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martedì 21 gennaio 2014

IL ROSARIO NELLA VITA CRISTIANA DI PADRE RAIMONDO SPIAZZI, O. P. - PARTE NONA .




 IL ROSARIO 
NELLA VITA CRISTIANA 
di 
 PADRE RAIMONDO SPIAZZI, O.P. 
8 gennaio 1918 - +24 ottobre 2002 
Parte Nona 
I MISTERI DOLOROSI 
IL TEMPO DEL SACRIFICIO 

Primo Mistero 
Il Sacrificio della Volontà. Il mistero del Getsemani.
I Misteri dolorosi sono i misteri della prova e del sacrificio. Si trovano necessariamente in ogni vita, poiché questo è il piano dell’Amore infinito che ci vuole bene, ci vuole salvare; dopo averci attratti, dopo averci dato le gioie del fidanzamento spirituale, ci chiede una prova, una dimostrazione d’amore. In quella prova ci purifica, ci rende più degni di sé, ci prepara al trionfo glorioso nell’unione più perfetta con Dio. I Misteri Dolorosi sono doni della Misericordia del Signore, che ci chiede l’immolazione di noi stessi, poiché attraverso il Calvario vuole portarci alla festa della Risurrezione: “Per Crucem ad Lucem. Sono beate le anime che hanno capito che la vita spirituale e soprattutto la vita religiosa è vita di sacrificio, di rinuncia, di prova perenne e con semplicità, senza fare della retorica o del romanticismo spirituale, hanno accettato la “crocifissione”, hanno deciso di dare a Dio, con Gesù e Maria, la prova d’amore. Sono anime che non svuotano né immiseriscono la loro professione di vita spirituale. Rendiamoci conto finché siamo sulla terra, se non ci mancano i momenti di Tabor, siamo chiamati però a seguire Gesù sulla via dolorosa, portando anche noi la nostra croce. Guardiamo a Gesù nel Suo Getsemani, Egli ha amato gli uomini, ha predicato la buona novella, ha convertito, ha guarito, ha consolato. Ora è solo e prega nell’oscurità. Avrebbe bisogno, per il suo cuore umano, almeno per un istante, di consolazione. Ma dove può trovarla? Che cosa vede intorno a Sé? Vede dei discepoli che....dormono! E’ il primo atteggiamento che Gesù riscontra in molti seguaci, lungo i secoli.
Gente che dorme. L’inazione, la neghittosità, la resistenza alla sua attrattiva, l’incapacità o il rifiuto di darsi eroicamente alla Sua causa. Ma vi è anche un altro atteggiamento: quello di Giuda, il discepolo che tradisce con un bacio, con il segno dell’amore. E’ l’atteggiamento dei suoi, specialmente delle anime consacrate, quando peccano. I nemici approfittano dell’ignavia degli uni, della venalità spirituale degli altri, e si muovono nell’ombra, catturano Gesù per consumare il loro deicidio. Gesù si sente solo nel Suo dramma. L’ha attesa quest’ora, ma ora ne sente tutta l’angoscia, non tanto per coloro che avanzano contro di Lui, quanto per coloro che dormono o lo tradiscono. Il Suo sguardo abbraccia i secoli. Vede che in certe zone il Suo sacrificio non servirà a nulla. Vede noi tutti, con i nostri egoismi, le nostre grettezze, i nostri tradimenti, le nostre pigrizie, i nostri peccati. Vede la storia del mondo convergere alla Sua Croce, e che intorno al Suo cuore trafitto vi è tanto bene, ma anche tanto male, soprattutto freddezza, indifferenza, disprezzo, sacrilegio. Ci vede tutti e ciascuno e sente che deve assumere su di Sé il nostro peccato, la nostra miseria; sostituirsi a noi per essere punito ed espiare in nostra vece. Ma sente ribrezzo, Gli riesce insopportabile il nostro peccato. E’ un movimento istintivo della Sua psicologia umana, da cui nasce il Suo dramma. Egli che è il Santo, assumere le responsabilità e la pena del nostro peccato, soprattutto di quello che ci siamo ostinati a commettere anche dopo la Sua Passione e Morte! Gesù accetta pienamente il mandato del Padre, ma ciò non impedisce uno sconvolgimento interno che si ripercuote in tutto il Suo essere, che sembra quasi devastato dalla massa immane del peccato umano. E dal Suo spavento, dal Suo orrore, dallo sforzo compiuto per superare quest’ora, dipende il Suo sudore di sangue. Egli vince e il Suo animo si placa in una più abbondante donazione di Sé al Padre; ma gli rimane in cuore una profonda tristezza, soprattutto per la Sua solitudine. Noi siamo gli assenti, noi che non sappiamo soffrire, donarci, immolarci; noi che non corrispondiamo alle Sue richieste; noi che non partecipiamo a questa agonia di Cristo che al dire di San Leone Magno si prolunga nella storia sino alla fine dei tempi; noi che forse impediamo il compiersi dei disegni di Dio in noi e nel mondo.
Nel primo Mistero Doloroso vi è la lezione dell’ubbidienza di Maria, ubbidienza eroica, che si intravede fra le ombre del Getsemani, unita a Gesù dal vincolo perfettissimo del “Fiat”, che fonde la sua anima con quella di Suo Figlio nella carità desiderosa di immolazione. Maria ci insegna, come per riflesso dell’esempio di Gesù, il sacrificio più importante e più gradito a Dio: “Melior est oboedientia quam victimae”. Come scrive San Tommaso d’Aquino (S.Th., II-II,q.186,a.8.), l’ubbidienza è il voto fondamentale su cui poggia tutta la vita religiosa. Immolata la volontà, che è la radice della vita morale, tutto nell’uomo partecipa a questo stato di vittima e riceve consacrazione. Si sviluppa così in tutta la vita lo spirito del Getsemani.
Secondo Mistero Doloroso. Il Sacrificio della sensibilità. 
L’Espiazione Vicaria 
Gesù lo avevo predetto: il Figlio dell’Uomo, a Gerusalemme, sarebbe stato flagellato (Mt. 20,19).
Una punizione da schiavi e anzi da bestie. Un infierire contro l’uomo per punirlo, provocando il dolore fisico e sensibile, facendogli male. Gesù che volle subire ogni forma di dolore umano per vincere il male, che è la radice del nostro dolore, provò anche la flagellazione. Il motivo della Flagellazione è dato dalla sostituzione che Gesù fa di Sé, a noi, nella pena dei sensi. L’umanità vive in gran parte sotto l’impero dei sensi. La grande ferita del peccato originale ha scatenato le forze delle passioni, fuori del giusto ordine di ragione, di carità, di grazia. Specialmente in certe epoche storiche, come quella in cui Gesù venne nel mondo, e come nell’attuale, sembra che la scala dei valori sia stata capovolta, e domini sovrana, non la forza dello spirito, ma una concupiscenza sfrenata.
L’attuale pansessualismo ne è la peggiore manifestazione, che pretende appellarsi persino a principi teoretici: perversione e degenerazione estrema dell’ordine delle cose. Si forma così un tipo d’uomo << insipiente>>, come lo chiama la Sacra Scrittura, <<simile al cavallo e al mulo, che sono senza intelletto>> (Salmo 31,9), uomo che ripiega sempre più verso il mondo inferiore delle passioni e dei sensi, e di lì trae la ragione di vivere e di agire. E’ quello che si potrebbe chiamare l’uomo-specie, facilmente trasformabile in uomo-massa: senza personalità vera, perché sena Luce di spiritualità nella coscienza e nella intelligenza. A redimere l’uomo da questa condizione è venuto Gesù: per riportarlo al primato dello spirito, per ristabilire in lui il regno dei valori più alti. 
La sua missione esigeva un sacrificio, che ristabilisse il giusto ordine leso con il peccato. Questo aspetto della riparazione e della redenzione lo si può vedere particolarmente attuato nella Flagellazione, che il Rosario ci fa contemplare nella seconda tappa del cammino spirituale tra i misteri del sacrificio. 
Il Signore ha voluto espiare in Sé, nella Sua umanità, nelle Sue carni vive, i peccati commessi dagli uomini con il rovesciamento dell’ordine naturale delle proprie energie e della propria vita nel campo dei rapporti tra corpo e anima: i peccati contro la supremazia dello spirito, contro l’amore spirituale, contro la ragion d’essere dei sensi e delle passioni. Sono specialmente tutti i peccati contro le virtù della temperanza e, sopra tutti gli altri, la lussuria, che rappresenta il massimo di sensualizzazione dell’uomo e di soffocamento dello spirito tra i <<desideri della carne>> (Gal.5,16). 
A questo disordine Gesù ha rimediato sottoponendosi alla pena della flagellazione. E con Lui Maria, che sentiva ripercuotersi nel suo cuore di Madre tutti quei colpi. Vicina o lontana che fosse, non poteva ignorare quella tribolazione. Anche la flagellazione era come una spada di dolore per la sua anima e si affondava nel suo cuore, nei suoi sensi, in qualche modo nel suo stesso corpo. Madre e Figlio, così erano uniti da un solo amore non solo nella sofferenza, ma anche nella riparazione. Da quel loro amore flagellato, sofferente, sbocciava la salvezza del mondo. Il dolore di Gesù e di Maria era una fonte di sollievo per il “nostro dolore”. Si trattava di dolore fisico, quel poco o tanto che tutti nella vita soffriamo. Molti peccano anche contro questo dolore, perché non lo sanno sopportare o consolare. C’è chi non lo sopporta con pazienza, e spesso diventa a sua volta, quando soffre, insopportabile. C’è chi non prova nulla nel cuore quando vede un altro soffrire, non sa accostarsi a lui come un fratello e dirgli, con la parola o con il silenzio, la sua partecipazione d’amore. Sono tutti peccati contro il dolore, che Gesù, con Maria, espia per noi. Il Suo dolore è per noi anche un esemplare per il nostro dolore, un invito alla Speranza, una Luce sulla Croce che ognuno è chiamato a portare, almeno in qualche ora, con la malattia o con l’indisposizione fisica. Quale altezza spirituale noi contempliamo nel dolore fisico di Gesù Flagellato! Altro che la fuga dal dolore che caratterizza specialmente il nostro tempo: quella schiena lacera sotto i colpi della flagellazione è l’immagine fisica, corporea, sanguinante dello spirito di immolazione con cui Gesù ha accettato e ci ha insegnato ad accettare il dolore anche più atroce. 
Terzo Mistero Doloroso. Il Sacrificio dell’Orgoglio. 
L’umiltà di Cristo 
Quando si pensa che Dio, l’Infinito, l’Eterno, l’Immutabile Dio, vivente in Cristo, si sottomette a quella farsa soldatesca, che di Lui, ridotto allo stato di <<obbrobrio degli uomini>> (Salmo 21,7), fa un re da burla, coronato di spine, con una rossa tunica addosso e una canna in mano per scettro, si può capire che cosa è costato a Gesù il nostro orgoglio, e quanta sia la gravità di tale peccato. Dio si è incarnato ed è disceso tra noi per praticare l’umiltà. Nella Sua eterna vita non ci può essere l’umiltà, che è la virtù moderatrice della tendenza ad una disordinata affermazione di sé. In Dio non ci può essere nessun disordine. La Sua <<affermazione di Sè>> coincide con l’infinita perfezione del Suo essere, che non può non volere la propria gloria sopra ogni cosa, perché la Sua gloria è la stessa Sua volontà trascendente, piena di maestà e di onore, che è fine di tutte le creature da essa dipendenti per via di creazione, di governo, di provvidenza. Ma sulla via dell’amore, Dio discende verso di noi, si fa come uno di noi – un povero nato da donna –, come dice San Paolo – prendendo la forma di “servo”. Exinanivit semetipsum. Factus usque ad mortem. (Filip. 2,7). E Gesù stesso, Figlio di Dio fattosi uomo e servo, invita ad imparare da Lui l’umiltà di cuore. L’uomo tende ad esaltarsi. Anche dopo l’Incarnazione e la Passione, quanta superbia, vanità, ambizione nel mondo! Quante di queste male erbe anche nei giardini consacrati! Sono le spine con le quali si fa la corona di Gesù che soffre quella irrisione per espiare il nostro orgoglio. Dinanzi a questo spettacolo, noi siamo più che mai invitati da San Bernardo a vergognarci. Erubesce, superba cinis....<< arrossisci, o cenere superba. Dio si umilia e tu ti esalti?>>. 
Pensiamo alla sofferenza intima dell’anima di Gesù nella Sua coronazione di spine. Egli aveva la coscienza piena della Sua divinità e della Sua regalità sulla terra e sul Cielo. Aveva anche proclamato questa certezza, prima, dinanzi a Pilato : << Sì, sono Re. Il mio Regno non è di questo mondo. Io sono venuto per rendere testimonianza alla verità>> (Gv. 18,37). 
Un Re di verità! La più alta Regalità! Eppure ora subisce quell’oltraggio, in silenzio. Ciò rientra nella economia generale della Sua Passione, che implica la espiazione e la soddisfazione per i nostri falli. Nell’ora della coronazione di spine Maria dovette sentire nel suo cuore tutta la crudeltà di quella farsa celebrata a spese di suo Figlio. Non smarrì la fede in Lui, ma proprio per questo fu più atroce il suo dolore. A Lei l’Angelo dell’Annunciazione aveva parlato di un << Regno senza fine>>, ed ecco a che cosa era ridotta la regalità promessa: un re da burla schernito dai soldati. 
Il terzo Mistero Doloroso ce la fa sentire vicina a Gesù, partecipe della Sua umiliazione e del Suo obbrobrio. 

segue 

FONTE: PADRE RAIMONDO SPIAZZI, O.P., Il Rosario nella vita cristiana, Istituto Padano di Arti Grafiche-Rovigo, 1978. 





LAUS  DEO 

Pax et Bonum 


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano