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lunedì 29 febbraio 2016

MODELLO DI NOVIZIO FRA CANDIDO MARIA DA MAZZARINO CAPPUCCINO - PARTE QUARTA.




VII 
A Calascibetta 

I giovani più volenterosi solevano essere ammessi al noviziato dopo percorsa la quarta ginnasiale, riserbando la quinta all’anno seguente. Totò Scebba terminò la quarta in Luglio 1934, e non avendo ancora raggiunto i 15 anni richiesti per l’ammissione, dovette attendere fino a Dicembre, quando gli fu concesso di passare un mese in famiglia a Mazzarino, per poi di là recarsi direttamente a Calascibetta, nel noviziato. 
Un mese in famiglia, dopo due anni che n’era stato assente, gli riuscì assai gradito. Nondimeno i suoi discorsi in quel tempo e le sue aspirazioni convergevano costantemente al compimento del suo sogno di vestire le Serafiche Lane del Padre San Francesco, e poi divenire sacerdote. Né finiva di parlare della bellezza del vocazione religiosa. Scrive la madre: << Oh! Quante cose in questo mese raccontava stando in famiglia! Era inesauribile nel parlare della vocazione religiosa. Parlava con tanto amore di volere essere Cappuccino e desiderava di presto partire per il noviziato >>. Questo desiderio gli si acuì maggiormente per la prolungata attesa a cui fu costretto, perché il Provinciale tardò a comunicargli la data di partenza. Egli però temperava la sua nostalgia con la frequenza del convento, dove ogni giorno andava a servire la Messa, a farvi la Comunione e riprendervi contatto coi religiosi, coi quali provava sempre una gioia viva. 
Finalmente gli venne assegnato il 22 Gennaio ( 1935 ) per la partenza. Ma quel giorno turbinava tanta neve, che il viaggio fu rimandato. Si attese ancora due giorni, che per lui furono tortura, rimanendo assai dispiaciuto. Intanto il Padre Gaetano, forse ispirato dalla visione di quel candido velo di cielo di cui si era coperto la terra, gli disse che alla vestizione avrebbe dovuto assumere il nome di Fra Candido. Egli ne fu lietissimo, e diceva: 
- Spero che l’anima mia sia per essere candida come questa neve. -  
Il tempo s’abbonacciò, e il 23 fu deliberata la partenza per l’indomani, in cui egli egli si mise assai festante in automobile insieme coi genitori, un fratellino e Padre Gaetano, da essi forzato ad accompagnarli, dicendogli la madre: 
- Voi Padre, avete fatto tanto finora; è giusto che compiate l’opera. Totò lo desidera molto.
Lungo il viaggio, sotto la montagna di Enna, a causa della neve ghiacciata, l’auto slittò, battendo contro un parapetto. Fortunatamente non si ebbero conseguenze sinistre, all’infuori d’un po’ di paura per tutti e di fatica per rimettere a posto la macchina. << Arrivati a Calascibetta - scrive Padre Gaetano - Totò venne presentato al Padre Maestro, che lo condusse al noviziato. I genitori erano addolorati di dover lasciare il figliuolo, e nel separarsi piansero abbastanza. Io li pregai - specialmente la madre - di desistere, per non impressionare il giovinetto. Se Totò abbia pianto non ricordo >>. 
Totò non pianse. 
I suoi genitori scrivono: << Non profferì parola. Si licenziò in silenzio, mesto e paziente. Il dolore lo sentiva, ma non lo fece trasparire. Soffriva nel cuore. Non pianse, perché non era sua abitudine e non piangeva mai; solo al separarci volle la nostra benedizione e quella di Padre Gaetano >>. 
Prima che noi tocchiamo l’argomento doloroso della forte tentazione subita da Totò a Calascibetta, conviene che diciamo qualche parola del luogo in cui venne a trovarsi. 
Invece della gioia che si riprometteva in quella fausta occasione, ebbe egli a sperimentare amarezza ed un abbattimento che mai aveva provato. 
Calascibetta - cittadina di appena otto mila abitanti - ha una posizione incantevole, su una montagna a picco, che si erge nel centro della Sicilia, dirimpetto a Enna, dalle quale è separata solo da un profondo avvallamento. Il convento dei Cappuccini, fuori dall’abitato, occupa l’apice di una collinetta isolata, verso occidente con vasti orizzonti da tutti i lati. I corridoi sono ampi e le finestre alte, le pareti pulite e rimodernate, le stanzette piccole, ma linde e simpatiche. Allo stesso modo l’unita chiesa, bianca, semplice, con volta elevata. Anch’essa si presenta gaia e fa eccellente impressione su tutti. 
Ma allora si era d’inverno, e per giunta in un periodo di eccezionale rigore. Se a Mazzarino - che è più basso - aveva già nevicato abbondantemente, a Calascibetta - assai più elevata - la neve era più alta e dormiva tranquilla. Inoltre la nebbia in quel pomeriggio avvolgeva ogni cosa, rendendo più pesante l’atmosfera e tetra la giornata. Invece quando vi brilla il sole, Calascibetta è un incanto. In noviziato occupa il più lungo corridoio del conventino, con numerose stanze a mezzogiorno. Il Maestro Padre Simplicio ( lo chiameremo così ) soleva assegnare i nuovi venuti ( com’è naturale ) le migliori stanzette, usando con essi più riguardi e più carezze, affinchè avessero potuto ambientarsi più facilmente e sentire d’essere amati. 
Ordinariamente i giovani vanno al noviziato sui 15 anni, di rado sui 16, 17 o più. Or siccome durante il ginnasio, nel seminario di Gela, stanno sempre a contatto coi frati, vi hanno già una certa familiarità e ne conoscono l’andamento e la vita, per cui accendono lieti e festanti al noviziato, dove in genere non hanno a subirvi impressioni sinistre né sgomento di situazioni differenti. 
Senza dubbio ivi si dà ad una vita più mortificata e raccolta e si è soggetti a prove differenti. Ma s’intende che ciò vien fatto con modi adatti e benevoli, conforme all’età dei ragazzi, in maniera dolce e progressiva, preparandone prima l’animo e la volontà. Anzi nei primi giorni e nel primo mese si lascia che il giovane si orienti sul contegno degli altri e ne subisca piuttosto l’esempio anziché farlo oggetto di richiami, e molto meno di rampogne. 
Si può aggiungere inoltre ch’essi fin dal seminario sanno come la vita di noviziato sia più stretta e disciplinata e come si sia assoggettati a prove e mortificazioni varie. In tal modo quando vi son dentro, lungi dal trovarla pesante, vi si ambientano a meraviglia e vi stanno generalmente contenti. 
Seguendo le vicende della vita interiore ed esteriore di Fra Candido, non mancheremo in seguito d’inquadrarle fedelmente nell’ambiente in cui essa si svolge, affinchè il lettore possa meglio comprenderne il contenuto a gustare la sostanza. 
Veniamo ora alla crisi imprevista e repentina del nostro Totò Scebba, il quale ebbe ad affrontare una lotta penosa, proprio alla soglia di quel luogo, ch’egli credeva - e lo divenne infatti - un paradiso. 


VIII 
Tentazione e vestizione 

Totò allorchè si separò dai suoi non pianse, ma sembra che le lacrime dei genitori lo abbiano profondamente scosso. Per fortuna tratteggiò egli stesso questo doloroso e breve periodo in alcune paginette del suo Diario che comincia con questa scena: << Avevo sognato - egli scrive - e in mille modi vagheggiato questo giorno della partenza da Mazzarino, e ora non era più sogno, poiché mi trovavo già in viaggio. Calascibetta era stata la meta dei sospiri. Ma ciò che avevo sognato con gioia, si compiva ora con grande dolore >>. E soggiunge: << Mai in vita mia avevo sentito sì forte amore e attaccamento ai miei genitori e parenti, come l’intesi nel separarmi. Non piangevo, ma ero rattristato grandemente >>.
S’iniziava una crisi, fino allora sconosciuta al suo spirito. 
Infatti più in là soggiunge: << Mi separai, ma in quell’ultimo abbraccio il cuore mi si spezzò dal dolore. Nonostante ciò mi separai >>. 
Evidentemente il diavolo, che provava tanta gelosia di quest’angelico fanciullo, metteva in opera le sue arti e lo suggestionava, e non avendolo potuto rovinare fisicamente quando fece slittare l’auto durante il viaggio, tentava ora di abbatterne lo spirito al principio del suo noviziato. Il ragazzo stesso vi riconobbe le sue arti maligne. 
I novizi ch’egli trovò a Calascibetta erano stati suoi compagni a Gela, e solo da pochi mesi l’avevano preceduto là. Gli fecero la più lieta accoglienza, molto più che tutti gli avevano una stima particolare. Egli all’esterno non faceva trasparire i sentimenti di tristezza che l’opprimevano, ma in realtà si sentiva addirittura schiacciare. << All’esterno mi dimostravo lieto - egli scrive nel Diario - ma nell’interno era ben altra cosa. Quando mi trovavo solo piangevo, e facevo non pochi disegni per uscire dal noviziato, perché non volevo stare qui >>. 
Ma il Signore non lo lasciò solo a lottare il suo piccolo servo e gl’ispirò di chiedere consiglio, molto più che egli - anche nuotando nella tristezza - non lasciava di pregare. 
E qui fu la sua salvezza. 
<< Un pensiero mi balenò - narra egli stesso - di cercare un consiglio, un aiuto, un conforto. Da chi? Dal Padre Maestro. Vi andai timido e lento, e gli esposi tutto. Egli alle mie prime parole rise, e ora me rendo conto. Con dolci parole mi fece rilevare l’errore in cui ero caduto, essendo tutta opera del demonio, il quale vedendo sfuggirsi un’anima, voleva farla sua. Mi raccomandò la preghiera fervida e costante, e mi disse: Quando viene il diavolo, rompigli le corna con la preghiera, e scapperà senza ritorno, per timore che gli venga rotta anche la testa >>. 
 In questa narrazione Totò è proprio preciso, anche nelle parole ( ci assicura il Maestro Padre Simplicio ), poiché si presentò davvero timido e lento, com’era del resto naturale in quella situazione. 
Ad ogni modo, dopo aver parlato col Padre Maestro, l’animo suo si rasserenò, ma solo per poco, com’egli stesso soggiunge: << Quelle dolci convincenti parole del Padre Maestro mi diedero pace, dissipando le tenebre dell’anima mia. Durò poco però la tregua, perché nel giorno stesso tornarono quei pensieri con grande mio dispiacere, non ostante che mettersi in pratica le sue raccomandazioni >>. 
Nell’insieme, poiché egli si manteneva fedele nel pregare, si fortificava nello spirito, per quanto la lotta non cessasse. Nei momenti in cui l’oppressione diveniva forte, tornava fiducioso da quello. << Andai dal Padre Maestro - egli scrive - per qualche conforto, ed egli, dopo avermi ripetuto il discorso del giorno precedente, mi disse che il 2 Febbraio mi avrebbe vestito novizio, e allora la tentazione si sarebbe allontanata definitivamente, perché San Francesco col cingolo mi avrebbe stretto a sé e non avrebbe permesso che il diavolo disturbasse un suo figliolo. Indovinando inoltre che il cattivo tempo contribuiva a rendermi triste mi assicurò che in seguito sarei stato contento, poiché tornando il bel tempo, avremmo potuto fare belle passeggiate. Mi parlò anche della grande dignità del sacerdozio, stato a cui aspiravo >>. 
Padre Simplicio ignorava quella sua arcana aspirazione al sacerdozio, che stava come base della sua vocazione e della vita stessa; ma con l’avergliene parlato, toccò evidentemente la corda più sensibile del suo cuore, e la tristezza si dissipò. Queste fluttuazioni e tentazioni durarono fino al 1° Febbraio, vigilia della sua vestizione religiosa. In certi momenti l’avvolgeva una tenebra così fitta e triste, da farlo decidere ad andarsene. Anzi aveva stabilito di scriverne a casa sua: << In quei giorni avevo stabilito - dice lui stesso - di scrivere ai miei genitori, per informarli del mio stato, affinchè mio padre fosse venuto a rilevarmi, perché io non volevo stare più in noviziato >>. 
Trionfava di questi sentimenti allorchè, facendo uno sforzo, s’imponeva al tumulto dei pensieri e si metteva a pregare: << Ricorsi alla preghiera - dice egli - e quei pensieri si chetarono un po’. Oh! com’è grande la potenza della preghiera! >>. E poi soggiunge: << Oh scaltrezza del demonio e sciocchezza mia!… Ero sciocco perché, invece di pregare, davo ascolto a quei pensieri. La scaltrezza del demonio non può nulla contro chi prega, perché ha Dio come scudo >>. 
Pregava lui, pregava il Maestro, si pregava anche a Mazzarino, dove Padre Simplicio ne aveva scritto a Padre Gaetano. 
Il 1° Febbraio la serenità fu completa e il trionfo definitivo. L’indomani Totò doveva indossare per sempre l’Abito Francescano, oggetto di tanti suoi ansiosi desideri. Finalmente era per divenire figlio del Patriarca San Francesco ed era per avviarsi sul serio verso il sacerdozio. << Oh che gioia! - esclama egli, notando al 1° Febbraio - com’è buono il Signore e quanti favori mi fa! Domani Gesù mi farà indossare l’Abito del Serafino d’Assisi. Gesù m’ha travagliato per un po’ di giorni con quei tristi pensieri, ma ora mi fa gustare la gioia. Come comprendo adesso che tutto è stato opera del demonio! >>. 
Allorchè riprendeva la serenità dopo la lotta, dal suo cuore erompeva subito il palpito della gratitudine e dell’amore: << Gesù m’ha tolto dal mondo - egli dice - perché mi ama e vuole usarmi misericordia. Quanti giovani sono rimasti nel secolo, che forse avrebbero servito meglio di me Dio, eppure egli ha scelto me, perche mi vuole santo. Che gran dono la vocazione! >>. 
Gusta egli fin d’ora il grande privilegio della vocazione religiosa, e fa di tutto per corrispondervi bene: << Oggi non vedo l’ora che spunti domani, gran giorno invero per me! >>. Il 1° Febbraio era venerdì, e avendo egli già deciso d’iniziare la pratica dei Primi Nove Venerdì, volle accudirvi con particolare diligenza: << Questa mattina - egli nota - ho fatto la Comunione un po’ fervorosa, in preparazione al gran giorno di domani e per consolare il Sacro Cuore di Gesù per gli oltraggi che si fanno da tanti peccatori >>. Non poteva al certo premettersi preparazione migliore di quella sua, né provare sentimenti più nobili. 
E l’indomani venne. 
Anche il tempo era sereno, e il sole sembrava prender parte alla festa che si celebrava nel conventino di Calascibetta, ma soprattutto nel cuore di Totò. E poi, era anche la Festa della Purificazione di Maria, ciò che non poteva sfuggire alla pietà del giovinetto. << Quant’è buona la Madonna! - esclama egli - Ella vuole ch’io indossi l’Abito di San Francesco in un giorno dedicato a Lei >>. La sua vestizione venne dunque a compirsi sotto buoni auspici. 
<< Ho cercato di prepararmi - dice egli - con santi ardori e desideri di ricevere l’Abito. Sembrava non dovesse venir mai questo giorno, e ora invece mi trovavo ai piedi dell’altare. Recitate le preghiere prescritte e cantato il Veni, Creator Spiritus, il Padre Maestro m’impose l’Abito e il Cingolo, e poi pronunziate alcune parole di esortazione, insieme coi compagni mi fece tornare in noviziato >>. 
Il nuovo nome di Fra Candido, impostogli al momento della vestizione, nel giorno della Madonna, per lui fu un simbolo. Nel Diario vi traccia intorno un programma, che davvero è un’epopea per un ragazzo: << Il mio nuovo nome di Fra Candido - scrive egli - cioè bianchissimo, lo terrò sempre ben caro, perché mi fu dato la prima volta in un giorno caro alla Vergine, a cui piace il candore e la purità. Mi sforzerò di essere candido non di nome, ma di fatto, interamente, per omaggio a Maria, giglio purissimo >>. 
Esternamente era già Cappuccino, figlio vero di San Francesco. 
Lo diverrà anche all’interno? 
Ecco cosa promette e stabilisce: << O Gesù, ora che sono religioso esternamente, propongo di esserlo anche internamente. E questo che importa di più, perché non è l’abito che fa il frate, bensì la santità di vita… Gesù, tu sai quanto poco possa fidarmi di questo proposito. Avvaloralo tu, e dammi forza di non venir meno >>. 
La gioia da lui provata in questo giorno fu addirittura senza ombre, e quando il Padre Maestro gl’impose l’Abito, a lui sembrò << che la chiesetta si fosse trasformata in paradiso >>, per cui << piangeva internamente di tenerezza >>. Né dopo la funzione potè astenersi dall’andare a manifestare la sua felicità al Padre Maestro, e nel suo Diario conchiude: << Dunque era vero ciò ch’egli m’aveva detto prima, e cioè che sarei divenuto contento legandomi a San Francesco >>. 
La tentazione non tornò più, e la grazia della vocazione proseguì a brillare al suo sguardo con fulgori divini, quale sempre egli era apparsa in passato. Vinto il diavolo rimase contento e godette nella sua pienezza la serenità e la gioia. 
Dopo la vestizione scrisse ai suoi in Mazzarino: << Ho fatto gli Esercizi Spirituali, e finalmente dopo tanto aspettare, ieri, 2 Febbraio, giorno della Purificazione di Maria, con molta gioia indossai l’Abito del Padre Serafico San Francesco. Questa piccola chiesa mi sembrò un paradiso. Il mio cuore palpitava di gioia indicibile e ineffabile. Come colui che ha trovato un gran tesoro piange di gioia, così io piangevo per aver trovato Dio nella pace della vita religiosa >>. 
Nel suo Diario, né in tutte le relazioni dei compagni esistono più traccie di tentazioni intorno alla vocazione o altro. Invece si hanno molte testimonianze della sua letizia e della gioia. In Novembre, cioè dopo otto mesi ch’era già nel noviziato, scriveva ai suoi: << Bene in salute, e molto contento dello stato in cui mi trovo >>. 
E più in là aggiungeva ( 3 Novembre ), esprimendo la gioia di cui si sentiva inondare: << Com’è sublime lo stato religioso! Nella religione si ama, si serve, si loda il Signore. E come non stare contenti al servizio d’un sì grande padrone? >>. 
Se ne apriva anche coi compagni, e sembrava che nessuno fosse lieto come lui: << Ringraziava il Signore - dice uno - del dono della vocazione religiosa, e gioiva dello stato in cui si trovava >>. (1). 
Il 3 Ottobre 1935, vigilia della Festa di San Francesco, fa questa preghiera: 
<< O Serafico mio Padre San Francesco, 
una sola cosa ti domando nella tua Festa, 
che non venga mai meno 
alla vocazione che mi hai concesso, 
affinchè imitandoti in terra, 
possa goserti in cielo >> (2). 

1) Padre Venanzio da Mazzarino. 
2) Dal Diario. 


FONTE: 
PADRE SAMUELE CULTRERA - MODELLO DI NOVIZIO FRA CANDIDO MARIA DA MAZZARINO CAPPUCCINO SCUOLA SALESIANA DEL LIBRO ROMA 1944 - VIA TUSCOLANA 361 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano