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sabato 12 marzo 2016

MODELLO DI NOVIZIO FRA CANDIDO MARIA DA MAZZARINO CAPPUCCINO - PARTE QUINTA.




IX 
Ambiente 

Affinchè il lettore possa seguire meglio lo sviluppo di questa piccola biografia e gustare le varie manifestazioni della breve esistenza di quest’angioletto, giova far cenno succintamente dell’ambiente, delle occupazioni e delle particolarità della vita del noviziato. 
Il noviziato è un anno di prova, affinchè il giovane sperimenti gli obblighi che l’Ordine impone, e questo, da parte sua, se egli è adatto a portarne il peso. In fondo il giovane rimane libero di uscirsene quando vuole, e l’Ordine parimenti rimandarlo allorchè non lo giudichi vocato o di attitudini non confacenti. 
Nel noviziato quindi si studiano e praticano gli obblighi della vita religiosa in genere e di quella dell’Ordine in specie. 
Il Padre Maestro cura la formazione graduale dei novizi secondo le tradizioni e lo spirito dell’Ordine, ed è da lui che principalmente dipendono i novizi, poiché pur facendo essi parte del convento dove si trovano, e pur dipendono dal superiore locale negli atti comuni, formano nondimeno una famiglia a sé, segregata e distinta dal resto della comunità. 
Tra il Maestro e i novizi però i rapporti sono intimi, da Padre a figli, trattandosi di famiglia spirituale, dove tutto deve cospirare ad unico scopo: la formazione di Gesù Cristo nella mente e nel cuore dei giovani. Da parte dei novizi vi si accede con l’esplicita intenzione di farsi santi: cioè di vivere in soggezione perfetta, con l’amore all’obbedienza e alla mortificazione, col proposito di contrariare la mollezza e sensualità della natura, di aspirare ad acquistare lo spirito d’orazione e d’umiltà, il distacco da sé e dalle cose create, l’amore a Dio, al prossimo e d’impregnare di soprannaturale i propri pensieri, le parole, le opere
Ce n’è d’avanzo, senza dubbio. Una vita intera non basta ad esaurire questo compito. Ma il noviziato è avviamento, cominciamento. Il resto della vita dovrà servire per affermarvisi, consolidarvisi e sviluppare quei principi. 
Tenuto conto che da parte dei novizi questa disposizione generalmente c’è fin da quando entrano nel seminario Serafico, ne segue il compito del Maestro nel noviziato è facilitato. Non diciamo che non vi siano difficoltà. Non è di tutti saper esercitare un ascendente sull’animo dei giovani, occorrendo un metodo a sé, un tatto speciale, un’avvedutezza e una pazienza permeati d’amore, di condiscendenza, e allo stesso tempo di fermezza. Ma in genere il Maestro deve avere queste qualità. 
Nel suo procedere ha da risaltare maggiormente l’amore, che quale cemento santo deve accomunare e fondere in uno questa eccezionale famiglia; amore che fa raggiungere egregiamente lo scopo, talora con meravigliosa convergenza ed armonia. 
Quando i novizi si accorgono e sentono d’essere compresi ed amati, si aprono con facilità, anche se di carattere chiuso, e talora si abbandonano con molta confidenza in mano del Maestro. Ordinariamente l’anno del noviziato riesce non soltanto lieve, ma lascia ricordi soavi, incancellabili, e nel cuore dei giovani non si estingue più l’affetto per il Maestro che li avviò nelle vie dello spirito. 
Vi sono privazioni e si compiono pure sacrifici. Senza dubbio, anzi, il sacrificio è alla base, costituisce il punto di partenza, il perno intorno a cui la vita si aggira. Vi si sostengono lotte, e talora vive, lunghe, penose. Vi occorre abnegazione reale e generosità. E nondimeno tutto ciò non è opprimente; anzi all’opposto. Emanciparsi dalle insidie delle passioni; raggiungere - pur con aspri combattimenti - il dominio dei sensi e conquistare la santa libertà dello spirito, è così divina, grande. E i novizi lo sperimentano presto. E siccome nel loro cuore - come in quello del Maestro - arde un comune focolare di amore e brilla l’ideale della perfezione, tutto riesce relativamente facile, e l’anima vi si adatta lieta, e sovente gioiosa. Non si dimentichi: << Servire Dio è regnare >>, e non sono vuote quelle altre parole della Scrittura: << Gustate e vedete quanto è soave il Signore >>. 
La parte più difficile è in principio. Ma se il Maestro sa conquistarsi la fiducia ( come generalmente succede ), può menare i giovani dove vuole, cioè a Dio, alla stima della virtù, alla gara delle mortificazioni, al cammino della santità. Non deve forzare il passo, ma illuminarlo delicatamente, schiuderne il cammino, indicarne la via, incitarne il cuore, sostenere il coraggio, assisterli, usare indulgenza e all’occasione pazienza. 
Per quel che a noi risulta, i capisaldi sui quali basava il suo insegnamento Padre Simplicio in Calascibetta e sviluppava la sua azione, erano: di richiamare alla mente dei novizi la grazia inestimabile della vocazione, generalmente di tante altre grazie; di inculcare l’amore effettivo all’abito che avevano indossato e all’Ordine al quale la Provvidenza li aveva guidati, amore che deve superare quella della famiglia terrena; di incitarli alla semplicità dello spirito, con aprirsi candidamente al Maestro in tutti suoi bisogni e in tutte le occasioni, senza lasciare pieghe nell’anima; raccomandava inoltre senza finire la preghiera, la meditazione, in particolare la lettura spirituale e l’esercizio della presenza di Dio. Gira e rigira, non finiva di battere su questi punti, ed altri ancora. Soleva ogni sera - dall’Ave ad un’ora di notte - tener loro in cappella un discorsetto pratico, affettuoso, semplicissimo e improntato alla massima cordialità, intramezzato di domande e di aneddoti, per destare l’attenzione ed imprime nelle loro menti quando maggiormente importava per formare lo spirito, invogliarne il cuore, deciderne la volontà. 
Seguiva un sistema progressivo di istruzioni - fissate schematicamente su d’un quadernino, che dava anche a copiare ai giovani - intorno alla perfezione religiosa e alla formazione spirituale; lo esauriva e riprendeva per tre volte durante l’anno, in modo da farlo scolpire nella loro mente. 
Dopo la cena e la ricreazione, prima d’andare a letto, inginocchiati davanti la sua cella, dava loro la Benedizione Francescana, ricordava il santo protettore del giorno seguente, oltre all’intenzione per la Comunione ( poiché ogni giorno della settimana ne aveva uno )(1), aggiungendo un pensiero sulla preparazione alla Comunione, e poi li licenziava. 
Siccome a mezzanotte si andava cantare mattutino in coro, li incitava ad alzarsi sempre solleciti e contenti allorchè sentivano la sveglia, pensando ch’era Dio che li chiamava, esortandoli a contrariare e reprimere i borbottamenti che la natura non lascia di fare. 
Se il mattutino di notte veniva dispensato, i novizi si recavano sempre a coro, per la semplice visita al SS. Sacramento, tranne quando faceva molto freddo e la salute lasciava a desiderare. Mentre da un lato nel dare le punizioni il Maestro era assai parco con tutti - e specie con i nuovi venuti - dall’altro li incitava a desiderarle, affinchè la natura vivesse timorata ed essi vi trovassero un appoggio e una remora. Ripeteva che << quando il maestro punisce, vuol dire che ama di più >>. 
Ne preparava ordinariamente lo spirito e ne disponeva il cuore, affinchè la punizione non solo non giungessero ingrate o troppo pesanti, ma principalmente riuscissero di reale profitto. 
Siccome poi la vita di noviziato e permeata di raccoglimento, di silenzio, di preghiera e di esercizi spirituali - ingrati per se stessi alla natura - li incitava a mantenersi sempre allegri, pensando che servivano Dio. Accordava volentieri ricreazioni straordinarie e ne procurava egli stesso. Li conduceva frequentemente a passeggio, si prendeva molto cura della loro salute, eli circondava di premure di ogni genere. Pur sorvegliandoli diligentemente, mai ne spiava la condotta, o comunque non lo faceva apparire; e dove s’accorgeva di mancanze di poca entità, non ne faceva motto, contentandosi di rilevare ciò che era maggiore importanza. In linea generale si mostrava esigente con essi; ma cercava di prenderli dalla parte del cuore, conciliando il rigore con l’amore, facendo loro sentire il suo affetto, la preoccupazione di stringerli a Dio, per non tradire né la sua né la loro coscienza. Li assicurava che in seguito se ne sarebbero trovati molto contenti, e avrebbero benedetto con effusione le piccole pene che comporta questo genere di vita. 
Li incitava sin da principio a prendere appunti e scriversi un << Diario spirituale >>, per esclusivo uso proprio, da rileggere poi ogni mese nel giorno di ritiro, legandolo in fine dell’anno in volumetto da conservare: dopo molti anni lo avrebbero riletto con molta soddisfazione. Mai però chiedeva di vederlo o, comunque, di accorgersi di ciò che vi notavano. Limitiamoci a questo per ora. Troveremo occasione propizia di accennare qualche altra cosa nei capitoli seguenti. 


 Umiltà 

La prima qualità che colpiva a vedere Fra Candido o a trattare con lui, era quella del candore e dell’ingenuità infantile. Sono concordi nel dirlo i compagni e coloro che lo conobbero, senza eccezione. Nota dominante delle novanta relazione raccolte dopo la morte. 
I maestri delle scuole elementari lo rilevarono anch’essi con frase felice e indovinata, dicendolo << anima serafica >>. Tutti in realtà lo trovavano quale si presentava anche all’esterno: << Ingenuo come un bambino, candido di nome e di fatto >>(2); << Innocente e di poche parole >>(3), ovvero << candido come un angelo - al dire di Padre Venanzio da Mazzarino - il suo occhio era sempre limpido, sereno, tranquillo >>. 
Era dunque una bontà semplicemente naturale la sua? 
Dio lo arricchì senza dubbio di grandi doni nel carattere stesso; ma indiscutibilmente egli vi associò il duro lavoro e la tenacia della volontà. Lo rivelarono i suoi medesimi compagni. << Era d’una bontà innata - ci dice uno (4) - che con volontà perfezionò nel Noviziato >>. 
Come il lettore vedrà dal seguito, lo sforzo suo fu lungo e perseverante, e cercò tutti i mezzi per riuscire a vincere le difficoltà e le inclinazioni cattive. 
La prima constatazione possiamo farla osservando come abbia praticato la virtù fondamentale della perfezione cristiana: l’umiltà. Si tenga a mente che egli aveva qualità d’intelligenza non comuni. Or non è cosa facile essere d’ingegno assai svegliato e non insuperbirsene, specie nella prima età. Ma il Signore, che volle dotare quest’angioletto di tante nobili qualità, gli diede pure sin dai primi teneri anni quella luce Divina che fa discernere l’oro dal fango, i beni fugaci della vita presente da quelli inestimabili dell’eternità, per cui non si lasciò mai sedurre dal miraggio di questo mondo effimero e caduco. 
A giudizio di tutti egli - nella scuola lasciava sempre soddisfatti i professori, e agli esami finali poteva quindi ritenersi sicuro del risultato, come dice uno dei compagni (5); << invece egli non la pensava così, e confidando nella protezione della dolce Madre Maria, si raccomandava anche alle preghiere dei compagni >>. Uno di essi racconta (6): << Stavamo in attesa di entrare a turno nell’aula degli esami, e Fra Candido doveva essere il primo. Ebbene, egli insistentemente mi pregava di raccomandarlo alla Vergine SS., nella benigna protezione della quale confidava più che nella propria capacità >>. 
I condiscepoli, ammirandolo, talora non sapevano difendersi dal rilevarne anche in sua presenza le felici doti, per cui il povero giovane veniva a trovarsi a disagio; però si difendeva sempre egregiamente. << Quando noi - dice uno (7) - parlavamo del suo ingegno e della sua bontà d’animo, egli diceva: Chi me l’ha dato? Lodiamo piuttosto Iddio! >>. 
Ma talora quelli, impertinenti, lo mettevano a dura prova. Ecco cosa racconta un altro: << Una volta gli dissi:  
- Totò, attesa la tua grande intelligenza, i superiori sicuramente a suo tempo ti manderanno a Roma per la laurea. 
 >> - Sì, sì - egli mi rispose - mi manderanno alla celeberrima università di Butera ( piccolo paese vicino a Gela ), per prendere la laurea di asineria! - >>. 
Molti difetti sfuggono d’ordinario a coloro che li commettono. Or siccome il noviziato è proprio una palestra di perfezione, il Maestro Padre Simplicio aveva stabilito - a norma del regolamento - che i giovani si esercitassero nella così detta Correzione fraterna, cioè che una volta per settimana, riuniti in cappella, l’uno dopo l’altro, messi in ginocchio nel centro, leggermente inchinati e col cordone al collo, si accusassero per esercizio d’umiltà dei difetti commessi - al modo della colpa in refettorio (8) - e poi ascoltassero i compagni che ad uno ad uno avrebbero indicati quelli da loro osservati. 
E’ un esercizio molto importante, ma altresì delicato, che può generare inconvenienti e riuscire di nocumento, se non sorvegliato e fatto con lo spirito che si deve. Per questo il Maestro vi presiedeva sempre, e anzitutto tornava a prepararli con opportune parole, suscitando nel loro cuore il desiderio di essere aiutati a conoscere le proprie imperfezioni e correggerle. Però li premuniva a non lasciarsi mai vincere da risentimenti nel rilevare i difetti dei compagni, né mai avere intenzione di far conoscere al Maestro quelli commessi in sua assenza, ovvero aver gusto di umiliare il confratello; ma piuttosto tenerselo ben a mente Dio che vede il loro interno, ed umiliare sé stessi prima di parlare, dicendo nel loro cuore: << Come posso giudicare un mio fratellino, s’io ho molti più difetti di lui? Lo faro solo per piacere al Signore e perché lo vuole l’obbedienza >>. 
Padre Simplicio ordinariamente non lasciava di fare ad ognuno le sue osservazioni, replicando di << non desiderare per gli altri quello che non piace per sé >>. In genere i ragazzi dopo alcuni mesi si orientavano bene e ne ricavavano profitto. Ma si dava nondimeno che venissero rilevati difetti che il presunto colpevole credeva di non aver commesso o di non averne avuto intenzione, difetti che talora provenivano piuttosto dal modo di vedere errato di chi li notava. Il Maestro su di ciò tornava spesso a parlare, temperando e illuminando sempre meglio il loro modo di giudicare. Dall’altro canto ricordava a tutti do sforzarsi a godere quando venivano addebitate imperfezioni ch’essi credevano di non aver commesse. 
Quando un Novizio non trovava osservazioni da fare, si limitava a dire al compagno: << Prego il Signore che vi converta e vi illumini >>. 
Or siccome Fra Candido, per le sue molteplici belle qualità veniva ricercato nella ricreazione, specie da alcuni gli venne addebitato di nutrire << amicizie particolari >>, ed egli - che in realtà le sconosceva del tutto - ne provò risentimento. Ecco cosa scrive nel Diario: << ieri sera nella correzione fraterna mi corressero dell’amicizia particolare verso certi compagni. Volevo sfogarmi con scuse. Mi frenai, cercai di vincere l’amor proprio e riuscii a domare il risentimento. L’amor proprio fa diventare ciechi. Gesù, fa ch’io non divenga vittima di questo vizio! >>. 
Il suo spirito reagiva bene a tutte le suggestioni dell’orgoglio e dell’amor proprio, da qualunque parte venissero. << Quando ricercava qualche lode - scriveva un giovane (9) - non si lasciava adescare, ma troncava subito >>. Ed affinchè l’amor proprio non insolentisse, << chiedeva con insistenza ai superiori - come assicura Padre Bernardino da Sortino - d’essere aiutato ad acquistare l’umiltà, e a tale scopo pregava il Confessore e il Maestro d’essere sempre rimproverato >>. 
Non era indispensabile. 
Le umiliazioni lo colpivano abbastanza e lo ferivano; ma egli interiormente si difendeva e reagiva bene. Vi aggiungeva anche la pratica della vita, non solo col non assumere mai atteggiamenti di supremazia e di superiorità, ma sforzandosi di servire gli altri. << Quando eravamo a disimpegnare uffici insieme - dice un compagno (10) - i più faticosi e più ripugnanti li facevo fare a lui, ed egli non si rifiutava >>. Né ciò è cosa facile quando si possiede una reale superiorità d’intelligenza e di meriti. Ma egli << voleva farsi santo a qualunque costo >>, e siccome per riuscirci è necessaria l’umiltà, vigorosamente lottava e v’insisteva. 
Con ciò il suo spirito si manteneva sempre sereno ed uguale, da riuscire a farsi amare da tutti. Infatti i compagni concordemente dicono come << non litigasse mai con alcuno e si mantenesse sempre calmo >> (11). Uno dei suoi più intimi dice (12) che << in parecchi anni di seminario non litigò mai coi compagni ed ebbe pochissimi rimproveri >>. 
A ragione quindi il suo professore di scuola elementare potè scrivere (13) fin d’allora che << non conobbe mai l’orgoglio e fu sempre umile coi compagni >>. 
Uno dei mezzi di cui il Maestro nel noviziato si serviva per aiutare i suoi giovani a far progressi nell’umiltà e nella perfezione era la così detta apertura del cuore. Consisteva appunto nell’aprire a lui la massima schiettezza il proprio cuore. Attesa la sua importanza, quello vi insisteva, poiché gli consentiva di penetrare nello loro anima, e allo stesso tempo di abituarli alla semplicità e all’umiltà. Spiegava come non dovesse essere una confessione, ma una libera manifestazione, affinchè egli avesse potuto leggere con maggiori facilità nel loro cuore, conoscerne i bisogni, apprestarvi i rimedi. Li assicurava formalmente che ne avrebbero ricavato con sicurezza bene non poco, e che le loro confidenze non sarebbero mai servite in alcun modo per danneggiarli. << Se l’ammalato - diceva egli - manifesta al medico le sue debolezze e i bisogni, lo fa pel desiderio della guarigione, e quello deve apprestarvi le medicine adatte a curarle e farle guarire. Il Maestro come ha interesse di custodire a garantire il vostro benessere fisico, maggiormente lo ha per quello morale e spirituale. Potete essere sicuri che qualsiasi cosa abbiate a dirgli, egli vi avrà più stima, perché non solo possederà una prova più sicura della vostra confidenza, ma altresì della vostra volontà di correggervi e dominarvi. Né può mai darvi veleno per rimedio, poiché il maestro più d’una madre ha interesse di occultare ( curandoli ) i vostri difetti, e mai di manifestarli >>. 
Per quanto fosse esigente nella disciplina ed usasse fermezza nel governo del noviziato, il Maestro riusciva a farli progredire nell’umiltà e nello spirito mediante quest’esercizio dell’apertura di cuore, oltre a creare un’atmosfera di particolare coesione e serenità, che sviluppava e manteneva quella santa letizia, che deve formare una delle caratteristiche più belle dei noviziati. E non parliamo del profondo e mutuo affetto che si stabiliva tra Novizi e Maestro, affetto che il tempo non vale a indebolire. 
Non tutti sicuramente rispondevano in pieno alle istruzioni e alle cure di quello. Per alcuni l’aprirsi era facile, per altri difficile, conforme allo sforzo di volontà, e soprattutto al carattere. Però ad eccezioni di pochi, che si mantenevano un po’ chiusi o vaghi nel dire ( e che in genere non fecero buona riuscita ), gli altri corrispondevano e se ne trovavano lieti davvero. 
Il Maestro - com’è naturale - non parlava mai né alludeva a quanto i buoni figliuoli gli confidavano. E bene se ne ricavava molto. Ogni settimana c’era un giorno assegnato per questo; però veniva lasciata sempre libertà ai novizi di avvicinare il Maestro in qualsiasi ora di tutti i giorni e in ogni loro bisogno. 
Per quanto non avesse granchè da manifestare, Fra Candido era dei più candidi, e come il lettore stesso può capire, di quelli che provava meno difficoltà a farlo, per la semplice ragione ch’era il carattere ingenuo, semplice, diafano. Il volto di lui diceva tutto. 
Il 9 Giugno 1935 scrive nel Diario: << Una sera, andato dal Padre Maestro per l’apertura di cuore, fra l’altro gli dissi d’aver mancato alla modestia. Egli m’esortò a vigilare. Poi io gli dissi: << - Padre Maestro, vorrei essere castigato ogni volta che mi vede mancare. 
>> - No - egli mi rispose - perché allora l’osserveresti per timore del castigo. Io voglio invece che tu lo faccia senza castigo, , poiché se ti abitui ad essere castigato, non ti farà più impressione. - 
>> - Allora me ne tornai in cappella col proposito di farmi santo a qualunque costo >>. 
E conchiude: << Com’è vero che l’apertura di cuore agevola tanto l’anima! >>. 

(1) Per le Anime del Purgatorio, per i Benefattori ( specialmente spirituali ), per le Missioni, per la conversione dei peccatori, per le vocazioni religiose ed ecclesiastiche, per la prosperità dell’Ordine e della Provincia, ecc. su qualcuna avremo occasione di ritornare più in la. 
(2) Fra Giovanni da Palazzolo Acreide. 
(3) Padre Venanzio da Mazzarino. 
(4) Fra Leonardo da Licodia Eubea. 
(5) Fra Marino da Sortino. 
(6) Idem. 
(7) Fra Ottavio da Gela. 
(8) E ciò che fanno tutti i frati tre volte la settimana in refettorio davanti al superiore che - se n’è il caso - dà avvisi e correzioni.  
(9) Bernardo Deloma, da Calascibetta. 
(10) Fra Ottavio da Gela. 
(11) Fava Sebastiano, da Palazzolo Acreide. 
(12) Fra Aurelio da Ferla. 
(13) Prof. Vincenzo Arena Guerreri. 

FONTE: PADRE SAMUELE CULTRERA - MODELLO DI NOVIZIO FRA CANDIDO MARIA DA MAZZARINO CAPPUCCINO SCUOLA SALESIANA DEL LIBRO ROMA 1944 - VIA TUSCOLANA 361 


LAUS  DEO

Pax et Bonum


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano