Scelta radicale, assoluta, che va ben ponderata se si vuol conoscere la grandezza del cuore di Bruno. Osar da solo affrontare un prelato che è riuscito a giustificarsi dinanzi alle autorità della Chiesa Romana, dinanzi al Papa, e che, con una mano che sembra sincera, vi offre la possibilità d'una riconciliazione è dar prova d'un singolare amore della verità, della giustizia, dell'onestà. Chi così agisce è un uomo che sa già contentarsi di Dio: per lui la solitudine non è più un esilio, bensì la pienezza della fede viva e della carità: << Il Signore renderà il suo deserto ameno come un Eden e la sua solitudine come un giardino di Dio. Vi si troverà la gioia e l'allegrezza, l'inno di ringraziamento e voci di lode ( Is 51, 3 ) >>.
Conoscendo il carattere e la grazia di Bruno, non è cosa certa che un giorno gli sia costato di più il rifiuto della sede arcivescovile di Reims che il troncar le relazioni con l'arcivescovo trionfante. In ogni modo, la sua coscienza il problema si poneva in altri termini. Egli aveva lottato per la giustizia e la verità. Manasse scacciato da Reims, per Bruno la lotta era terminata; ora che le circostanze erano favorevoli bisognava che sciogliesse il voto fatto nel giardinetto di Adamo e partisse per una nuova solitudine, la solitudine monastica, più precisamente la solitudine del deserto.
Come avvenne la sua partenza da Reims? Tace al riguardo la storia. Alcuni biografi dicono che per sottrarsi all'episcopato dovette nascostamente << fuggire >> dalla città. Altri ( la cui affermazione purtroppo sembra gratuita ) lo mostrano che distribuisce tutti i suoi averi ai poveri prima della partenza, e gli fan prender commiato dal clero r dal popolo remese con un magnifico sermone: << Egli commentò la massima che aveva fatto sua: " Ho volto in mente gli anni eterni, son fuggito lontano e mi son fermato nella solitudine " . Parlò con tanta forza, unzione ed autorità, l'impressione che produsse fu sì viva e profonda che alcuni degli uditori si mostrarono pronti a seguirlo. Tra gli altri la storia fa il nome di Pietro di Béthune e Lamberto di Borgogna che sostituirono così Fulcius ( Fulcoio ) e Rodolfo Le Verd >>.
Certo è che rinunziando alla sede arcivescovile remese offertagli e scegliendo la solitudine e << le cose eterne >> Bruno agiva con piena cognizione di causa. Egli aveva esperienza di quanto lasciava, e quale esperienza! E fuor di dubbio che la tremenda crisi di Reims si profilerà nello sfondo delle esortazioni, in apparenza troppo severe, che farà a Rodolfo Le Verd: << Non ti trattengono le fallaci ricchezze che non riescono a sopprimere la nostra indigenza, né la dignità di prevosto che non può essere esercitata senza gran pericolo per l'anima. Poiché convertire in proprio uso beni altrui, di cui sei solo amministratore e non proprietario, è - sia detto con tua pace - un atto tanto odioso quanto ingiusto.
Che se sarai desideroso di splendore e di gloria e vorrai avere servitù numerosa, quando verranno a mancare i tuoi beni legittimi non sarà forse necessario che in un modo o nell'altro debba sottrarre agli uni quel che darai agli altri? >>. In tal consigli riecheggia ancora tutta la storia dell'episcopato di Manasse I.... ed in certo senso la storia d'una gran parte della Chiesa di quel tempo. Quale precisamente era l'intenzione di Bruno nel far voto coi due compagni nel giardinetto di Adamo, o alcun tempo dopo nell'allontanarsi da Reims? Qual forma di vita si era risolto di abbracciare? Il suo disegno era già preciso? Per farci luce sui codesti delicati quesiti non abbiamo che le parole della lettera a Rodolfo Le Verd ( scritta più di dieci anni dopo la fondazione della Certosa ): << Disposuimus... fugitiva saeculi renquere et aeterna captare, necnon monochicum habitum recipere >>.
Se ci si ricorda che quest'ultima espressione in quel tempo non significava che << abbracciare la vita monastica >>, senza alcuna determinazione della sua forma cenobitica od eremitica, la lettera a Rodolfo Le Verd ci indica solo due punti certi dell'intenzioni di Bruno e dei suoi compagni: il proposito di << abbandonare le vanità del mondo per conseguire i beni eterni >>, vale a dire la volontà di lasciare da parte ogni occupazione e relazione secolare per consacrarsi unicamente alla vita divina della Grazia. Certo avremmo desiderato di sapere se Bruno fin dalla partenza da Reims o, meglio ancora, fin dalla conservazione nel giardinetto di Adamo avesse determinato lo stile di vita che doveva essere il suo in Certosa: Tale certezza farebbe luce in modo singolare sulla tappa << Séche-Fontaine >> del suo itinerario verso la Certosa, di cui fra breve trarremo; ma conviene che ci contentiamo di quel che abbiamo, cioè dei documenti riguardanti Séche-Fontanie: essi ci illumineranno al contrario del suo disegno.
Nondimeno, già siamo certi di un fatto: Bruno non sceglierà una forma di vita monastica che lo avrebbe lasciato in contatto con i fugaci beni del secolo - << fuggitiva saeculi >> - ed i cui obblighi avrebbero potuto distoglierlo dall'<< aeterna captare >>, dal conseguire quelli eterni. Nella sobrietà stessa di codeste due espressioni vi è un'intransigenza, un desiderio di assoluto che rimuove dal suo disegno tutto ciò che potrebbe compromettere la purezza della vita monastica. Un giorno con esattezza non precisabile, ma che va posto tra il 1081 ed il 1083, Bruno con due compagni Pietro e Lamberto, lasciava Reims avviandosi verso sud in direzione di Troyes. Lì alla distanza di circa 150 chilometri da Reims - 40 chilometri a sud-est di Troyes - a Molesmes dalla fine del 1075 v'era un'abbazia il cui abate, Roberto, godeva gran reputazione di saggezza e di santità. Egli aveva raggruppato a sé alcuni eremiti della foresta di Collan ( presso Tonnerre ) formandoli alla vita benedettina. L'abbazia era povera: nel 1083 il vescovo signore di Langres doveva rivolgersi ai suoi vassalli per salvare il monastero dalla miseria condizione in cui era caduto. E nondimeno detta povertà favoriva il fervore dei monaci...
Continua...
Andrè ravier
LAUS DEO
Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano