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sabato 26 settembre 2015

SAN PEDRO DE ALCANTARA - TRATTATO DELLA PREGHIERA E MEDITAZIONE - PARTE TERZA.



SAN PEDRO DE ALCÁNTARA 

TRATTATO DELLA PREGHIERA 
E MEDITAZIONE 


Pietro d'Alcantara, (1499-1562), uno dei direttori spirituali di Santa Teresa d’Avila, fu Riformatore, e fondatore di alcune Province dei frati Scalzi di S. Francesco in Spagna. Il trattatello sull'orazione, fu tradotto quasi in tutte le lingue. Fu Canonizzato nel 1669 da Papa Clemente IX .


COMPOSTO DAL PADRE FRA' PEDRO DE ALCANTARA 
FRATE MINORE DELL'ORDINE 
DEL BEATO SAN FRANCESCO, 
DIRETTO AL MAGNIFICO E DEVOTO SIGNORE 
RODRIGO DE CHAVES, 
ABITANTE DI CIUDAD RODRIGO

capitolo terzo 

IL TEMPO E IL FRUTTO DELLE SUDDETTE MEDITAZIONI 

Queste sono, lettore cristiano, le prime sette meditazioni che tu puoi prendere in esame e su cui puoi occupare il tuo pensiero nei vari giorni della settimana, non perché tu non possa pensare ad altre in altri giorni, poiché, come abbiamo detto, qualunque cosa induce il nostro cuore all'amore e timor di Dio e all'osservanza dei suoi comandamenti è materia di meditazione. Si raccomandano però questi temi che ho nominato, primo perché sono i principali misteri della fede e quelli che maggiormente stimolano a ciò che si è detto, poi perché i principianti (che hanno ancora bisogno, per così dire, di latte) trovano qui già masticati e digeriti i pensieri da meditare, affinché non vadano come pellegrini in terra straniera, percorrendo luoghi incerti, prendendo una cosa e un'altra lasciandone, senza 
avere la certezza in nessuna.

Devi anche sapere che le meditazioni di questa settimana sono molto opportune, come abbiamo già detto, all'inizio della conversione, cioè quando l'uomo ritorna a Dio, poiché allora bisogna cominciare dalle meditazioni che possano suscitare dolore e odio del peccato, timor di Dio e disprezzo del mondo, che sono i primi passi di questo cammino. 

E, per questo, coloro che cominciano debbono perseverare per qualche tempo nella riflessione di questi princìpi per radicarsi maggiormente nelle virtù e nei sentimenti che abbiamo detto.

 capitolo quarto 

LE ALTRE SETTE MEDITAZIONI DELLA SACRA PASSIONE E IL MODO IN CUI DOBBIAMO MEDITARLA 

A queste seguono le altre sette meditazioni della sacra passione, resurrezione e ascensione di Cristo, a cui si potranno aggiungere gli altri momenti principali della sua santissima vita. 

Bisogna notare che nella passione di Cristo si debbono meditare sei punti: la grandezza dei suoi dolori, per soffrire di essi, la gravità del nostro peccato, che ne è la causa, per aborrirlo, la grandezza del beneficio per esserne grati, l'eccellenza della divina bontà e carità che lì si rivela, per amarla, l'utilità del mistero per meravigliarsene, la moltitudine delle virtù di Cristo che vi risplendono per imitarle. In conformità a ciò, durante la meditazione, dovremo inclinare il nostro cuore alla compassione dei dolori di Cristo, che furono i più grandi del mondo sia per la delicatezza del suo corpo, sia per la grandezza del suo amore, sia anche perché ha sofferto senza essere in nessun modo consolato, come sarà più avanti mostrato. Altre volte dovremo fare attenzione a trarre da qui motivo di dolore dei nostri peccati, tenendo conto che essi furono la causa dei tanti e tanto gravi dolori che egli patì. Altre volte dovremo trarre da questa meditazione motivi di amore e di gratitudine considerando la grandezza dell'amore che egli ci mostrò e la grandezza dei doni che ci fece con la redenzione così generosamente, con tanto sacrificio suo e tanto vantaggio nostro. 

Altre volte dovremo sollevare gli occhi a pensare all'utilità del mezzo che Dio usò per curare la nostra miseria, cioè per far fronte ai nostri debiti, soccorrere le nostre necessità, meritarci la sua grazia, umiliare la nostra superbia e indurci al disprezzo del mondo, all'amore della croce, della povertà, delle difficoltà, delle ingiurie e di tutte le altre tribolazioni che sono frutto della virtù e che ci rendono onore. 

Altre volte dovremo fissare gli occhi sugli esempi di virtù che risplendono nella sua santissima vita e morte, nella sua mansuetudine, pazienza, obbedienza, misericordia, povertà, rigore, carità, umiltà, benignità, modestia e in tutte le altre virtù che risplendono nelle sue opere e parole più delle stelle del cielo, per imitare qualcosa di ciò che vediamo in lui, per non tenere in ozio lo spirito e la grazia che da lui abbiamo ricevuto e per andare a lui per mezzo di lui. Questa è la più alta e proficua maniera di meditare la passione di Cristo, attraverso l'imitazione, poiché dall'imitazione si giunge alla trasformazione e possiamo quindi dire con l'apostolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). 

Oltre a ciò, bisogna in tutti questi momenti avere Cristo presente davanti agli occhi e far conto di averlo davanti a noi nella sua sofferenza, tenere presente non solo la storia della sua passione, bensì anche questi quattro quesiti: Chi soffre? Per chi soffre? Come soffre? Per quale causa soffre? Chi soffre? Dio onnipotente, infinito, immenso ecc. Per chi soffre? Per la più ingrata e infima creatura del mondo. Come soffre? Con grandissima umiltà, carità, benignità, mansuetudine, misericordia, pazienza, modestia ecc. Per quale causa soffre? Non certo per alcun suo vantaggio né nostro merito, bensì solo per la profondità della sua infinita pietà e misericordia. Dopo di ciò, non ci si contenti di contemplare la sofferenza fisica, bensì soprattutto la sofferenza interiore, poiché c'è molto più da meditare sull'anima che sul corpo di Cristo, sia per quanto ha patito dei suoi dolori, sia per tutti i sentimenti e riflessioni che la addoloravano. 

Premesso, quindi, questo piccolo preambolo, cominciamo a percorrere con ordine i misteri di questa Sacra Passione.

Proseguono le altre sette meditazioni della Sacra Passione 


Lunedì 

In questo giorno, fatto il segno della Croce, con la preparazione che la precede, si deve pensare alla lavanda dei piedi all'istituzione del Santissimo Sacramento. 

Pensa dunque, anima mia, a questa cena, al tuo dolce benigno Gesù e guarda l'esempio inestimabile di umiltà che i offre alzandosi da tavola e lavando i piedi ai suoi discepoli. Oh, buon Gesù! Cosa fai? O dolce Gesù, perché tanto si umilia la tua maestà? 

Cosa proveresti, anima mia, se vedessi Dio inginocchiato dinanzi ai piedi degli uomini, dinanzi ai piedi di Giuda? 

O insensibile! Come non ti intenerisce questa grande umiltà? Come non ti spezza il cuore questa grande mansuetudine? È possibile che tu abbia ordinato di vendere questo Agnello mansueto? È possibile che non ti abbia commosso con questo esempio? 

O mani bianche e belle, come avete potuto toccare piedi così sporchi e abominevoli? O mani purissime, come non avete avuto ribrezzo di lavare i piedi infangati sulle strade e cosparsi del vostro sangue? O apostoli beati! È possibile che non tremiate vedendo simile umiltà? Pietro, cosa fai? Acconsentiresti dunque che il Signore della maestà ti lavasse i piedi? Meravigliato e attonito, san Pietro, non appena vide il Signore inginocchiato innanzi a sé cominciò a dire: Tu, o Signore, lavi a me i piedi? (Gv 13, 6). Non sei il figlio del Dio vivo? Non sei tu il creatore del mondo, la bellezza del cielo, il paradiso degli angeli, la salvezza degli uomini, lo splendore della gloria, la fonte della più alta sapienza di Dio? E vuoi tu, dunque, lavarmi i piedi? Tu, Signore di tanta maestà e gloria, vuoi dedicarti a un compito così umile? 

Pensa anche che, finita la lavanda dei piedi, li asciugò col panno di cui si era cinto; innalzati con gli occhi dell'anima e vedrai raffigurato il mistero della nostra redenzione. 

Guarda come in quel panno raccolse l'impurità dei piedi sporchi così che essi restarono puliti e il panno macchiato e sporco. 

Che cosa c'è di più sporco dell'uomo concepito nel peccato e che cosa di più limpido e bello di Cristo concepito da Spirito Santo?

Bianco e vermiglio è il mio amato, dice la sposa, ed eletto tra migliaia (Ct 5, 10). Eppure egli, così bello e puro, volle raccogliere su di sé tutte le macchie e le brutture delle nostre anime lasciandole pure e libere da esse e restandone lui stesso (come puoi vedere) sulla croce macchiato e deturpato. 

Considera infine le parole con cui il Salvatore pose fine a questa storia dicendo: Vi ho dato l'esempio perché, come io ho fatto, anche voi facciate (Gv 13, 5). 

Queste parole non debbono essere riferite solo a questo momento e a questo esempio di umiltà, ma anche a tutte le opere e alla vita di Cristo, poiché essa è un modello perfetto di tutte le virtù, soprattutto di quella che ci si presenta in questo luogo. 

L'istituzione del Santissimo Sacramento. 

Per capire qualcosa di questo mistero, devi presupporre che nessuna lingua creata può esprimere la grandezza dell'amore che Cristo ha per la sua sposa, la Chiesa e, di conseguenza, per ciascuna delle anime che sono in grazia di Dio, perché anche ciascuna di esse è sua sposa. Volendo dunque questo sposo dolcissimo uscire da questa vita e allontanarsi dalla sua sposa, la Chiesa (perché quest'assenza non fosse per lei causa di oblio) le lasciò il memoriale di questo Santissimo Sacramento (in cui restava lui stesso), non volendo che fra sé e lei ci fosse altro segno, se non lui stesso, a tener viva la sua memoria. 

Voleva anche lo sposo, in una così lunga assenza, lasciare compagnia alla sua sposa, perché non restasse sola e le lasciò quella del Sacramento dove lui stesso si trova e che è la migliore compagnia che potesse lasciarle. 

Voleva allora andare ad affrontare la morte per la sua sposa e riscattarla e arricchirla col prezzo del suo sangue. E, perché essa potesse a sua volontà godere di questo tesoro, gliene lasciò le chiavi in questo Sacramento, perché, come dice san Crisostomo, tutte le volte che giungiamo ad esso, dobbiamo pensare che poniamo le labbra sul costato di Cristo e beviamo il suo prezioso sangue e ce ne facciamo partecipi (Omelia 84 in Giov.). 

Desiderava altresì, questo sposo celeste, essere amato dalla sua sposa con grande amore e per questo stabilì il misterioso cibo, consacrato con tali parole che, chi lo riceve degnamente, è subito toccato e colpito da questo amore. 

Voleva inoltre rassicurarla e darle pegno di quella beata eredità di gloria perché, con la speranza di questo bene, potesse affrontare serenamente tutte le tribolazioni e le asprezze di questa vita. Perché poi la sposa avesse certa e sicura speranza di questo bene, le lasciò in pegno questo ineffabile tesoro che vale tanto quanto tutto ciò che di là si attende, perché non perdesse la fiducia che Dio le si sarebbe dato in quella gloria là dove vivrà nello spirito, dal momento che non le si è negato in questa valle di lacrime dove vive nella carne.

Voleva inoltre, nell'ora della sua morte, fare testamento e lasciare alla sua sposa un legato per la sua salvezza e le lasciò questo, che era il più prezioso e il più utile che le potesse lasciare, poiché in esso le è lasciato Dio. Voleva infine lasciare alle nostre anime sufficiente alimento per vivere, poiché l'anima non ha minor bisogno di alimento per vivere la vita spirituale di quanto il corpo non abbia bisogno del suo per vivere la vita fisica. Perciò stabilì questo così saggio medico (che aveva già sentito il polso della nostra debolezza) questo Sacramento e lo stabilì in forma di alimento, perché la specie stessa in cui lo istituì ci rivelasse l'effetto che produceva e la necessità che ne avevano le nostre anime, non minore certo di quella che hanno i corpi del loro proprio cibo.


Martedì 

In questo giorno penserai all'orazione nell'orto e alla passione del Salvatore e all'entrata e al confronto nella casa di Anna. 

Pensa quindi, innanzitutto, come, terminata quella misteriosa cena, il Signore andò coi suoi discepoli sul monte Oliveto a pregare prima di affrontare la dura prova della sua passione, per insegnarci che, in tutte le fatiche e tentazioni di questa vita, dobbiamo ricorrere sempre alla preghiera come ad un'ancora sacra, in forza della quale o ci sarà tolto il peso della tribolazione o ci saranno date le forze per sopportarlo, il che è una grazia anche più grande. Per sua compagnia in questo cammino, prese con sé quei tre amati discepoli san Pietro, san Giacomo e san Giovanni (Mt 17, 1), che erano stati testimoni della sua gloriosa trasfigurazione, perché proprio loro vedessero che diverso aspetto assumeva ora, per amore degli uomini, lui che tanto glorioso si era mostrato in quella visione. E, perché capissero che gl'intimi travagli della sua anima non erano meno gravi di quelli che cominciava a manifestare nel corpo, disse loro quelle così dolorose parole: La mia anima è triste fino alla morte. Aspettatemi qui e vegliate con me (Mt 26, 38). Pronunciate queste parole, il Signore si allontanò dai discepoli un tiro di sasso e, prostrato a terra, cominciò la sua orazione dicendo: Padre, se è possibile, allontana da me questo calice, però non si faccia la mia volontà ma la tua (Mt 26, 39). E, fatta tre volte questa preghiera, alla terza entrò in così grande agonia che cominciò a trasudare gocce di sangue, che scorrevano per il suo santo corpo, filo a filo fino a cadere a terra. Medita dunque su questo momento di dolore del Signore e guarda come, avendo davanti a sé tutti i tormenti che avrebbe dovuto patire, comprendendo perfettamente i dolori tanto crudeli che si preparavano per il più delicato dei corpi e presentandoglisi davanti tutti i peccati del mondo per i quali soffriva e l'ingratitudine di tante anime che non avrebbero compreso questo dono ne’ avrebbero tratto profitto da tanto grande e doloroso soccorso, la sua anima fu piena di angoscia e la sua fragile carne e i suoi sensi furono così sconvolti che tutte le forze e gli elementi del suo corpo si scomposero e la carne benedetta si aprì da ogni parte e fece scorrere da essa il sangue con tanta abbondanza da bagnare la terra. 

E se la carne, che solo indirettamente pativa questi dolori, era in queste condizioni, come sarà stata l'anima che li pativa direttamente? 

Pensa poi come, avendo egli terminata l'orazione, raggiunse quell'infernale compagnia, quel falso amico che aveva rinunciato al suo ruolo di apostolo ed era divenuto guida e capitano dell'esercito di satana. Pensa quanto sfrontatamente si fece avanti fra tutti e, quando il buon maestro giunse, lo vendette col bacio di un falso saluto di pace. In quel momento il Signore disse a coloro che lo venivano a prendere: Siete venuti da me come ladroni con spade e lance, mentre, quando io stavo con voi ogni giorno nel tempio, non stendeste la mano sopra di me; ma questa è la vostra ora e il potere delle tenebre (Mt 26, 55). È questo un mistero su cui si deve molto riflettere. 

Cosa può dare maggiore sgomento che vedere il Figlio di Dio prendere l'aspetto non solo di peccatore, bensì addirittura di condannato? 

Questa, egli dice, è la vostra ora e il potere delle tenebre. 

Da queste parole si capisce che in quell'ora fu consegnato l'innocentissimo Agnello al potere dei principi delle tenebre, cioè ai demoni affinché, per mezzo dei loro ministri, infierissero su di lui con tutte le torture e le crudeltà che volevano. 

Pensa tu ora, dunque, fino a che punto si abbassò quella Altezza divina per causa tua, giungendo all'estremo di tutti i mali, cioè ad essere consegnata al potere dei demoni. E poiché la pena che i tuoi peccati meritavano era questa, egli volle ad essa sottoporsi perché tu ne restassi libero. 

Dopo queste parole, tutto quel branco di lupi affamati si scagliò su quell'Agnello mansueto strappandolo, come potevano, chi da una parte chi dall'altra. 

Oh, quanto disumanamente lo avranno trattato, quante cattiverie gli avranno detto, quanti colpi e strattoni gli avranno dato, quante grida e insulti avranno gettato, come fanno di solito i vincitori quando si sentono già in mano il bottino! Afferrano quelle sante mani che solo poco prima avevano compiuto tante meraviglie e lo legano con lacci scorsoi così strettamente da strappargli la pelle delle braccia e da fargli uscire il sangue e, così legato, lo trascinano per la pubblica via con grande ignominia. 

Guardalo bene come avanza per questa strada, abbandonato dai suoi discepoli, accompagnato dai suoi nemici, il passo affrettato, il respiro affannoso, il colore mutato, il volto acceso e arrossato per la fatica del cammino. 

E contempla, in così duro trattamento della sua persona, la misura del suo volto, la gravità del suo sguardo e quel divino sembiante che, pur in mezzo a tutte le violenze del mondo, non riesce ad essere oscurato. 

Puoi andare quindi con il Signore alla casa di Anna per vedere come, mentre egli cortesemente rispondeva alla domanda che il sommo sacerdote gli rivolgeva sui suoi discepoli e sulla sua dottrina, uno dei malvagi lì presenti gli diede una grande percossa, dicendo: Così si risponde al sommo sacerdote? Allora il Salvatore dolcemente rispose: Se ho risposto male, mostrami dove e se bene, perché mi colpisci? (Gv 18, 22-23). Guarda poi ora, anima mia, non solo la mansuetudine di questa risposta, ma anche quel volto divino segnato e arrossato dalla forza del colpo e la calma di quegli occhi tanto sereni e senza turbamento durante l'affronto e quell'anima santissima intimamente così umile e disposta a volgere l'altra guancia, se il carnefice lo richiedesse. 


Mercoledì 

In questi giorni penserai alla presentazione del Signore davanti al sommo sacerdote Caifa, alle tribolazioni di quella notte, al rinnegamento di Pietro e alle percosse presso la colonna. 

Considera innanzitutto come dalla prima casa di Anna il Signore fu portato a quella del sommo sacerdote Caifa, dove tu devi accompagnarlo. 

Qui vedrai eclissato quel sole di giustizia e offeso da sputi quel volto divino che gli angeli desiderano contemplare. Perché, quando il Salvatore, scongiurato in nome del Padre di dire chi era, rispose a questa domanda ciò che a lui conveniva, coloro che erano indegni di così alta risposta, accecati dallo splendore di così grande luce, si volsero contro di lui come cani rabbiosi e su di lui scaricarono tutta la loro ira e rabbia. 

Lì tutti, a gara, gli danno colpi e schiaffi, con le loro bocche infernali sputano su quel volto divino, gli coprono gli occhi con un panno, lo percuotono sul viso e si prendono gioco di lui dicendo: "Indovina chi ti ha percosso" (Mt 26, 68 e Lc 22, 64). 

O meravigliosa umiltà e pazienza del figlio di Dio! O bellezza degli angeli! Era quello un volto su cui sputare? Gli uomini quando vogliono sputare, voltano la faccia all'angolo più oscuro e in tutto quel palazzo non si trovò dunque luogo più oscuro del suo volto? Come non ti senti umiliato, tu che sei terra e cenere, da questo esempio? 

Dopo di ciò, medita sulle sofferenze che il Salvatore affrontò in tutta quella dolorosa notte, perché i soldati che lo custodivano lo schernivano (come dice san Luca) e, per vincere il sonno della notte, non trovarono di meglio che deridere il Signore della divina maestà. Guarda dunque, anima mia, come il tuo dolcissimo sposo è esposto come un bersaglio alle frecce di tanti colpi e percosse che gli infliggono. O notte crudele! O notte senza pace, nella quale, mio buon Gesù, tu non dormivi e non dormivano coloro che avevano scelto per loro divertimento di tormentarti. La notte fu creata perché in essa tutte le creature si riposino e i sensi e le membra, stanchi del lavoro della giornata, recuperino le forze; ora i malvagi scelgono la notte per tormentare le tue membra e i tuoi sensi, ferendo il tuo corpo, affliggendo la tua anima, legando le tue mani, schiaffeggiando il tuo volto, riempiendolo di sputi, tormentando le tue braccia, perché nel tempo in cui tutte le membra sono solite giacere in riposo, tutte in te soffrissero e patissero. Che mattutini diversi da quelli, in quell'ora, ti avrebbero cantato i cori degli angeli nel cielo! 

Lì dicono: Santo, Santo; qui: muoia, muoia, crucifige, crucifige. O angeli del paradiso, che udite le une e le altre voci! Che cosa avete provato vedendo così maltrattato sulla terra colui che voi trattate in cielo con tanta riverenza? Che cosa avete provato vedendo che Dio pativa tali offese proprio per coloro che gliele infliggevano? Chi ha mai visto una tal forma di carità, che porta ad affrontare la morte per liberare dalla morte colui stesso che la dà? 

Le sofferenze di quella notte dolorosa crebbero con il rinnegamento di san Pietro, quel così intimo amico che era stato scelto per vedere la gloria della Trasfigurazione, che era stato onorato fra tutti col primato nella Chiesa, quello che era primo fra tutti e che non una ma tre volte, in presenza del Signore stesso, giura e spergiura di non conoscerlo, di non sapere chi sia. Oh, Pietro, è dunque questo un uomo così malvagio che ti vergogni persino di ammettere di averlo conosciuto? Guarda che questo significa che tu, primo dei Pontefici, lo condanni, facendo comprendere che egli sia persona tale da sentirsi disonorato di conoscerlo. 

Quale offesa può essere più grande di questa? Si valse allora il Salvatore e guardò Pietro (Lc 22, 61). Gli occhi seguono quella pecorella smarrita. O sguardo di meravigliosa virtù! O sguardo silenzioso, ma grandemente significativo! Pietro ben comprese il linguaggio e la voce di quello sguardo, poiché quella del gallo non riuscì a svegliarlo e questo sì. Gli occhi di Cristo non solo parlano, ma operano, come dimostrano le lacrime di Pietro, che non escono tanto dagli occhi di Pietro quanto da quelli stessi di Cristo. 

Dopo tutte queste offese, pensa alle percosse che il Salvatore sopportò alla colonna; perché il giudice, visto che non poteva placare la furia di quelle belve infernali, decise di sottoporlo a quella ben nota tortura, per vedere se fosse sufficiente a placare la rabbia di quei cuori crudeli, così che, appagati, cessassero di chiederne la morte. 

Entra, dunque, ora, anima mia, con lo spirito nel pretorio di Pilato e porta con te le lacrime che ti saranno necessario per quello che lì vedrai e udrai. Guarda come quei carnefici vili e feroci spogliano con tanta ferocia il Salvatore delle sue vesti e come egli se ne lascia spogliare con tanta umiltà senza aprire la bocca ne’ rispondere neppure una parola alle insolenze che gli lanciano. Guarda poi come legano quel santo corpo alla colonna per poterlo ferire a loro piacere dove e come vogliono. Guarda come era solo il Signore degli angeli tra così crudeli carnefici, senza avere in sua difesa né padrini né difensori che agissero in suo favore, né occhi che esprimessero compassione per lui. Guarda poi come cominciano con grandissima crudeltà a scagliare le loro fruste e le loro sferze su quelle delicatissime carni e come si aggiungono percosse a percosse, piaghe a piaghe, ferite a ferite. Vedrai poi coprirsi quel santissimo corpo di lividi, lacerarsi la pelle, uscire e scorrere da ogni parte il sangue. Ma, oltre tutto ciò, che spettacolo atroce quella così grande piaga aperta fra le spalle dove battevano tutti i colpi!

Pensa poi, terminate le percosse, come il Signore si sarà ricoperto e sarà andato per tutto il pretorio, cercando le sue vesti, in presenza di quei crudeli carnefici, senza che nessuno gli prestasse aiuto o soccorso ne’ gli desse uno di quei lavacri e refrigeri che si danno a coloro che restano feriti. Tutte questa sono cose degne di compassione, gratitudine, meditazione. 


Giovedì 

In questo giorno devi pensare all'incoronazione di spine, all'Ecce homo e a come il Salvatore portò la croce sulle spalle. 

A meditare questi momenti tanto dolorosi ci invita la sposa nel Cantico dei Cantici con queste parole: Venite, figlie di Sion e guardate il re Salomone con la corona che gli dette sua madre nel giorno delle sue nozze, nel giorno della gioia del suo cuore (Ct 3, 11). 

O anima mia, che fai? O mio cuore, a cosa pensi? O mia lingua, come ti sei ammutolita! O mio dolcissimo Salvatore, quando apro gli occhi e guardo il quadro tanto doloroso che mi si presenta, il cuore mi si spezza dal dolore. Non bastavano dunque, Signore, le percosse già subite, la morte imminente, il tanto sangue sparso? Dovevano proprio le spine trar sangue dalla testa che le percosse avevano risparmiato? 

Per patire di questo momento tanto doloroso, anima mia, poniti innanzitutto davanti agli occhi l'antica immagine del Signore e la grandezza delle sue virtù e poi torna a guardare in che condizioni si trova. Guarda com'è grande la sua bellezza, sereni i suoi occhi, dolci le sue parole, guarda la sua autorità, la sua mansuetudine, la sua serenità e quel suo nobile aspetto degno di venerazione. 

Dopo averlo guardato e aver goduto della vista di una così perfetta figura, volgi di nuovo gli occhi a guardarlo come ora lo vedi, coperto del dileggio di quella porpora, con la canna in mano a guisa di scettro, l'orribile diadema sul capo, gli occhi morenti e il volto già morto e tutta la figura coperta di sangue e abbruttita dalla bava che si stendeva su tutto il suo volto. 

Guardalo tutto, dentro e fuori, il cuore trafitto dal dolore, il corpo coperto di piaghe, abbandonato dai suoi discepoli, perseguitato dagli ebrei, schernito dai soldati, disprezzato dai sacerdoti, respinto dall'iniquo re, accusato ingiustamente e privo di ogni aiuto umano. Non pensare a ciò come ad una cosa passata, bensì come ad una cosa attuale, non come ad una sofferenza altrui, ma come ad una tua propria. Mettiti tu al posto di chi soffre e pensa cosa proveresti se in una parte così sensibile come la testa ti ficcassero molte ed acutissime spine che ti penetrassero fino all'osso. Ma che dico? Spine? Una sola trafittura di spillo riusciresti appena a sopportarla. Che cosa avrà dunque sofferto quella delicatissima testa con questa corona di tormenti? 

Terminata l'incoronazione e gli scherni del Salvatore, il giudice lo prese per mano così conciato com'era e, traendolo alla vista del popolo furioso, disse: Ecce homo (Gv 19, 5). Come se dicesse: Se volevate dargli la morte per invidia, vedetelo qui in condizioni da non suscitare invidia ma compassione. Temevate che si facesse re, vedetelo qui così sfigurato da sembrare a stento un uomo. Da queste mani legate cosa temete? Da quest'uomo distrutto cos'altro volete? 

Puoi comprendere ora, anima mia, in che stato era allora il Salvatore, dal momento che il giudice credette che bastasse il suo aspetto per muovere il cuore di così duri nemici. Da ciò puoi ben capire che cattiva cosa sia che un cristiano non abbia compassione dei dolori di Cristo, dal momento che erano tali da bastare, come credette il giudice, a raddolcire cuori tanto crudeli. 

Quando poi Pilato vide che non erano sufficienti le torture che si erano inflitte a quel santissimo Agnello per ammansire il furore dei suoi nemici, entrò nel pretorio e si sedette in tribunale per dar l'ultima sentenza in quella causa. Già era alle porte preparata la croce, già sollevata in alto quella terribile bandiera che minacciava la testa del Salvatore. Data ed emessa, quindi, la sentenza crudele, i nemici aggiungono una crudeltà all'altra, caricando su quelle spalle tanto pestate e tormentate dalle passate percosse, il legno della croce. Non rifiutò il pietoso Signore questo peso in cui erano tutti i nostri peccati, l'abbracciò anzi, per amor nostro, con somma carità ed obbedienza. Cammina, dunque, l'innocente Isacco al luogo del sacrificio con quel peso tanto grave sulle sue spalle tanto deboli, e molta gente e molte donne pietose lo seguono e lo accompagnano con le loro lacrime. Chi non avrebbe dovuto spargere lacrime, vedendo il Re degli angeli camminare passo per passo con quel terribile peso, le ginocchia tremanti, il corpo ricurvo, gli occhi sereni, il volto insanguinato, quella corona sul capo e così vergognosi clamori ed insulti contro di lui? 

Frattanto, anima mia, distogli un poco lo sguardo da questo crudele spettacolo e, con passi affrettati, gemiti di dolore, occhi pieni di lacrime, vai verso la casa della Vergine e, quando vi giungerai, prostrata ai suoi piedi, comincia a dirle con voce di dolore: "O Signora degli angeli, regina del cielo, porta del paradiso, avvocata del mondo, rifugio dei peccatori, salvezza dei giusti, gioia dei santi, maestra delle virtù, specchio di purezza, esempio di castità, modello di pazienza e somma di ogni perfezione! Ahimè, mia Signora, perché la mia vista si è conservata fino ad ora? Come posso io vivere avendo visto quello che ho visto? A che servono altre parole? Lascio il tuo figlio unigenito e mio Signore nelle mani dei miei amici, con una croce sulle spalle, per essere tratto a morte"

Che senso può avere qui stabilire fino a che punto giunse questo dolore della Vergine? La sua anima venne meno, il volto e le sue membra virginee si coprirono di un sudore di morte che sarebbe bastato a stroncare la sua vita se la provvidenza divina non l'avesse preservata per maggiore dolore e maggior gloria. 

Cammina, dunque, la Vergine in cerca del figlio, il desiderio le da le forze che il dolore le toglie. Sente da lontano il rumore delle armi, il gruppo della gente, il clamore della folla che già lo circonda. 

Vede poi risplendere il ferro delle lance e delle alabarde che si elevavano in alto, vede sulla strada le gocce di sangue che le indicano la strada del figlio e la guidano senza bisogno di guida. 

Si avvicina sempre di più al suo amato figliolo e tende gli occhi oscurati dal dolore e l'ombra della morte per vedere (se ci riesce) colui che tanto amava la sua anima. O amore e timore del cuore di Maria! Da una parte ardeva di vederlo e dall'altra rifiutava di vedere la sua figura tanto degna di pietà. Giunge infine dove lo poteva vedere e quelle due luci del cielo si guardano l'un l'altra, si attraversano il cuore con lo sguardo e si feriscono con l'aspetto l'anima impietosita. Le lingue erano mute, ma il cuore della madre parlava e il dolcissimo figlio diceva: "Perché sei venuta qui, mia colomba, mia amata e Madre mia? Il tuo dolore aumenta il mio e i tuoi tormenti mi tormentano. Ritorna Madre mia, ritorna alla tua dimora, che non si confà al tuo pudore e purezza verginale questa compagnia di ladroni e di omicidi". 

Queste e altre pietose parole si saranno detti quei cuori impietositi e in questo modo si svolse fino al luogo della croce quella strada di dolore. 


Venerdì 

In questo giorno si devono meditare il mistero della croce e le sette frasi che il Signore pronunciò. 

Destati dunque, anima mia, e comincia a pensare al mistero della santa croce, il cui frutto risanò il male del velenoso frutto dell'albero vietato. Guarda in primo luogo come, giunto il Salvatore a quel luogo, quei perversi nemici (perché la sua morte fosse più vergognosa) lo spogliano di tutte le sue vesti fino alla tunica intima che era inconsutile. Guarda dunque con quanta mansuetudine si lascia spogliare quel santissimo Agnello senza aprir bocca né proferii parola contro coloro che così lo trattavano. 

Con buona volontà consentiva di farsi spogliare delle sue vesti e di restare ignominiosamente ignudo perché di quelle vesti, meglio che con le foglie di fico, si ricoprisse la nudità in cui cademmo col peccato originale. 

Alcuni padri della Chiesa dicono che, per togliere al Signore quella tunica, gli tolsero crudelmente la corona di spine che aveva sul capo e poi, dopo che era spogliato, tornarono a rimettergliela e a conficcargli di nuovo le spine sulla fronte, facendolo di nuovo grandemente soffrire. E bisogna credere, certo, che avranno usato questa crudeltà coloro che molte altre e terribili ne avevano usate nei suoi riguardi durante tutto il processo della sua passione, tanto più che l'evangelista dice che fecero di lui quello che volevano. E poiché la tunica era attaccata alle piaghe prodotte dalle percosse e il sangue era già rappreso e appiccicato alla veste, quei malvagi tanto incapaci di pietà, lo spogliarono togliendogliela di colpo e riaprendo tutte le piaghe delle percosse, in modo che il santo corpo fu aperto e come scorticato e trasformato in una grande piaga che gettava sangue da ogni parte. 

Considera dunque, qui, anima mia, la divina bontà e misericordia che in questo mistero così chiaramente risplende, guarda come colui che rivestì il cielo di nubi e i campi di fiori e di bellezza, sia qui spogliato di tutte le sue vesti. Pensa a quanto freddo avrà patito quel santo corpo che era straziato e ignudo, privo non solo delle sue vesti, ma anche della sua pelle, con tante piaghe aperte su tutto il corpo. E se Pietro che aveva veste e calzari, la notte prima aveva avuto freddo, quanto di più ne avrà avuto quel delicatissimo corpo così ferito e senza riparo! 

Dopo di ciò, pensa a come il Signore fu inchiodato alla croce e al dolore che avrà sofferto quando quei chiodi grossi e appuntiti saranno entrati nelle parti più sensibili del più delicato dei corpi. E pensa anche a quello che avrà provato la Vergine quando avrà visto coi suoi occhi e udito con le sue orecchie i crudeli e duri colpi che cadevano così frequenti su quelle membra divine, poiché veramente quei colpi di martello e quei chiodi trapassavano le mani al figlio, ma spezzavano il cuore alla Madre. 

Guarda poi come sollevarono in alto la croce piantandola in una buca che avevano preparato a questo scopo e come (essendo così crudeli i carnefici) per sistemarla, la lasciarono cadere di colpo, così che quel santo corpo avrà sobbalzato nell'aria e si saranno aperti ancora di più i fori dei chiodi, producendo intollerabile dolore. 

O mio Salvatore e Redentore, quale cuore di pietra ci sarà che non si spezzi di dolore (e in quel giorno infatti si spezzarono le pietre) ripensando a quanto hai sofferto su quella croce? Ti hanno circondato dolori di morte e hanno infuriato sopra di te tutti i venti e le onde del mare. Sei caduto nel più profondo degli abissi e non trovi dove aggrapparti. Il Padre ti ha abbandonato, che cosa speri, Signore, dagli uomini? 

I nemici ti scherniscono, gli amici ti spezzano il cuore, la tua anima è afflitta e tu, per amor mio, non vuoi conforto. Terribili furono certo i miei peccati e la penitenza che ne hai subito lo dimostra. 

Ti vedo, mio Re, attaccato a un legno: non c'è altro a sostenere il tuo corpo che tre ganci di ferro; da essi, senza alcun altro sollievo, pende la tua santa carne. Quando appoggi il corpo sui piedi, si strappano le ferite dei piedi a causa dei chiodi che li attraversano, quando lo appoggi sulle mani, si strappano le ferite delle mani per il peso del corpo. 

E la santa testa stanca e tormentata dalla corona di spine, che cuscino avrà a sostenerla? 

O come sarebbero ben impiegate ora a questo compito le vostre santissime braccia, o Vergine dolcissima, ma ora non le vostre serviranno, ma quelle della croce. Sopra di esse reclinerà la santa testa quando vorrà riposare e l'unico sollievo che ne ritrarrà sarà il configgersi più forte delle spine nella carne. 

I dolori del figlio erano aumentati dalla presenza della Madre, dai quali dolori il suo cuore era intimamente straziato come esteriormente lo era il sacro corpo. Ci sono due croci per te, o buon Gesù, in questo giorno! una per il tuo corpo, una per la tua anima; una della passione, l'altra della compassione; una trafigge il corpo con chiodi di ferro, l'altra la tua santissima anima con chiodi di dolore. 

Chi potrebbe, buon Gesù, spiegare quello che hai sofferto vedendo le angosce di quell'anima santissima, che sapevi così chiaramente essere con tè crocifissa alla croce? Vedendo quel cuore pietoso trafitto e attraversato da un coltello di dolore, volgendo gli occhi insanguinati e guardando quel volto divino coperto da un pallore di morte? E le angosce del tuo animo senza morte, ma già più che morto? E i fiumi di lacrime che scorrevano da quegli occhi purissimi? E udendo i gemiti strappati da quel santo petto e generati dal peso di tanto grande dolore? Dopo di ciò, puoi meditare le sette frasi che il Signore pronunciò sulla croce. Delle quali, la prima fu: Padre perdona loro, che non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). La seconda al ladrone: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). La terza alla sua Santissima Madre: Donna, ecco tuo figlio (Gv 19, 26). La quarta: Ho sete (Gv 19, 28). La quinta: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46). La sesta: Tutto è compiuto! (20). La settima: Padre, nelle tue mani, raccomando il mio spirito (Lc 23, 46). 

Pensa, dunque, anima mia, con quanta carità in queste parole raccomandò i suoi nemici al Padre, con quanta misericordia accolse il ladrone che gli proclamava la sua fede, con quanta tenerezza raccomandò il discepolo amato alla pietosa Madre, con quale ardente sete mostrò di desiderare la salvezza degli uomini, con che voce dolente sparse la sua preghiera e dichiarò la sua sofferenza prima della divina sottomissione, come perfettamente portò a termine la sua obbedienza al Padre e come, infine, gli raccomandò lo spirito e tutto si consegnò nelle sue benedettissime mani. Da ciò appare evidente che in ciascuna di questa è racchiusa una testimonianza di virtù. Nella prima si raccomanda la carità verso i nemici, nella seconda la misericordia verso i peccatori, nella terza il rispetto verso i genitori, nella quarta il desiderio di salvezza del prossimo, nella quinta la preghiera del dolore e dell'abbandono di Dio, nella sesta la virtù dell'obbedienza e della perseveranza, nella settima la perfetta rassegnazione nelle mani di Dio, che è la più alta di tutte le nostre perfezioni. 


Sabato 

In questo giorno, si deve meditare sul colpo di lancia che fu dato al Salvatore e alla deposizione dalla croce, col pianto della nostra Signora e il rito della sepoltura. 

Considera dunque, come, essendo già spirato il Salvatore sulla croce ed essendosi realizzato il desiderio di quei crudeli nemici che tanto desideravano vederlo morto, ancora non si estinse la fiamma del loro furore, perché si vollero ancor più vendicare ed accanirsi sulle sante reliquie che restavano, dividendo e tirando a sorte le sue vesti e squarciando con una lancia crudele il suo santo petto. 

O crudeli carnefici! O cuori di ferro, tanto poco vi sembra che il corpo vivo abbia patito che non volete averne pietà neppure da morto? Quale terribile moto di rancore non si placa quando vede innanzi a sé il nemico morto? Alzate un poco quegli occhi crudeli e guardate quel volto di morte, quegli occhi spenti, quel viso distrutto, quel pallore e quell'ombra di morte, che, anche se siete più duri del ferro, del diamante o di voi stessi, guardandoli, vi ammansirete. Giunge, quindi, il carnefice con la lancia in mano e la scaglia con forza nel petto nudo del Salvatore. Per la forza del colpo, la croce vibrò nell'aria e dalla ferita uscirono acqua e sangue con cui furono rimessi i peccati del mondo. 

O fiume che esci dal paradiso e irrighi con il tuo corso tutta la faccia della terra! O piaga del sacro costato prodotta più dall'amore degli uomini che dal ferro della lancia crudele! 

O porta del cielo, finestra del paradiso, luogo di rifugio, torre di fortezza, santuario dei giusti, sepolcro dei pellegrini, nido di dolci colombe e letto fiorito della sposa di Salomone! 

Dio ti salvi, piaga del sacro costato, che piaghi i cuori devoti, ferita che ferisci le anime dei giusti, rosa di ineffabile bellezza, rubino di inestimabile valore, porta del cuore di Cristo, testimonianza del suo amore e pegno della vita eterna! 

Dopo di ciò, considera come la sera di quello stesso giorno giunsero quei due santi uomini, Giuseppe e Nicodemo e, appoggiate le loro scale alla croce, calarono a braccia il corpo del Salvatore. 

Quando la Vergine vide che, terminata la. tempesta della passione, il santo corpo giungeva a terra, si preparava a dargli sicuro rifugio sul suo petto e ad accoglierlo dalle braccia della croce nelle sue. Chiede quindi umilmente a quella nobile gente che, poiché non aveva preso congedo da suo figlio ne aveva ricevuto da lui gli ultimi abbracci sulla croce, al tempo della sua partenza, la lascino ora ricongiungersi e non vogliano che ancora aumenti il suo sconforto perché, se da una parte da vivo glielo hanno portato via i nemici, dall'altra, ora, gli amici non glielo lasciano da morto. Quando dunque la Vergine l'ebbe fra le sue braccia, che lingua potrebbe esprimere ciò che provò? O angeli della pace, piangete con questa santa Vergine! Piangete cieli, piangete stelle del cielo e con voi tutte le creature del mondo, accompagnate il pianto di Maria. 

La Madre abbraccia il corpo straziato, lo stringe forte al petto (solo per questo le restavano le forze), pone il suo volto fra le spine del sacro capo, il volto si congiunge al volto, il volto della santissima Madre si tinge del sangue del figlio e quello del figlio si bagna delle lacrime della Madre. 

O dolce Madre! È questo, per ventura, il vostro dolcissimo figlio? È quello che avete concepito con tanta gloria e partorito con tanta gioia? Che cosa è accaduto delle vostre gioie passate? Dov'è andata la vostra passata felicità? Dov'è ora lo specchio di bellezza in cui vi contemplavate? Tutti coloro che erano presenti piangevano, piangevano le sante donne, i nobili uomini, piangevano il cielo e la terra e tutte le creature accompagnavano le lacrime della Vergine. Piangeva anche il santo evangelista e, abbracciato al corpo del suo Maestro, diceva: " O buon Maestro! o Signor mio! chi d'ora in poi mi insegnerà? A chi esporrò i miei dubbi? Sul petto di chi riposerò? Chi mi farà partecipe dei segreti del cielo? Che terribile mutamento è accaduto! La notte scorsa mi tenesti sul tuo santo petto, dandomi gioia di vita ed ora ripago quel grande dono, tenendo te morto sul mio petto? Questo è il volto che ho visto trasfigurato sul monte Tabor? Questa è la figura risplendente nel sole di mezzogiorno? ".

Piangeva anche la peccatrice, abbracciata ai piedi del Salvatore e diceva: "O luce dei miei occhi e salvezza della mia anima! Se mi vedrò prostrata dai peccati, chi mi accoglierà? Chi curerà le mie ferite? Chi risponderà per me? Chi mi difenderà dai farisei? Quanto diversamente ebbi tra le mani questi piedi e li lavai quando mi accogliesti! O amato del mio cuore! Chi potrebbe concedermi ora di morire con te? O vita della mia anima! Come posso dire di amarti se sono viva mentre ho tè morto davanti ai miei occhi?". In questo modo piangeva e si lamentava quella santa compagnia, bagnando e lavando con le lacrime il santo corpo. 

Giunta poi l'ora della sepoltura, avvolgono il santo corpo in un lenzuolo pulito, coprono il volto con un sudario e, postolo su un giaciglio, vanno con lui al luogo del sepolcro e lì depositano quel prezioso tesoro. Il sepolcro fu chiuso da una pietra e il cuore della Madre da un'oscura nebbia di tristezza. Lì si congeda un'altra volta da suo figlio, lì comincia di nuovo a vivere la sua solitudine, lì si vede privata di ogni suo bene, lì resta sepolto il suo cuore, dove resta il suo tesoro. 


Domenica 

In questo giorno, potrai pensare alla discesa del Signore al limbo, alla sua apparizione alla Madonna, alla santa Maddalena e ai suoi discepoli e, infine, al mistero della sua gloriosa ascensione.

Riguardo al primo punto, pensa a quanto sarà stata grande la gioia che quei santi padri del limbo avranno provato per la presenza e la visita del loro liberatore e quanto lo avranno ringraziato e lodato per la loro tanto attesa e desiderata salvezza. 

Coloro che tornano in Spagna dalle Indie Orientali dicono di ritenere ben ripagato tutto il travaglio della passata navigazione dalla gioia che provano tornando alla loro terra. Se producono questo effetto la navigazione e l'esilio di un anno o due, che cosa avrà prodotto l'esilio di tre o quattromila anni il giorno che si sarà ricevuta tanto grande salvezza e si sarà approdati alla terra dei viventi? 

Pensa anche alla gioia che la santissima Vergine avrà provato alla vista del figlio risuscitato, poiché è certo che, come fu lei quella che più soffrì i dolori della sua passione, così fu lei quella che più esultò della gioia della sua resurrezione. Che cosa avrà dunque sentito quando si sarà visto davanti il figlio vivo e glorioso, accompagnato da tutti i santi padri che resuscitarono con lui? Cosa avrà fatto? Cosa avrà detto? Quali saranno stati gli abbracci, i baci, le lacrime dei suoi occhi pietosi? E il desiderio di andarsene con lui, se le fosse stato concesso? 

Pensa anche alla gioia di quelle sante Marie e soprattutto a quella di colei che continuava a piangere sul sepolcro, quando avrà visto l'amato dell'anima sua e si sarà gettata ai suoi piedi e avrà trovato risuscitato e vivo colui che cercava e desiderava almeno da morto. E guarda come, dopo essere apparso alla Madre, apparve per primo a quella che maggiormente amò, maggiormente perseverò, maggiormente pianse e con maggiore sollecitudine lo cercò, così che tu possa avere ben chiaro che troveresti Dio se lo cercassi con le stesse lacrime e con la stessa perseveranza. 

Considera il modo in cui apparve ai discepoli che andavano ad Emmaus come pellegrini (Lc 24, 13) e pensa come si mostrò affabile, come si accompagnò a loro famigliarmente, quanto dolcemente si dissimulò loro e, infine, quanto amorosamente si rivelò loro e li lasciò col miele e la dolcezza sulle labbra. Siano dunque come i loro i tuoi discorsi e tratta con dolore e partecipazione ciò che così essi trattavano (vale a dire i dolori e le tribolazioni di Cristo) e sta' sicuro che, se te ne ricorderai sempre, non ti mancheranno mai la sua presenza e la sua compagnia. 

Circa il mistero dell'ascensione, considera in primo luogo che il Signore ritardò questa ascesa al cielo quaranta giorni e che durante questi apparve molte volte ai suoi discepoli a cui dava il suo insegnamento e con i quali parlava del regno di Dio (At 1, 3). 

Non volle infatti salire al cielo ne’ separarsi da loro, fino a che non potesse lasciarli tali da poter salire al cielo con Lui. Vedrai quindi che coloro a cui manca molte volte la presenza fisica di Cristo (cioè la consolazione sensibile della devozione) possono ugualmente salire al cielo con lo spirito ed essere sicuri dal pericolo. In ciò meravigliosamente risplende la provvidenza di Dio e il modo che ha di trattare i suoi in tempi diversi, come rafforza i deboli ed esercita i forti, da il latte ai piccoli e svezza i grandi, gli uni consola, gli altri mette alla prova e così tratta ciascuno secondo la misura del suo vantaggio. 

Per questo, ne’ colui a cui viene donato deve inorgoglirsi perché il dono è prova della sua debolezza, ne’ colui che è lasciato senza conforto deve abbattersi, poiché ciò è, a volte, segno della sua forza. 

In presenza dei suoi discepoli e mentre essi lo vedevano (At 1, 3), salì al cielo, poiché essi dovevano essere testimoni di questi misteri e nessuno è miglior testimone delle opere di Dio di colui che le conosce per esperienza. Se vuoi sapere davvero quanto Dio è buono, quanto è dolce e soave con i suoi, quanta sia la forza e l'efficacia della sua grazia, del suo amore, della sua provvidenza e delle sue consolazioni, domandalo a coloro che ne hanno fatto l'esperienza, che te ne potranno dare la più ampia testimonianza.

Volle anche che lo vedessero salire al cielo perché lo seguissero con gli occhi e con lo spirito, perché soffrissero della sua dipartita, sentissero la solitudine per la sua assenza, poiché questa era la migliore preparazione per ricevere la sua grazia. Eliseo chiese ad Elia il suo spirito e il buon maestro gli rispose: Se mi vedrai quando ti sarò tolto, riceverai quello che hai chiesto (2 Re 2, 10). 

Saranno infatti eredi dello spirito di Cristo coloro a cui l'amore farà provare dolore per il suo allontanamento, che soffriranno della sua assenza e in questo esilio resteranno a sospirare sempre la sua presenza. Così soffriva quel santo uomo che diceva: Sei stato il mio consolatore e non ti sei congedato da me, andando per la tua strada, hai benedetto i tuoi e io non me ne sono accorto. Gli angeli hanno promesso che saresti tornato e io non ho sentito... 

Quali saranno stati dunque la solitudine, il dolore, le parole e le lacrime della santissima Vergine, dell'amato discepolo, della santa Maddalena e di tutti gli apostoli quando avranno visto andarsene e scomparire dai loro occhi colui che aveva conquistato i loro cuori? E, malgrado ciò, si dice che tornassero a Gerusalemme pieni di gioia perché tanto lo amavano. Il medesimo amore infatti che li faceva soffrire per la sua partenza, li faceva esultare per la sua gloria, perché il vero amore non ha per oggetto se stesso, bensì colui che si ama. 

Resta da meditare con quanta gloria, con quale gioia, con che grida di esultanza e di lode sarà stato accolto quel nobile trionfatore nella città sovrana, quali saranno state la festa e l'accoglienza che gli avranno tributato, che spettacolo sarà stato vedere uniti insieme uomini ed angeli e tutti insieme camminare per quella nobile città e riempire i seggi da tanti anni deserti e salire al di sopra di tutti quella santissima umanità e sedersi alla destra del Padre. Bisogna riflettere molto su questo per vedere quanto sono ben spese le sofferenze per amore di Dio e come colui che si umiliò e patì più di tutte le creature sia qui reso più grande e innalzato al di sopra di tutte loro, perché coloro che amano la vera gloria capiscono la strada che debbono percorrere per giungervi, cioè abbassarsi per ascendere e porsi al di sotto di tutti per essere, al di sopra di tutti, innalzato. 

a cura del Rev. Padre Pasquale Valugani Milano : 
Pontificia editrice arcivescovile G. Daverio, stampa. 1953 



LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano