che, per la sua infinita pietà e misericordia, acconsenta di tornare ad accoglierti nella sua casa. 


Martedì 

In questo giorno penserai alle miserie della vita umana, per poter constatare quanto la gloria del mondo sia vana e degna di disprezzo, poiché si fonda su di un debole cimento come questa miserabile vita; e sebbene i difetti e le miserie di questa vita siano quasi innumerevoli, tu puoi ora prendere in esame particolarmente questi sette. 

In primo luogo, considera quanto breve sia questa vita, dal momento che il tempo più lungo di essa è di settanta od ottant'anni, perché tutto il resto (se qualcosa resta, come dice il profeta) è travaglio e dolore (Sal 89, 10) e, se da qui si toglie il tempo della fanciullezza, che è più vita da bestiole che da uomini, quello che si spende dormendo quando non facciamo uso né dei sensi né della ragione (che ci fa uomini), troveremo che è ancora più breve di quello che sembra. E, soprattutto, se paragoni questa all'eternità della vita futura, ti sembrerà appena un istante e ti accorgerai quanto sono fuorviati coloro che, per godere di questo soffio di vita tanto breve, si dispongono a perdere la pace di quella destinata a durare per sempre. 

In secondo luogo, considera quanto incerta sia questa vita (e questa è una nuova miseria che si aggiunge all'altra), dal momento che non solo questa vita è di per sé tanto breve, ma è anche poco sicura e mutevole. Infatti, quanti sono coloro che giungono ai settanta od ottanta anni di cui abbiamo detto? A quanti viene meno la tela di cui si è appena iniziata la tessitura? Quanti se ne vanno (come si suole dire) nel fiore degli anni o prematuramente? Non sapete, dice il Salvatore, quando il vostro Signore verrà, se di mattina, se a mezzogiorno, se a mezzanotte, se al canto del gallo (Mr 13, 35). 

Ti gioverà, per renderti meglio conto di questo, ricordarti della morte di tante persone che avrai conosciuto in questo modo, specialmente tuoi amici e familiari e di qualche persona nota ed illustre che la morte colse in età diverse, spezzando tutti i loro propositi e le loro speranze. 

In terzo luogo, pensa quanto sia fragile e peritura questa vita e ti accorgerai che non c'è vaso di vetro più delicato di essa, dal momento che un soffio d'aria, un colpo di sole, una brocca d'acqua fredda, il contagio di un ammalato bastano a spogliarcene, come ci accorgiamo dalla quotidiana esperienza di molte persone cui una sola delle suddette occasioni basta per precipitare, ancora nel fiore degli anni. 

In quarto luogo, considera quanto sia mutevole la vita e come non sia mai stabilmente nella stessa condizione. E per questo devi pensare quanto facilmente mutino i nostri corpi, che non restano mai nello stesso stato di salute, le nostre anime, che sempre sono sconvolte come il mare da venti ed onde diverse di passioni e appetiti e affetti e cure che ad ogni istante ci turbano e, infine, quanti siano i cambiamenti (che diciamo) della fortuna, che non consente alle cose della vita umana di permanere a lungo, ne’ in uno stesso stato, ne’ nella stessa condizione di prosperità e gioia, bensì sempre gira da un luogo all'altro. Considera inoltre quanto ininterrotto sia il divenire della nostra vita che non si ferma ne’ di giorno ne’ di notte, ma va sempre estinguendosi. 

Che cosa è, dunque, la nostra vita, se non una candela che si spegne? Quanto più arde e risplende, tanto più si consuma. 

Che cosa è la nostra vita, se non un fiore che sboccia al mattino, a metà giornata è appassito e alla sera si secca? (Gb 14, 2) 

Proprio per questo continuo mutamento, Dio dice per mezzo di Isaia: Tutta la carne è erba e tutta la sua gloria è come il fiore del campo (Is 40, 6). 

E così commenta queste parole san Girolamo: 

"Veramente chi consideri la fragilità della nostra carne e come in ogni istante cresciamo e diminuiamo, senza mai permanere nello stesso stato e come questo momento in cui stiamo parlando, scrutando, facendo piani, già si sta allontanando dalla nostra vita, non esiterà a chiamare erba la nostra carne e fiore di campo la nostra gloria" (Super Isai XL, 6). 

Chi ora è un lattante, diventa presto un ragazzo e, da ragazzo, giovane e, da giovane, giunge tosto alla vecchiaia e si ritrova vecchio prima di aver fatto in tempo a meravigliarsi di non essere più un ragazzo. E la donna bella che attirava schiere di corteggiatori, ben presto si trova la fronte solcata dalle rughe e diventa brutta quella che prima era così amabile. 

In quinto luogo, considera quanto sia ingannevole (e questa per sventura è la cosa peggiore, poiché tanti inganna e tanti ciechi innamorati si tira dietro) poiché, pur essendo brutta, sembra bella, pur essendo amara, sembra dolce, pur essendo breve, sembra, a ciascuno la sua, lunga e, pur essendo tanto misera, sembra tanto amabile che non c'è pericolo, ne’ fatica a cui gli uomini non si sottopongano per essa, sia pure a danno della vita eterna, facendo cose per cui perderanno la vita imperitura. 

In sesto luogo, considera come, oltre ad essere così breve, (come abbiamo detto) questo poco di vita che abbiamo sia soggetto a tante miserie sia dell'anima che del corpo, da non essere che una valle di lacrime, un mare di infinite miserie. 

Scrive san Girolamo che Serse, il potentissimo re che spianava i monti e superava i mari, salendo su di un'alta montagna per veder da lì un esercito che aveva composto con tantissime genti, dopo averlo attentamente guardato, si mise a piangere e, interrogato perché piangesse, rispose: Piango perché da qui a cent'anni non sarà vivo nessuno di quelli che vedo davanti a me. "Oh, se potessimo, dice san Gerolamo, salire su qualche luogo elevato da dove potessimo vedere tutta la terra sotto i nostri piedi. Da lì potresti vedere le cadute e le miserie di tutto il mondo, popoli distrutti da altri popoli, regni da altri regni. Potresti vedere come alcuni sono torturati, altri uccisi, alcuni affogati nel mare, altri fatti prigionieri. Qui vedresti nozze, li pianti, qui alcuni uccidere, lì altri morire, alcuni navigare nelle ricchezze, altri languire nella miseria. E, infine, potresti vedere non solo l'esercito di Serse, ma tutti gli uomini del mondo che oggi ci sono e che tra poco non ci saranno più" (Ad Eliodoro, Epist. 60 n. 18, Tomo I.). 

Passa in rassegna tutte le infermità e le sofferenze del corpo umano e tutte le afflizioni e gli affanni dello spirito e i pericoli che ci sono in tutte le condizioni e in tutte le età dell'uomo e vedrai ancora più chiaramente quante siano le miserie di questa vita, poiché, vedendo chiaramente quanto poco è ciò che il mondo può darci, potrai più facilmente imparare a disprezzarlo. 

A tutte queste miserie si aggiunge l'ultima cioè la morte che è, sia per il corpo che per l'anima, l'ultima di tutte le cose terribili, poiché il corpo sarà in un attimo spogliato di ogni cosa e dell'anima si deciderà allora ciò che sarà di essa per sempre. 

Tutto questo ti farà capire quanto misera e breve sia la gloria del mondo e, di conseguenza, quanto sia degna di essere sdegnata e disprezzata. 


Mercoledì 

In questo giorno penserai al passaggio della morte, poiché questa è una delle considerazioni più vantaggiose che ci siano, sia per attingere la vera sapienza, sia per fuggire dal peccato, sia per cominciare per tempo a prepararsi alla resa dei conti. 

Pensa dunque, in primo luogo, a quanto incerta sia l'ora in cui la morte ti coglierà, poiché non sai ne’ in che giorno, né in che ora, né in che stato ti prenderà. Di certo sai solo che devi morire. Tutto il resto è incerto, salvo che, di solito, quest'ora sopraggiunge nel tempo in cui l'uomo meno ci pensa e meno se ne ricorda. 

Pensa, in secondo luogo, alla separazione che allora avverrà non solo da tutte le cose che si amano, ma anche tra l'anima e il corpo, che sono uniti da sempre. Se si considera così grave sventura l'esilio dalla patria e dal luogo natio, anche quando l'esule può portare con sé tutto ciò che ama, quanto più grave sarà l'esilio universale da tutte le cose della casa e dai tuoi affari, dagli amici, dal padre, dalla madre, dai figli e da questa luce ed aria che appartiene a tutti? Se un bue si lamenta quando lo separano dal compagno con cui ha arato, che lamento farà il tuo cuore quando ti separeranno da tutti coloro in compagnia dei quali hai sopportato il giogo di tutti i pesi di questa vita? 

Considera anche la pena che l'uomo affronta quando gli appare evidente dove debbono finire il corpo e l'anima dopo la morte, perché del corpo già sai che non gli può toccare sorte migliore di una fossa lunga sette piedi in compagnia degli altri morti, ma dell'anima non sai per certo ciò che avverrà né che destino le toccherà. È questa una delle maggiori angosce che si debbono affrontare, sapere che c'è gloria o pena per sempre e non sapere quale di questi destini tanto diversi ci deve capitare. 

A questa segue un'angoscia non minore, e cioè il rendiconto che dobbiamo dare, che è tale da far tremare anche i più forti. 

Di Arsenio si scrive che, quando stava per morire, cominciò ad avere paura e che i suoi discepoli gli chiesero: Padre, anche tu ora hai paura? Ed egli rispose: Figli miei, questa paura non mi è nuova perché sono sempre vissuto con essa. 

In quel momento, si mostrano all'uomo tutti i peccati della vita passata come uno squadrone di nemici che incombono su di lui e quanto più gravi sono stati e quanto maggior piacere ne ha ritratto, tanto più vivamente gli si mostrano e sono per lui causa di più grande timore. 

Quanto amara è allora la memoria del piacere passato che in altro tempo sembrava così dolce! Certamente a ragione disse il sapiente:

"Non guardare il vino quando è rosso e quando il suo colore risplende nel bicchiere, perché, anche se al momento di bere sembra dolce, alla fine morde come una vipera e sparge il suo veleno come un basilisco" (Pr 23, 31-32). Questa è la feccia del velenoso beveraggio del nemico, questo è il fondo del calice di Babilonia dorato all'esterno. 

Allora infatti l'uomo miserabile, vedendosi accerchiato da tanti accusatori, comincia a temere questo giudizio e a dire fra sé: Povero me, che mi sono tanto ingannato e sono andato per questa strada, che sarà in questo giudizio dell'opera mia? 

Se san Paolo dice che l'uomo coglierà ciò che avrà seminato (Gal 6, 8), io che ho seminato solo secondo la carne che cosa spero di raccogliere se non corruzione? 

Se san Giovanni dice che in quella città sublime che è tutta d'oro fuso, non deve entrare nulla di sporco (Ap 21, 27), cosa deve aspettarsi chi ha vissuto in modo tanto sporco e turpe? 

A questo servono i sacramenti della Confessione, della Comunione e dell'Estrema Unzione che è l'ultimo soccorso con cui la Chiesa ci può aiutare in quel difficile momento e così in questo come negli altri devi considerare le ansie e le angosce che è destinato a patire l'uomo che ha vissuto male e quanto vorrebbe, allora, avere percorso una strada diversa, che vita vorrebbe fare allora, se gliene fosse concesso il tempo, come si sforzerà di chiamare Dio mentre le pene e l'affanno dell'infermità gliene consentiranno appena l'occasione. 

Guarda infine quanto siano spaventosi e temibili gli ultimi travagli della malattia, che sono messaggeri della morte. Il petto si gonfia nell'affanno, la voce si arrochisce, i piedi perdono forza, le ginocchia si gelano, le narici si affilano, gli occhi si fanno fondi, il volto già morto si fa immobile, la lingua non riesce più a svolgere il suo compito e infine, nell'affanno dell'anima che si allontana, tutti i sensi turbati perdono forza e valore. Ma è soprattutto l'anima che patisce i maggiori affanni, perché combatte e agonizza, perché se ne va e perché teme la resa dei conti che le si prepara. Essa, naturalmente, rifiuta di andarsene, vorrebbe fermarsi e teme la resa dei conti. 

Uscita quindi l'anima dal corpo, ti restano ancora due strade da percorrere, una per accompagnare il corpo fino alla sepoltura e l'altra per seguire l'anima fino alla determinazione del suo destino.

Considera ciò che accadrà in ciascuna di queste due strade. 

Guarda come resta il corpo quando l'anima lo abbandona, il nobile abbigliamento di cui lo forniscono per seppellirlo e come si affrettano a portarlo via di casa. Pensa alla sepoltura con tutto ciò che l'accompagna, i rintocchi delle campane, le domande di tutti sul morto, i riti e i canti dolenti della Chiesa, il corteo e il dolore degli amici e infine tutte le cose particolari che si fanno in tali momenti fino a quando si lascia il corpo alla tomba, dove resterà sepolto in quella terra di perpetuo oblio. 

Lasciato il corpo alla sepoltura, poniti al seguito dell'anima e guarda che strada farà nella sconosciuta regione e dove alfine si fermerà e come sarà giudicata. 

Immagina di essere già presente a questo giudizio e che tutta la corte del cielo stia attenta alla sentenza, in cui si terrà conto di tutto quanto si è ricevuto, fino all'ultimo spillo. Lì si chiederà conto della vita, delle ricchezza della famiglia, delle ispirazioni di Dio, dei mezzi che abbiamo avuto per vivere bene e soprattutto del sangue di Cristo, lì ciascuno sarà giudicato sulla base del rendiconto che potrà fare di quanto avrà ricevuto. 


Giovedì 

In questo giorno penserai al Giudizio finale, perché, pensando ad esso, si ridestino nell'anima tua i due sentimenti principali che deve avere ogni vero cristiano, vale a dire il timor di Dio e l'odio del peccato. 

Pensa dunque, in primo luogo, quanto sarà terribile il giorno in cui si investigheranno le cause di tutti i figli di Adamo, si concluderanno i processi della nostra vita e si darà la sentenza definitiva del nostro eterno destino. Quel giorno compendierà i giorni di tutti i secoli passati, presenti e futuri, perché in esso il mondo renderà conto di tutti i tempi e in esso proromperanno l'ira e lo sdegno raccolti in tanti secoli. Tanto precipitoso scorrerà allora il fiume prorompente dell'indignazione divina, che ha raccolto tanta ira e sdegno quanti peccati si sono compiuti dall'inizio del mondo.

Considera in secondo luogo i sintomi spaventosi che precederanno questo giorno, poiché, come dice il Salvatore, prima che questo giorno venga, ci saranno segni nel cielo, nella luna e nelle stelle e, infine, in tutte le creature del cielo e della terra" (Lc 21, 11-28).

Tutte infatti presagiranno la propria fine prima che avvenga e tremeranno e cominceranno a cadere prima di cadere. Gli uomini, dice, cammineranno secchi e smagriti dalla morte, udendo gli spaventosi muggiti del mare e vedendo le grandi onde e flutti che esso solleverà, preannunciando le grandi calamità e sventure che minacceranno il mondo con questi terribili segni. Così andranno attoniti e spaventati, coi volti lividi e sfigurati, misurando i pericoli col proprio timore, così in pena per se stessi da non ricordarsi di nessun altro, neppure del padre o del figlio. Nessuno potrà far nulla per nessuno, perché nessuno riuscirà neppure a badare a se stesso.

In terzo luogo, considera il diluvio universale di fuoco che verrà prima del giudizio e il terribile suono di tromba che suonerà l'Arcangelo per convocare tutte le generazioni del mondo, perché si radunino al proprio posto e siano presenti al giudizio e soprattutto la spaventosa maestà con cui il Giudice si presenterà. 

Dopo di ciò, considera quanto severo sarà il conto che a ciascuno si chiederà. Veramente, dice Giobbe, l'uomo non può essere giustificato se posto a confronto con Dio (Gb 9, 2). 

E se si vuol porre a giudizio con Lui, di mille imputazioni che gli siano fatte, non potrà rispondere a una sola. 

Cosa proverà allora ciascuno dei malvagi quando Dio entrerà con lui in questo esame e dall'interno della sua coscienza gli dirà:

"Vieni qui, uomo malvagio, cosa hai visto in me per disprezzarmi tanto e per passare dalla parte dei miei nemici? Io ti ho creato a mia immagine e somiglianza. Io ti ho dato la luce della fede, io ti ho fatto cristiano e ti ho redento col mio sangue. Per te ho digiunato, camminato, vegliato, sofferto, sudato sangue. Per te ho subito persecuzioni, percosse, bestemmie, scherni, colpi, oltraggi, tormenti e croce. Ne fanno testimonianza questa croce e i chiodi che vi compaiono, queste piaghe dei piedi e delle mani che sono restate nel mio corpo, ne fanno testimonianza il cielo e la terra di fronte a cui ho sofferto. Che cosa hai fatto di questa anima tua che ho fatto mia col mio sangue? A qual fine usasti ciò che io ho comprato a prezzo così alto? Oh, generazione stolta ed adultera, perché hai voluto servire con affanno il tuo nemico piuttosto che me, tuo redentore e creatore, con gioia? Tante volte vi ho chiamato e non avete risposto, ho bussato alla vostra porta e non vi siete destati, ho steso le mie mani sulla croce e non le avete guardate, avete disprezzato i miei consigli, le mie promesse, le mie minacce. Dite ora dunque voi, Angeli, giudicate voi, giudici, fra me e la mia vigna, cosa dovevo fare io più di quello che ho fatto?" 

Cosa risponderanno allora i malvagi, coloro che si sono fatti beffe delle cose di Dio, coloro che hanno deriso la virtù, coloro che hanno disprezzato la semplicità, coloro che hanno tenuto in maggior conto le leggi del mondo che quelle di Dio, coloro che furono sordi a tutti suoi richiami, insensibili a tutte le sue ispirazioni, ribelli a tutti i suoi comandamenti, ingrati e duri ai suoi castighi e ai suoi benefìci? 

Cosa risponderanno coloro che vissero come se Dio non esistesse e coloro che non tennero conto di nessuna legge, ma solo del loro interesse? 

Che farete voi, dice Isaia, il giorno della visitazione e della sventura che vi verrà da lontano? (Is 10, 3) A chi chiederete aiuto? A cosa vi gioverà l'abbondanza delle vostre ricchezze? 

In quinto luogo, dopo tutto questo, considera la terribile sentenza che il Giudice scaglierà contro i malvagi e quella tremenda parola che farà arrossire le orecchie di chi l'ascolterà. 

Le sue labbra, dice Isaia, sono piene d'indignazione e la sua lingua è come fuoco che inghiotte (Is 30, 27). Quale fuoco brucerà come quella parola: Allontanatevi da me, maledetti, al fuoco eterno preparato da Satana e dai suoi demoni (Mt 25, 41)? 

Ciascuna di queste parole da molto da meditare e da pensare: la separazione, la maledizione, il fuoco, la compagnia e, soprattutto, l'eternità. 


Venerdì 

In questo giorno mediterai sulle pene dell'inferno per rafforzare con questa meditazione la tua anima nel timore di Dio e nell'odio del peccato. 

Queste pene, dice san Bonaventura, debbono essere immaginate con raffigurazioni e analogie fisiche, come ci hanno insegnato i santi. Per la qual cosa, sarà opportuno immaginare il luogo dell'inferno (come dice egli stesso) come un lago oscuro e tenebroso posto sotto terra o come un pozzo profondissimo pieno di fuoco o come una città spaventosa e tenebrosa che arde tutta di vive fiamme, nella quale non si sente altro suono che le voci e i gemiti di tormentati e tormentatori e con perpetuo pianto e strider di denti.

In questo sciagurato luogo poi si patiscono principalmente due pene, una di senso e una di danno. Quanto alla prima, pensa come non ci sarà lì alcun senso né dentro né fuori dell'anima che non stia penando con un suo proprio tormento perché, dato che i malvagi offesero Dio con tutte le loro membra e sensi e di tutti fecero arma per servire il peccato, così ciascuno soffrirà con un proprio tormento e sconterà quanto avrà meritato. Così gli occhi adulteri e disonesti pagheranno con la visione orribile del peccato, così le orecchie che si prestarono ad ascoltare menzogne e parole turpi udranno perpetue bestemmie e gemiti. Così le narici avide di profumi e odori sensuali saranno piene di intollerabile fetore. Così il gusto che si compiaceva di raffinati cibi e golosità sarà tormentato da sete e fame rabbiosa. Così la lingua calunniatrice e blasfema sarà amareggiata dal fiele. Così il tatto amante di raffinate mollezze andrà nuotando in quelle gelate, dice Giobbe, del fiume Cocito e tra gli ardori e le fiamme del fuoco. Così l'immaginazione patirà con l'impressione dei dolori presenti, la memoria col ricordo dei piaceri passati, l'intelletto con la prefigurazione dei mali futuri e la volontà con la grandissima ira e rabbia, che i malvagi proveranno contro Dio. Infine, lì si troveranno uniti tutti i mali e i tormenti che si possono pensare, perché, come dice san Gregorio, ci sarà freddo che non si può sopportare, fuoco che non si può spegnere, tarli invincibili, fetore intollerabile, tenebre dense, percosse di torturatori, visioni di demoni, confusione di peccato e disperazione di ogni bene (Lib. 9, Maral, 46). 

Dal momento che se si dovesse patire qui anche il più piccolo di tutti questi mali, per un breve spazio di tempo, ciò sarebbe impossibile da sopportare, dimmi, che cosa sarà lì patire nello stesso tempo tutta questa moltitudine di mali in tutte le membra e in tutti i sensi interni ed esterni e ciò non per lo spazio di una notte sola ne’ di mille, bensì per un'infinita eternità? Quali sensi, quali parole, quale giudizio c'è nel mondo che possano valutare tutto questo? 

Eppure non è questa la maggiore delle pene che lì si debbono soffrire; ce n'è una senza paragone più grave, che è quella che i teologi chiamano pena di danno, che consiste nell'essere privi per sempre della vista di Dio e della sua gloriosa compagnia, perché tanto più grave è una pena quanto priva l'uomo di un bene più grande e, poiché Dio è il più grande dei beni, mancare di lui, sarà certamente il maggiore dei mali. 

Queste sono le pene che generalmente toccano a tutti i condannati. Oltre a queste pene generali, ci sono quelle particolari che ciascuno patirà in rapporto alla qualità del suo delitto. 

Una sarà infatti la pena del superbo, una quella dell'invidioso, una quella dell'avaro, una quella del lussurioso e così per tutti gli altri. La pena sarà in proporzione al diletto ricavato dalla colpa e la mortificazione adeguata alla superbia, la indigenza alla sfrenata opulenza e la fame e la sete alla dovizia e alla sazietà godute. 

A tutte queste pene si aggiunge l'eternità della sofferenza che ne è come il marchio e la chiave. 

Tutto questo infatti sarebbe anche tollerabile se avesse un fine, dal momento che nessuna cosa, se ha un fine, è insopportabile. 

Ma la sofferenza, che non ha fine né sollievo, né declino né diminuzione, né speranza che possa mai cessare, né che muti colui che la da e colui che la soffre, è come un esilio irrevocabile, come un cilicio obbligato che non si può mai togliere; è cosa da levar di senno colui che ci riflette attentamente. 

Questa è dunque la più grande delle pene che in quel luogo sventurato si patiscono. Se queste pene infatti dovessero durare per qualche tempo determinato fosse pure di mille o di centomila anni, o come dice un dottore della Chiesa, se ci fosse da attendere che cessassero quando fosse esaurita tutta l'acqua dell'oceano traendone via una goccia ogni mille anni, persino queste sarebbe un momento di conforto. 

Ma non è così, perché le loro pene corrispondono all’eternità di Dio e la durata della loro sventura alla durata della sua divina gloria; finché Dio vivrà, essi saranno morti, quando Dio cessasse di essere ciò che è, essi cesserebbero di essere ciò che sono. Su questa durata, fratello mio, vorrei che fissassi la tua considerazione e che riflettessi, su questo passo, ripetendo le parole del Vangelo in cui si proclama quella eterna verità: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Mt 24, 35). 


Sabato 

In questo giorno penserai alla gloria dei beati perché da essa il tuo cuore sia indotto al disprezzo del mondo e al desiderio della loro compagnia. 

Per comprendere qualcosa di questo bene, devi considerare le cinque cose, che devi bene sapere: l'eccellenza del luogo, la gioia della compagnia, la visione di Dio, la gloria dei corpi e, infine, il compimento di ogni bene che lì si ritrova. 

Considera in primo luogo l'eccellenza del luogo e soprattutto la grandezza di ciò che devi ammirare, perché, quando si legge in alcuni autorevoli scrittori che qualsiasi stella del cielo è più grande di tutta la terra e che qualcuna di esse è di così eccezionale grandezza da essere novanta volte più grande di essa, e si alzano gli occhi al cielo e si vede una così grande moltitudine di stelle e tanti spazi vuoti dove potrebbero starcene altrettante e ancora di più, come non sgomentarsi? Come non restare attoniti e smarriti, considerando l'immensità di quel luogo e, ancora di più, quella del sovrano Signore che lo creò? 

La sua bellezza non si può spiegare a parole, perché, se in questa valle di lacrime e luogo d'esilio Dio creò cose così mirabili e di tanta bellezza, cosa avrà creato in quel luogo che è trono della sua gloria, palazzo della sua maestà, casa dei suoi eletti e paradiso di ogni diletto? 

Oltre all'eccellenza del luogo, pensa alla nobiltà di coloro che vi abitano, il cui numero, la cui santità, le cui ricchezze e bellezze superano ogni umana immaginazione. San Giovanni dice che tanta è la moltitudine degli eletti che nessuno è capace di contarli (Ap 7, 9). San Dionigi dice che tanto grande è il numero degli angeli che supera senza confronto quello di tutte le cose materiali che sono sulla terra (Lib. Coelest. Hierarch, 9). 

San Tommaso, condividendo questa opinione, dice che, come la grandezza dei cieli supera senza confronto quella della terra, così la moltitudine di quegli spiriti gloriosi supera quella di tutte le cose materiali che sono in questo mondo. 

Cosa può esserci dunque di più meraviglioso? 

Davvero, questa è una considerazione che, a ben considerarla, basterebbe a lasciare attoniti tutti gli uomini. E se ciascuno di quei beati spiriti (sia pure il minore) è più bello da vedere di tutto questo mondo visibile, cosa sarà mai vedere un così grande numero di spiriti tanto belli e vedere le perfezioni e i compiti di ciascuno di loro? 

Lì parlano gli angeli, amministrano gli arcangeli, trionfano i principati, gioiscono le potestà, dominano le dominazioni, risplendono le virtù, folgorano i troni, brillano i cherubini e ardono i serafini e tutti cantano lode a Dio. Se la compagnia dei buoni è così dolce e bella, che sarà mai essere insieme a tanti santi, parlare con gli apostoli, conversare con i profeti, comunicare coi martiri e con tutti gli eletti? 

E se è così grande gloria godere della compagnia dei buoni, che cosa sarà godere della compagnia e della presenza di Colui che le stelle del mattino esaltano, della cui bellezza il sole e la luna si stupiscono, davanti al cui merito si inginocchiano gli angeli e tutti i più alti spiriti? Cosa sarà vedere quel bene universale in cui sono tutti i beni e quel mondo nel quale sono contenuti tutti i mondi e Colui che, essendo uno, è tutte le cose e, essendo semplicissimo, abbraccia le perfezioni di tutte? Se tanto grande cosa fa udire e vedere il re Salomone che la regina di Saba disse: "Beati coloro che si trovano innanzi a te e godono della tua sapienza" (I Re 10, 8), cosa sarà vedere quel sommo Salomone, quell'eterna sapienza, quell'infinita grandezza, quell'inestimabile bellezza, quell'immensa bontà e godere di essa per sempre? Questa è la vera gloria dei santi, questo il fine ultimo e il porto dei nostri desideri. 

Considera, dopo di ciò, la gloria di corpi che godranno di quelle quattro singolari doti che sono la sottigliezza, la leggerezza, l'incorruttibilità e lo splendore, così grande quest'ultimo che ciascuno di essi risplenderà come il sole nel regno del Padre suo. 

Se non più di un sole basta a dar luce e gioia a tutto questo mondo, che effetto produrranno tanti soli che splenderanno in quel luogo?

Che dirò poi di tutti gli altri beni che ci sono? Lì ci sarà salute senza malattia, libertà senza schiavitù, bellezza senza bruttezza, immortalità senza corruzione, abbondanza senza bisogno, pace senza turbamento, sicurezza senza timore, conoscenza senza errore, pienezza senza ripugnanza, gioia senza tristezza, gloria senza ostilità. "Lì sarà, dice sant'Agostino, vera la gloria e nessuno sarà lodato per errore o per lusinga. Lì sarà vero l'onore che non si negherà al degno e non si concederà all'indegno. Lì sarà vera la pace dove non si sarà molestati né da sé né da altri. Il premio della virtù sarà lo stesso che la virtù diede e fu promesso per sua ricompensa, si vedrà in eterno, si amerà senza noia e si loderà senza stanchezza. Lì il luogo è ampio, bello, risplendente, sicuro, la compagnia gradita, il tempo immutabile, non distinto in sera e mattina, ma continuato nell'eternità. Ci sarà un'estate perpetua che la frescura e il soffio dello Spirito Santo faranno sempre fiorire. 

Lì tutti sono felici, cantano e lodano il Sommo Datore di ogni cosa per la cui generosità vivono e regnano per sempre. O città celeste, dimora sicura, terra dove si trova tutto ciò che diletta! Popolo senza mormorazioni, prossimo, pacifico e uomini senza nessun assillo'. Oh se questa ferita finisse! Oh se i giorni del mio esilio si concludessero! Quando giungerà quel giorno? Quando verrò al cospetto del mio Dio?” 
(De Civitate Dei, Libro 22, cap. 30)


Domenica 

In questo giorno penserai ai benefìci che ricevi da Dio per ringraziarne il Signore e accenderti di maggior amore per chi ti fece tanto bene. Sebbene questi doni siano innumerevoli, tu puoi almeno considerare questi cinque, la creazione, la conservazione, la redenzione, la vocazione, con gli altri benefici particolari e non 
evidenti. 

In primo luogo, riguardo al beneficio della creazione, pensa con molta attenzione ciò che eri prima di essere creato e ciò che Dio fece con tè e ciò che ti diede prima di ogni tuo merito: 

questo corpo con tutte le tue membra e i tuoi sensi e l'anima così eccellente con le sue grandi possibilità: intelletto, memoria e volontà. E bada bene che darti tale anima ha significato darti tutte le cose, poiché non c'è alcuna perfezione in nessuna creatura che l'uomo a suo modo non abbia, dal che risulta che darci questo solo elemento ha voluto dire darci insieme tutto. Riguardo al dono della tua conservazione, guarda quanto tutto il tuo essere sia legato alla provvidenza divina, come non vivresti un attimo, ne’ faresti un passo se non fosse per lui, come abbia creato tutte le cose per la tua utilità, il mare, la terra, gli uccelli, i pesci, gli animali, le piante, persino gli angeli del cielo. 

Pensa alla salute che ti concede, alle forze, alla vita, al sostentamento con tutti gli altri aiuti temporali. Oltre a tutto ciò, pensa alla miseria e alle sventure in cui ogni giorno vedi cadere gli altri uomini e nelle quali tu pure saresti potuto cadere se Dio, per sua pietà, non te ne’ avesse preservato. 

Quanto al dono della redenzione, puoi considerare due cose: la prima, quanti e quanto grandi siano i beni che ci ha dato mediante il dono della redenzione, la seconda quanti e quanto grandi siano stati i mali che patì nel suo corpo e nella sua santissima anima per ottenerci questi beni. Per capire di più ciò che devi a questo Signore per ciò che ha patito per te, puoi meditare queste quattro circostanze che conviene conoscere nel mistero della sua sacra passione: chi soffre, cosa soffre, per chi soffre e per quale causa soffre. 

Chi soffre? Dio. Cosa soffre? I più grandi tormenti ed oltraggi che mai furono sofferti. Per chi soffre? Per creature infernali e abominevoli simili, nell'operare, ai demoni stessi. Per quale causa soffre? Non per suo vantaggio e neppure per nostro merito, bensì per l'intima forza della sua infinita carità e misericordia. 

Quanto al dono della vocazione, pensa prima di tutto quale grande misericordia fu da parte di Dio farti cristiano, chiamarti alla fede per mezzo del battesimo e farti anche partecipe degli altri sacramenti. 

E se, dopo questa chiamata, perduta la tua innocenza, ti ha tolto dal peccato, riportato alla sua grazia, ritornato allo stato di salvezza, come potrai abbastanza lodarlo di questo dono? Che grande misericordia fu aspettarti per tanto tempo, sopportare tanti peccati e mandarti tante ispirazioni e non tagliarti il filo della vita, come fu tagliato ad altri nelle stesse condizioni e, infine, richiamarti con grazia tanto potente da resuscitarti da morte a vita e da aprirti gli occhi alla luce! Che misericordia fu, dopo averti convertito, darti la grazia per non tornare al peccato, vincere il nemico e perseverare nel bene! Questi sono i doni evidenti e conosciuti: ce ne sono altri segreti che conosce solo quello che li ha ricevuti e altri ancora tanto segreti che non li conosce neppure quello che li ha ricevuti, bensì solo quello che li ha donati. Quante volte avrai meritato per la tua negligenza o superbia o ingratitudine che Dio t'abbandonasse, come ha abbandonato altri per la stessa causa, e non lo ha fatto! Quanti mali od occasioni di male avrà prevenuto il Signore con la sua provvidenza, disfacendo le reti del nemico, tagliandogli la strada e non realizzando le sue azioni e i suoi consigli! Quante volte avrà agito con ciascuno di noi nel modo che disse a san Pietro: "Guarda che satana aveva ottenuto di vagliarvi tutti come il grano, ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede" (Lc 22, 31). Chi dunque può conoscere questi segreti se non Dio? 

Questi sono i benefìci conosciuti, ma ci sono quelli nascosti. Per questi come per gli altri, è giusto che ringraziarne sempre il Signore e che comprendiamo di quanto siamo debitori; quanto è di più ciò che dobbiamo di quanto possiamo pagare non lo possiamo infatti neppure comprendere. 

a cura del Rev. Padre Pasquale Valugani Milano : 
Pontificia editrice arcivescovile G. Daverio, stampa. 1953 



LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano