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martedì 7 gennaio 2014

IL ROSARIO NELLA VITA CRISTIANA DI PADRE RAIMONDO SPIAZZI O. P. - PARTE TERZA .




IL ROSARIO 
NELLA VITA CRISTIANA 
di 
PADRE RAIMONDO SPIAZZI, O.P. 
8 gennaio 1918 - +24 ottobre 2002 
Parte Terza 
Il Rosario 
Devozione Ecclesiale 


Socialità e preghiera
Non solo il singolo credente, ma anche tutta la comunità cristiana con le sue varie componenti trova nel Rosario la via per elevarsi al suo Dio e Signore. Si sa che è particolarmente vivo, oggi, il senso della socialità sul piano civico, il senso della comunità e anzi della comunione sul piano ecclesiale.
Entrambi si radicano nel fondo della natura umana, che di per sé tende a espandersi, a entrare in comunicazione, a cercare incontri, concordanze, collaborazioni nell’amore.
Finché l’uomo ascolta la voce del suo cuore derivante dall’istinto fondamentale della natura che lo porta alla vita sociale, non può dire, con Sartre, che << gli altri sono l’inferno >>.
L’uomo, invece, sente che è fatto per vivere con gli altri, anzi per immedesimarsi con loro, per dare e darsi a loro, attuando nella bontà e nella pace una comunione di vita. Ma se gli altri non sono l’inferno, non sono nemmeno il paradiso, non sono quel che di infinito, di pienamente appagante, l’uomo cerca, e non trova nel mondo. Ecco perché con l’istinto della socialità vi è nello spirito umano quello della ricerca e del riconoscimento di Dio, e quindi della pietà, della preghiera.
Il Cristianesimo ha operato nell’uomo la unificazione dei due movimenti fondamentali dello spirito, che spesso si sono espressi indipendentemente, quando non addirittura in contrasto, nelle religioni precristiane e nei sistemi filosofici e sociali estranei o ostili al Cristianesimo: assenza di pietà a causa dell’impegno sociale e mondano, o fuga dalla società in nome del raccoglimento in Dio. La carità soprannaturale predicata e infusa nell’uomo, dal Cristianesimo, è l’unica radice della pietà e della socialità in quella religione nuova che congiunge il duplice amore di Dio e del prossimo nell’unità del suo codice etico come del suo fondamento dogmatico.
Sappiamo infatti per rivelazione che Dio non ci ha contemplati e voluti, nel suo eterno disegno, come degli esseri isolati, estranei l’uno dall’altro, assenti reciprocamente nelle nostre vicissitudini. Dio ha creato l’umanità come un tutto unico, organizzato secondo le esigenze di un << ordine>> che implicava unità di principio, di fine, di sviluppo storico, pur nella molteplicità degli elementi: l’ordine soprannaturale, che trova la sua concretezza storica e l’organizzazione visibile nella Chiesa. La unità di quest’<< ordine >> è data da Gesù Cristo, anello di congiunzione tra l’umano e il divino, che come mediatore immette nel mondo le energie della grazia e fa salire dal mondo verso Dio la preghiera. 
Per Cristo, con Cristo, in Cristo, da parte degli uomini, sale a Dio una preghiera corale, che ha origine dalla carità dello Spirito comunicata agli uomini da Cristo. E’ la preghiera della Chiesa e di Cristo, in cui converge la preghiera di tutti coloro che, anche fuori del perimetro visibile della Chiesa, alzano con sincerità di pensieri e di desideri la loro mente al cielo; converge anzi la preghiera di tutte le cose, la preghiera della comunità cosmica, che è come una sinfonia di ubbidienza alle leggi cosmiche e di sudditanza a Dio, che le ha fatte, e quindi una prima, elementare forma di glorificazione divina e di pietà; converge la preghiera di tutti i tempi e di tutte le epoche storiche, specialmente quella che si è alzata dalle zone illuminate dalla rivelazione divina, nell’unità di sviluppo religioso che si è operato lungo l’asse della fede in Cristo venturo, nell’Antico Testamento, continua nella fede in Cristo venuto, nel Nuovo Testamento, e lungo tutta la nuova storia, nell’attesa del secondo avvento, la << parusia>>, finché si verifichi il definitivo ricongiungimento dell’universo a Dio Padre, per opera di Cristo (cfr. I Cor. 15,28).  
La mediazione di Maria nella Chiesa 
Nella Chiesa e per la Chiesa si opera una mediazione di preghiera, che non è che il prolungamento o l’applicazione della mediazione di Cristo. La suprema espressione di questa mediazione ecclesiale e ministeriale si trova in Maria madre di Cristo. Essa è la zona privilegiata nella quale il Verbo si è inserito per assumere l’umana natura, E’ un’anima intimamente partecipe di tutti i pensieri e i desideri di carità e di pietà di Cristo, che a lei comunica la pienezza di grazia. E’ dunque intimamente partecipe della sua opera mediatrice a cui è associata in modo eminente (Cfr. Lumen Gentium, n.62; Esortazione Apostolica << Signum Magnum >> del 13 Maggio 1967, p.I, n.2). Principio unificativo della preghiera universale, che converge nella Chiesa, è dunque la Diade suprema che è come la chiave di volta del creato: Cristo e sua Madre, Maria, posta accanto a lui come << umile Ancella >>, sì, ma talmente ricca di doni soprannaturali da poter con suo figlio condividere la funzione di fonte e di mediatrice di ogni grazia. Maria emerge quindi sulla Chiesa e sull’universo come la Vergine orante, prima partecipe della preghiera di Cristo, suprema espressione e principio dinamico della preghiera della Chiesa. La sua mediazione supplisce quella di Adamo, chiamato come capostipite del genere umano alla funzione di pontefice e di mediatore tra gli uomini e Dio, per la sua conoscenza e amicizia di Dio, ma decaduto dalla sua funzione a causa del peccato; succede alla mediazione dei patriarchi dell’Antico Testamento, che offrivano a Dio la preghiera delle loro stirpi e trasmettevano loro le benedizioni celesti; prende il posto della mediazione di Mosè, che legiferava a nome di Dio e pregava a nome del popolo, e dei re del popolo ebraico, che insieme con tutto il popolo svolgevano le funzioni di un certo << sacerdozio regale>>, di un << regno di sacerdoti>> e di una << nazione santa>>; porta a compimento e a consumazione nella sua effettuazione terrena, la mediazione svolta dall’organizzazione giudaica, incentrata nel Tempio e nella Sinagoga, e gli aneliti espressi dall’uomo sotto ogni cielo, presso ogni gente, quando affidava o al padre di famiglia, i al principe, o a un sacerdozio organizzato, la funzione di rappresentanza presso Dio e il compito del culto reso a lui con la preghiera e con i sacrifici. La mediazione di Maria compie tutte queste forme imperfette e preparatorie di partecipazione alla mediazione di Cristo, le supera, e dà inizio alla nuova partecipazione che ha luogo nella funzione mediatrice della Chiesa. Nella Chiesa, quindi, si ripercuote la preghiera di Cristo e di Maria e se ne ripete il valore, poiché la preghiera ecclesiale nasce dalla stessa carità che unì Cristo e sua madre a Dio e che si esprimeva nella loro pietà, pure rivivente nella Chiesa. Nella preghiera della Chiesa è la preghiera di Cristo e di Maria; nella sua pietà è la loro pietà; nella sua carità la loro carità, profluente in forme di intima unione d’amore fraterno accomunante gli uomini tra loro. E come la Chiesa, comunità d’amore, si esprime in una organizzazione visibile caratterizzata dall’unità di fede e di disciplina, così essa, comunità di pietà, si esprime in una preghiera sociale, comunitaria, quale è soprattutto la preghiera liturgica, incentrata nella Messa. Quì converge, pertanto, la preghiera universale, sicché nessuno, quando prega, è un’isola, nessuno fa da sé, e anzi nella misura in cui aderisce allo spirito della Chiesa, allarga il suo stesso spirito e con la Chiesa, nella Chiesa, in unione con Cristo, prega, come la Chiesa, per tutti e a nome di tutti. Oltre la preghiera liturgica, ci sono delle pie pratiche che in modo speciale ripetono in sé, anche nella loro strutturazione, lo spirito della liturgia e quindi il senso sociale della preghiera della Chiesa. Tra queste pratiche il primo posto spetta certamente al Rosario, che quindi più direttamente si inserisce nel corpo della preghiera della Chiesa, ne esprime i sentimenti e le attese, ne riproduce la socialità. Anzi si può dire che pur senza raggiungere il valore della preghiera liturgica, tuttavia il Rosario, per l’insistenza con cui i sommi pontefici e i vescovi lo hanno raccomandato ai fedeli in armonia con i ripetuti messaggi delle apparizioni mariane, ha un certo valore ufficiale nella Chiesa, che riempie di significato quella denominazione che gli ha dato la Tradizione, ossia di << salterio dei fedeli>>. Si direbbe che è il breviario del popolo cristiano: breviario che, come quello dei sacerdoti, comprende preghiera, professione di fede, contemplazione, lode, norme ed esempi d’azione: tutto ciò che è incentrato nel mistero di Cristo e di Maria – del quale si meditano e adorano i momenti, le fasi, i diversi aspetti nei 
<< misteri >> – e, attraverso questa meditazione, risale alla Trinità, termine ultimo della preghiera e della glorificazione svolta dalla Chiesa. 
Il Rosario e l’avvento del regno di Dio 
Per questo suo carattere ecclesiologico, il Rosario ripete in sé – in forma di pratica concreta, adatta al popolo cristiano – l’importanza che la preghiera ha nella Chiesa in ordine all’avvento del regno di Dio nelle anime e nel mondo. Infatti: 
1) La preghiera è la prima funzione sociale della Chiesa, che nel mondo è posta come società essenzialmente religiosa e comunità dei partecipi al culto che Gesù Cristo dà al Padre a nome del genere umano. La Chiesa svolge tale sua funzione, come abbiamo detto, soprattutto con la preghiera liturgica, fatta dai sacerdoti, e specialmente dai vescovi con i loro presbiteri, come presidenti della comunità di preghiera e rinnovatori del << sacrificium laudis>> per virtù ministeriale ricevuta da Cristo. Ma alla preghiera partecipa attivamente il popolo cristiano, la plebs sancta, che nel suo insieme è un popolo sacerdotale, come ricorda il Concilio ( Lumen Gentium, nn.9-12 ; Tommaso D’Aquino, ST, III, q.63,a.2), per la sua comunione con Cristo eterno Sacerdote e capo del Corpo Mistico, che dà a tutti i suoi membri, nella Chiesa, quel sacerdozio regale, ossia quella consacrazione e quella funzione rappresentativa e mediatrice che nell’Antico Testamento era propria dei re e del popolo d’Israele (Cfr. I Ptr. 2,9). 
Questa elevazione del popolo cristiano alla dignità del sacerdozio regale, che avviene col carattere battesimale, fa sì che i fedeli partecipino vitalmente al culto ufficiale e gerarchico che la Chiesa svolge mediante i suoi sacerdoti in unione con Cristo; partecipazione che nella organizzazione pratica del culto può anche concretarsi nell’esecuzione di uno speciale mandato di preghiera, come nel caso degli Ordini canonicali e anzi, dopo il Concilio, di tutte le famiglie religiose, o anche nello svolgimento di particolari funzioni, come per esempio nel servizio della santa Messa e degli altri riti sacri, nel canto, nell’espletamento di certi compiti, nell’ufficiatura corale, nel suono dell’organo, e almeno indirettamente in certe mansioni subordinate in ordine al culto, per esempio, nella cura delle suppellettili sacre. Ma in forza del sacerdozio regale partecipato col carattere battesimale, anche le preghiere personali dei fedeli vengono incorporate nell’unica preghiera corale di Cristo e della Chiesa, da cui ricevono valore ed efficacia. E, soprattutto quando sono preghiere pubbliche, che nella loro stessa strutturazione hanno un carattere comunitario, – come nel caso del Rosario –, meglio ripetono e riproducono la preghiera ufficiale della Chiesa e partecipano alla funzione sociale che essa svolge con la offerta a Dio delle lodi, dei voti, dei canti di tutto il creato e specialmente dell’umanità e della comunità dei fedeli. 
Il Rosario è dunque per la società soprattutto questo: la forma pratica, facile e a tutti accessibile, con cui il popolo cristiano partecipa collegialmente alla glorificazione che la Chiesa ha il compito di dare a Dio a nome dell’umanità. 


segue 

FONTE: PADRE RAIMONDO SPIAZZI, O.P., Il Rosario nella vita cristiana, Istituto Padano di Arti Grafiche-Rovigo, 1978. 


LAUS  DEO

Pax et Bonum 


Francesco di Santa Maria di Gesù
Terziario Francescano